21. Evelyn

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Voglio che se ne vada il prima possibile da casa mia, non ce la faccio a ignorarlo e a far finta che non sia successo niente.

Finisco di mangiare in silenzio, il cuore sanguinante e le lacrime che cercano di mostrarsi e che ricaccio indietro a fatica.

Quando finalmente è giunta l'ora di salutarlo lo accompagno al cancello come al solito per non destare sospetti, anche se mia sorella mi ha lanciato qualche occhiata di troppo, e cerco di tornare subito a casa, ma mi afferra il polso. Non ce la faccio a guardarlo, la mia pelle arde al suo contatto.

Mi fidavo di lui. Era una delle poche persone che avevano la mia completa fiducia.

Invece ho sbagliato, come un'ingenua. Maledetto cuore. Sono sull'orlo di una crisi di pianto, non resisterò a lungo.

Mi dice qualcosa e gli rispondo allo stesso modo, molto più dura e ferita.

Quando rientro in casa corro in camera e affondo la testa nel cuscino, respirando a malapena contro alla fodera.

Lascio scorrere tutte le lacrime, raggomitolata con le gambe al petto e la schiena che trema. Cerco di fare più silenzio possibile per non farmi sentire ma è inutile. Qualche minuto dopo entra mia sorella e sono nel pieno di un singhiozzo che non mi fa respirare. Chiude la porta dietro di sé e corre verso di me. Si inginocchia per terra, portando la mia testa contro il suo petto e accarezzandomi i capelli, cercando di farmi smettere. Il suo tocco delicato è confortante ma non ha effetto.

Piango ancora più forte, lasciando andare anche la voce. Con le braccia le cingo la schiena. Jess non dice niente, ascolta i miei versi, le sue mani si muovono tra i miei ricci. Sbavo sul cuscino, ma non m'importa.

Mi fa male il petto, il cuore, i polmoni.

"Non potrai mai capire". Queste parole rimbombano nella mia mente come coltelli e ogni volta fa più male. ogni volta urlo più forte, spaventando mia sorella. Cerco di trattenere la voce nel cuscino ma non serve a niente.

Jess mi prende il volto tra le mani e mi costringe a guardarla negli occhi.

"Cosa ti ha fatto?"

Ha capito.

Certo che ha capito.

"Evelyn. Cosa ti ha fatto?" Non lo chiama per nome, come se avesse paura di farmi più male. Non rispondo, mi limito a far scorrere le lacrime lungo il volto. Si alza e va verso la libreria. Pesca un libro, ma poi lo rimette al suo posto e torna indietro verso di me, che intanto mi sono infilata sotto le coperte. 

Se ci fosse un modo per sprofondare nel materasso lo farei immediatamente.

"Sai che all'inizio non riuscivo a sopportare Francesco?" Ecco la tua tecnica: racconta di ricordi felici per farmi stare meglio, ma questa volta non credo funzionerà. "Sempre con quel sorriso orgoglioso in faccia, con il suo gruppetto di amici snob. Il nostro primissimo incontro non te l'ho mai raccontato. Gli ho promesso che sarebbe rimasto tra noi ma moriresti dalle risate, quindi eccomi qui". Si accomoda sul pavimento. 

Afferra le mie mani e le stringe forte. Le sue sono calde e familiari. Inizio a reprimere le lacrime.

 "Stavo andando a mangiare qualcosa prima della lezione, ero di corsa. Per colpa di una mia coinquilina ero in ritardo e stavo letteralmente correndo" si lascia andare a una piccola risata e mi asciuga le lacrime sulle guance. "Lui aveva appena preso un caffè doppio e stava chiacchierando con il suo gruppo, ovviamente nessuno dei due stava guardando dove metteva i piedi". Si alza e viene vicino a me, seduta, mi circonda con un braccio e posa la testa sulla mia spalla.

 "Mi è venuto addosso, ribaltando il caffè contro la mia camicetta gialla nuova che ora era marrone. Snocciolai tutti gli insulti che conoscevo, ovviamente in inglese, e lui ne capì solo uno".

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