13. Afrodite

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"Gli dèi sono governati dai loro sentimenti,

gli uomini dalle loro passioni."


Sono seduta su una barella del pronto soccorso, da un tempo imprecisato. Le luci al neon e l'assenza di finestre non aiuta il mio ritmo circadiano a regolarsi.

Vedo solo la saetta di Zeus, un grande bagliore, l'odore di bruciato, frammenti di pelle e Alex privo di vita. Non ho altre immagini nel mio archivio. La bacheca della mia memoria fatica a dare un ordine agli eventi.

La voce di un medico sta meticolosamente spiegando ad Ermes che sono sotto shock. Mi sento vuota. Come se dentro la mia carne mancasse l'anima. Catatonica.

«Hai molte escoriazioni, graffi anche profondi, ma non hanno avuto bisogno di punti. Alex ti ha difesa. Uno scudo portentoso. Dovrei ingaggiarlo perla prossima guerra!» La voce è quella di Ares. Il dio è seduto sulla mia stessa barella, la sua spalla è come un bastone che mi impedisce di scivolare sul fianco sinistro.

«Ti darò un po' del mio elisir, così non resterà neanche una cicatrice, fidati.» Afrodite è dal lato opposto e protegge il mio lato destro, ha intrecciato una mano alla mia.

Sono i miei dèi custodi, quelli che governano la mia carta astrale fin dalla nascita. Sono loro che intervengono, quando io stessa non ho il controllo su di me. Sembrerà assurdo, ma io li ho sempre sentiti vicino a me, sempre. Ogni volta che il mio carattere intestardisce, ogni volta che mi impunto e voglio che le cose siano fatte a modo mio, sento la loro presenza ardere dentro di me.

Ermes finalmente si libera dal dottore e avanza verso la barella con la testa penzoloni. «Cosa dicono gli umani?» Chiede Ares ad Ermes.

Il dio messaggero raddrizza le spalle: «Pensano che abbia battuto la testa, ma per me è stata abbagliata dal fulmine di Zeus, tutti sappiamo quanto è devastante. Certo il ragazzo si è frapposto, ma non sappiamo se...»

«Oh, no! Il suo giudizio è compromesso?» Afrodite si dispera, portando la mia mano sugli occhi e piangendo lacrime di rugiada.

Poseidone entra nel mio campo visivo. Il suo tridente lascia un solco sul pavimento. Per la prima volta lo vedo arrabbiato. I suoi capelli fluttuano nell'aria, anche se non c'è vento, sono di un blu profondo e mossi come le onde di un mare in tempesta. La sua barba conferisce ancora più durezza alla sua immagine.

«Abbiamo indetto un concilio ristretto sull'Olimpo.» La voce di Poseidone ricorda l'impetuosità delle onde che si abbattono sulle scogliere scozzesi. «Zeus ha accettato di ritirarsi dai giochi.»

Zeus ha accettato di ritirarsi dai giochi. Le parole di Poseidone entrano da un orecchio ed escono dall'altro, poi rientrano, passano per i neuroni e sfuggono, come se non afferrassi a pieno il significato delle parole, l'ordine sintattico della frase.

«No.» Riesco a sputare fuori di me questo suono. Obbligo il cervello a concentrarsi, al respiro di incanalarsi e indirizzare l'ossigeno ai muscoli che governano il mio corpo e mi auto-impongo di stare in piedi, maldestramente. Sorretta da Ares e Afrodite avanzo verso Poseidone.

«Non sei in grado di intervenire questa volta.» Sibila il dio al mio indirizzo.

«Lei resta l'unica a poter giudicare il suo stesso operato.» Una voce alle spalle di Poseidone ci fa sobbalzare tutti. Estia avanza fino a me. «Gli umani sono molto più coriacei di quanto noi dèi possiamo immaginare. Questa donna mortale che ha sfidato Zeus sotto il suo stesso tetto, merita il nostro ascolto. Neanche il dio dei mari può intimorirla. Le Moire hanno tessuto per lei il suo destino e noi non possiamo opporci, fratello.» La mano di Estia fluttua verso la mia pelle e un calore famigliare mi avvolge.

Il giudizio di ElenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora