Capitolo 19

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Milano

Gianluca era appena andato dal padre, per dirgli che l'indomani non sarebbero tornati a casa da soli, ma che voleva portare Ginevra e farla conoscere a tutta la famiglia. Ci teneva a dirglielo di persona, voleva vedere la faccia del padre, per lui il suo parere era importante, e Ginevra era una cosa seria, imprevista ma seria. Si per Gianluca, Ginevra era uno splendido imprevisto.
Ercole lo aveva abbracciato, si era complimentato, sapeva che per il figlio era una cosa importante, perché quando faceva entrare di mezzo la famiglia la cosa si faceva seria. Per quanto riguarda Ginevra, la reputava una ragazza in gamba, sapeva della sua precedente vita avventurosa, ma si vedeva che era cambiato qualcosa in lei, in fondo anche il figlio era così.
Uscì dall'albergo del padre, ed entrò in auto per dirigersi a casa di Ginevra per cena.
Non l'avrebbe mai detto ma lei, era un vero talento in cucina, e quella sera gli avrebbe preparato il sushi, uno dei suoi piatti preferiti. Prima di imboccare la strada che portava all'abitazione di Ginevra, decise di passare all'enoteca per prendere un vino adatto all'occasione. Scelse un rosso pregiato. Doveva essere tutto perfetto, si era anche vestito di tutto punto, e per sistemare il ciuffo aveva impiegato più del solito.
Salì sulla sua BMW nuova di zecca, mise in moto e partì.
Su quella strada non c'era mai traffico, perché l'appartamento di Ginevra si trovava in una zona non residenziale, più appartata, infatti, la sua camera da letto affacciava su una piccola campagna.

L'orologio sul suo polso, segnava le 19:51, quattro minuti indietro rispetto all'iPhone; decise di aggiustarlo.
Distolse lo sguardo dalla guida una frazione di secondo, ma bastò a impedirgli di vedere che un cane si era piazzato nel bel mezzo della strada. Quando lo vide era troppo tardi per evitare un'incidente.
L'orologio si slacciò dal polso cadendo sul sedile. Afferro' il volante con tutta la forza che gli veniva, lo strinse così forte che le nocche divennero bianche. Il suo cervello era in standby, non sapeva cosa fare.
In un attimo si vide passare davanti agli occhi tutta la sua vita, breve ma intensa: il suo primo pensiero fu Ginevra, poi la famiglia, suo fratello Ernesto, il nonno, gli amici, Piero, Ignazio, il palco, i concerti, Torpedine, le fan, Montepagano, Roseto, loro tre a Sanremo, l'America...tutto. Voltò a sinistra.
L'auto andò a sbattere contro un albero; un boato andò a colmare il silenzio di quella strada.
Era tutto così confuso: il rumore dei vetri rotti, un ramo che si spezzava e colpiva l'auto entrando dal finestrino, poi sbatteva contro lo stereo, interrompendo la melodia di Talking to the moon, la canzone che cantava a Ginevra.
Prima di andare a sbattere la testa sul volante, premette sull'airbag. Nell'altra mano aveva l'orologio che forse aveva raccolto sbadatamente in quel caos. Lo strinse violentemente nel suo pugno quasi come per dargli la colpa e imprecò un"merda".
Voleva uscire ma la porta non si apriva perché l'albero la teneva bloccata. Mentre si sforzava per uscire, un dolore sordo avvolse la sua gamba sinistra e si accorse di essere incastrato.
Toccò la gamba con una mano e quando la tirò su, le sue dita erano avvolte in un liquido rosso: stava sanguinando.
La testa girava troppo forte per ragionare.
Si abbandonò sul sedile con gli occhi chiusi, quando sentì qualcosa di caldo e umido che si muoveva sulla sua mano sporca di sangue. Aprì gli occhi, era un grosso cane bianco con gli occhi tristi e la lingua penzoloni; era il cane che stava sulla strada; almeno era riuscito a scansarlo.
Cercò il telefono, doveva chiamare i soccorsi, il dolore alla gamba era lancinante ed era incastrato. Con le ultime forze chiamò il 118, diede indicazioni sul luogo e comunicò che era incastrato in modo che pensassero loro a chiamare i vigili. Non ebbe neanche il tempo di staccare, che il telefono cadde sul tappetino tra il cambio e il freno mano, e lui perse i sensi.
Chiuse gli occhi, ma non prima però di ripensare a Ginevra: il suo sorriso, il suo modo di muoversi, il suo profumo, le sue labbra avide. Anche nei pensieri la visione era sfuocata.

Qualche ora dopo...

Mia stava preparando la valigia quando vide il telefono sul letto che s'illuminava. Lo prese tra le mani e vide che era Piero. Esitò, non sapeva se doveva rispondere, lei stava per tornare a Naro e dirgli che adesso si sentiva pronta a stare con lui ma non aveva intenzione di dirglielo per telefono. Lo squillo terminò e dopo qualche secondo riprese sempre più insistente. Rispose:
"Pronto"
"Mia, scusami se ti disturbo. Ti giuro che non ti avrei cercata se non fosse stato urgente"
Quelle parole non le fecero piacere, lei voleva essere cercata da lui, e lui non la disturbava mai, anzi, ma cercò di non farci caso. Doveva concentrasi per sapere cosa stava succedendo di così urgente.
"Piero che è successo!?"
"Ercole mi ha chiamato tre ore fa e mi ha detto che Gianluca ha avuto un'incidente. Ho preso un volo e sono venuto qui di corsa. Mi trovo all'aeroporto, mi devi fare un favore"
"Un incidente!? Dimmi cosa posso fare"
"Devi venirmi a prendere perché se prendo un taxi e mi faccio fermare all'ospedale potrei attirare attenzione da parte dei paparazzi e Michele mi ha detto di tenerli lontani"
"Ok! Non ti preoccupare vengo subito".

Salve a tutti. Cosa ne pensate di questo capitolo? E quale delle tre storie vi sta piacendo di più? Mi piacerebbe molto sapere la vostra opinione.

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