I shouldn't be forgiven.

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"Cameron sveglia!" Lo schiaffeggiai un paio di volte senza ottenere una risposta. Intanto una piccola folla si era radunata attorno a noi e un uomo sulla cinquantina avanzó chiedendomi cos'era successo.

"Ha avuto dei comportamenti strani e improvvisamente é caduto a terra."

Il mio interlocutore si avvicinó a Cameron e annusó l'aria pronunciando alla fine una sola parola: "ibris."

"Cosa?" Chiesi non avendo afferrato a pieno cosa intendesse comunicare.

"Ibris signorina, una specie di droga, provoca irritabilitá estrema, praticamente non ti rendi conto di quello che stai facendo."

"E lei come l'ha capito?"

"Sono un medico, ho sentito l'odore nell'aria", conculse con tono risoluto.

"Quello che non capisco e dove possa averla ingerita, non é qualcosa che si trova in giro facilmente, soprattutto fuori dai teatri."

In quel momento mi ricordai di Violet e della boccetta che aveva preso dal vestito e rovesciato dentro il bicchiere di Cameron, l'ibris doveva essere lí dentro.

"Il ragazzo ha bisogno di riposo, vedrà signorina che domani si sveglierá come se non fosse successo niente."
Forse lui sí ma io no di certo, ero troppo sconvolta dopo quello che mi aveva fatto per dimenticare tutto.

"Molte grazie", dissi e accennai un saluto al medico prima di allontanarmi verso la nostra carrozza.

"Buonasera Albert" dissi appena entrata ma la sua espressione stupita era rivolta a Cameron, addormentato tra le mie braccia. Dovevo assolutamente trovare una scusa.

"Ehm..era molto stanco cosí si é addormentato sulla mia spalla e non volevo svegliarlo." Non ero sicura che ci avesse creduto ma non fece ulteriori domande quindi pensai che la scusa era stata sufficiente.

Ci volle meno tempo del solito perchè la carrozza arrivasse al palazzo e subito portai Cameron nella sua stanza chiedendo le chiavi di riserva ad Albert.

"Si arrabbierá moltissimo" mormoró tra sè e sè portandomi le tre chiavi argentee.

"Sei il migliore!" dissi camminando velocemente verso il piano di sopra.

Una volta superata l'entrata della stanza poggiai Cameron sul letto e gli tolsi prima le scarpe e poi la giacca e la camicia ammirando per pochi secondi quel fisico perfetto, poi presi una delle tuniche corte che si trovavano nel baule ai piedi del letto e gliela feci indossare mentre lui ancora dormiva pacificamente. Com'era bello mi ritrovai a pensare mentre gli rimboccavo una coperta e prendevo una poltrona dove potermi sedere.
Ormai il cielo si era fatto scuro e le stelle brillavano come piccole lucciole perse in quel mare nero.

Continuavo a mantenere lo sguardo fisso su di lui sperando che si svegliasse ma il sonno in cui era piombato era talmente profondo che a malapena vedevo il suo petto alzarsi ed abbassarsi, poi la stanchezza divenne troppa perfino per me e mi addormentai in una posizione scomposta sulla poltrona.

--

Venni svegliata dal canto degli uccellini e dal sole che filtrava dalla finestra colpendomi gli occhi.

"Buongiorno", sussurrai alla figura sotto le coperte che iniziava a muoversi.

"Giorno", fu la risposta che ricevetti prima che si voltasse dall'altra parte e continuasse a dormire.

"Ti ricordi qualcosa di ieri?", chiesi in un sussurro e lo vidi riflettere alcuni secondi.

" Vediamo...siamo andati a teatro e poi uscendo ho rivisto Violet", affermó un po' confuso per poi continuare "e poi come siamo tornati a casa?"

Non ce la feci a dirgli cos'era realmente successo, come in realtá mi aveva picchiata e poi era svenuto e mi limitai quindi a spiegare che Albert ci aveva riaccompagnati in carrozza.

"E tu cosa ci fai nella mia camera?"
La domanda era piú che lecita.

"Ehm..ero venuta a vedere come stavi." Accompagnai tutto con un sorriso per rendere la scusa piú credibile e per un momento pensai che ci avesse creduto.

"Basta cazzate Juliet."
Beccata.

"Senti, se vuoi la veritá te la dico", proposi ormai stanca delle bugie ed iniziai a raccontare e ad ogni parola la sua espressione di stupore si trasformava in disgusto verso le sue azioni finchè il racconto terminó e lui uscí di corsa.

"Cam, aspetta!" Gli corsi dietro cercando di raggiungerlo e lo vidi seduto in una delle panchine del giardino.
Mi avvicinai e gli poggiai una mano sulla spalla ma lui la scostó.

"È meglio se mi stai lontana, potrei farti di nuovo del male", affermó abbassando lo sguardo ed io mi avvicinai sempre di piú a lui finchè i nostri visi non furono a pochi millimetri di distanza.

"Non è stata colpa tua, eri sotto l'effetto di quella bevanda."
Gli accarezzai la guancia con il palmo della mano ma lui si giró dal lato opposto e si portó le mani davanti al viso nel tentativo di nascondere il dolore.

"Chi ti ha fatto quei segni?", chiese indicando gli aloni neri che avevo sui polsi lí dove lui li aveva stretti il giorno precedente.

La risposta era fin troppo ovvia "tu."

Si alzó e prima di andarsene mi rivolse queste parole: "Perdonami per tutto, anzi, non merito di essere perdonato, scusami e basta per tutto quello che ho fatto" cercai di prendere la parola ma mi fermó con un gesto della mano; "non importa se l'ho fatto contro la mia volontá, io l'ho fatto e basta." E a quel punto cominció a camminare lungo il viale fiorito senza voltarsi indietro.
Non potevo lasciarlo andare cosí, si era comportato male anche prima di bere quella bibita ma non per questo l'avrei lasciato solo.

"Cam" dissi raggiungendolo, "credo di poter prendere da sola le mie decisioni e ho deciso che ti do una seconda possibilitá."

"Ti ho giá detto che non la merito" fu l'unica cosa che rispose.

"Potró deciderlo io o devi farlo tu per me?"

"Sei una stupida se la pensi cosí." Non aggiunse altro e ciò mi ferí.

"In questo caso voglio essere una stupida perchè sono sicura che ne varrá la pena."
Le sue labbra si avvicinarono alle mie e uno 'scusa' fu mormorato in modo impercettibile prima che un bacio morbido fosse poggiato sulla mia bocca.

"Non ti deluderó", si limitó a dire per poi prendermi in braccio e portarmi sotto un salice piangente i cui rami si muovevano armonicamente a causa del leggero venticello.

"Posso chiederti una cosa?" Non ne sapevo il motivo ma quando le cose stavano andando bene trovavo sempre un modo per incasinarle.

"Certo." Tutta la sua attenzione era puntata su di me.

"Ieri sera, quando mi hai presentato Violet, hai detto che era la tua...e poi ti sei corretto dicendo amica, vorrei sapere cosa intendevi."

"Semplice" disse lui, "Violet è la mia ex. Non so come facessi a saperlo ma la mia mente mi ha detto quello appena l'ho vista e non so perchè ma ho perso il controllo, mi sentivo attratto da lei."

"Io credo di saperlo", affermati ridendo "aveva una scollatura da fare invidia a chiunque.

"No no", rispose "non era quello."

"Mi prendi anche in giro", gli dissi facendolo ridere.

"Ho giá qualcun'altro in testa" affermó amiccando.

"E chi sarebbe?" Chiesi curiosa.

"Albert ovviamente" concluse dandomi un bacio sulla testa e andandose ridendo.

Trapped. |Cameron Dallas|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora