Capitolo 30

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Milano... clinica privata... reparto ginecologia...

Ignazio con la testa china verso il basso, lo sguardo perso nel grigio delle mattonelle, le mani unite che si agitavano nervose, e sulla t-shirt bianca, una piccola macchia rossa, che solo a guardarla gli faceva riempire gli occhi di lacrime, perché sapeva che quello non era semplice sangue, ma quella poteva essere una parte di suo figlio.

Nelle orecchie sentiva ancora le urla di Bianca, che si contorceva per il dolore tra le sue braccia, e lui era lì, che non poteva fare nulla, se non portarla in una clinica.
Per la prima volta si sentiva impotente di fronte al mondo; per la prima volta lui, si sentiva nessuno.

Era seduto appena sulla punta della sedia, e con i piedi piantati con forza contro il pavimento, pronti a scattare all'impiedi nel caso quella maledetta porta si aprisse per far entrare un dottore; ma quella porta non si apriva mai, e se lo faceva non era per lui.

Alzò il capo, rivolgendo lo sguardo prima sull'orologio appeso all'imponente parete bianca, che segnava le sei in punto del mattino, poi guardò oltre la grande vetrata, attraverso le fessure della tendina in plastica verde.  
Il cielo si era schiarito, e quella falce di luna, pian piano scompariva nell'azzurro, per lasciare il posto al sole.
Guardava quel cielo e non lo riconosceva, guardava quel l'azzurro e non lo riconosceva, vedeva solo il rosso.
Il rosso del sangue che dipingeva le lenzuola, il rosso della paura negli occhi, il rosso delle grida per il dolore, che squarciavano il silenzio nella quiete della notte.
Nei suoi occhi c'era solo il rosso, un rosso cupo e denso, che faceva rabbrividire, un rosso simile ai crisantemi; un rosso che sembrava la morte, più del nero.    
     
Erano due ore che stava aspettando, e nessuno era in grado di dirgli cosa stava succedendo.
"Non si prepccupi... la stanno visitando" dicevano gli infermieri. Ma lui non ne poteva più di quella attesa, fosse stato per lui sarebbe entrato con la forza, ma il padre di Bianca lo aveva fermato. Gli aveva fatto capire che facendolo, avrebbe solo peggiorato le cose; quella era una buona clinica e i dottori, sicuramente, stavano facendo del loro meglio.
La madre di Bianca, era seduta lì davanti a lui, e cercava di trattenere le lacrime con scarso successo, mentre il marito gli posava una mano sulla spalla per consolarla e incoraggiarla. Dopo qualche minuto la tolse per avviarsi verso un infermiere, che si trovava in fondo al lungo corridoio bianco.
Gli chiese se per favore poteva entrare e fargli sapere qualcosa.
"Va bene ... vedrò cosa posso fare" furono le sue parole prima che entrasse proprio nella stanza in cui era Bianca.
Ignazio si alzò per avvicinarsi il più possibile e per cercare di vedere qualcosa, ma tutto quello che vide era un camice bianco con qualche schizzo rosso, di una dottoressa forse, e poi l'infermiere che gli si parava davanti, chiudendo la porta e facendo cenno di attendere.

Tornò a sedersi su quella sedia, stavolta con la testa appoggiata al muro e sospirando per mantenete la calma.
"Cosa sei riuscito a vedere?" chiese la madre di Bianca, interrompendo per un secondo la pioggia che sgorgava dal cielo grigio dei suoi occhi; gli stessi occhi di sua figlia, la stessa espressione preoccupata. Per un attimo rivide tutta la scena, di nuovo, poi chiuse le palpebre per scacciare via l'immagine.
"Niente" rispose sbuffando.

La maniglia si abbassò, Ignazio scattò in piedi, e in meno di un secondo si piazzò di fronte allo stesso uomo che prima gli aveva chiuso la porta in faccia.
Lo guardò interrogativo e con il viso pallido, poi si avvicinarono anche i genitori di Bianca.
"Aspettate un minuto... sta per uscire la dottoressa che si è occupata della signorina Sorrentini... è meglio che parli lei" disse l'infermiere con lo sguardo compiaciuto.
"Che vuol dire è meglio che parli lei" rispose Ignazio alzando un po troppo la voce e fulminandolo con lo sguardo.
Ci pensò la dottoressa a rispondergli, che proprio in quell'istante stava uscendo con una cartella fra le mani.

"Siete i genitori?" domandò.
Loro annuirono subito per rendere più vicina la risposta.
"Mi dispiace... l'embrione era lungo appena due centimetri e mezzo     ... era solo alla nona settimana... non abbiamo potuto fare nulla... la gravidanza era complicata... ma la madre sta abbastanza bene...ha perso del sangue, e le abbiamo fatto una trasfusione…  adesso sta riposando ma fra poco potrete vederla".

Ignazio si allontanò: le mani fra i capelli, le gambe che si agitavano senza sosta colpendo con forza le sedie, facendone staccare una dal muro; le lacrime che si accumulavano varcando la soglia dei suoi occhi e facendoli sembrare un mare agitato e violento.
Una piccola, calda e copiosa goccia scendeva sul suo viso, fino alla bocca, rendendo ancora più amaro il sapore della saliva.

"NON È GIUSTO... LO AVEVO SAPUTO DA POCO...NON HO AVUTO NEANCHE IL TEMPO DI ABITUARMI" urlava con la voce rotta e appoggiando la testa al muro, scuotendola per convincersi che non era vero, ma invece lo era.
La dottoressa si avvicinò posandogli una mano sulla spalla:
"Si faccia coraggio... lei è giovane... potrà averne altri... si vede che era destino" disse per poi andare via.

Che destino è? Si domandava.
In quel momento riusciva a provare solo schifo per quel destino, che prima lo rendeva padre all'improvviso e poi, proprio mentre si abituava, lo pugnalava facendoglielo perdere davanti agli occhi. Continuò a prendere a calci quella sedia fino a romperla definitavemente, poi non contento prese a pugni il muro fino a sentire male alle nocche.
Si fermò solo quando si sentì mancare l'ossigeno nei polmoni. Appoggiò la schiena sulla parete e  si lasciò scivolare sul pavimento, sedendosi sopra, e annaspando alla ricerca di aria che non riusciva a trovare: in quel momento anche respirare sembrava impossibile.

La madre di Bianca sospirò nel sapere che la figlia stava bene, ma   continuava a piangere per il bambino, e lo guardava disperarsi mentre il marito l'abbracciava per dargli forza. Anche lui, il padre si tratteneva per non cedere alle lacrime, lui non poteva, doveva essere forte.

Dopo qualche minuto lo fecero entrare nella sua stanza: Bianca era stesa a letto, e aveva la testa  girata dall'altro lato: stava guardando il sole che spuntava dietro  una nuvola passeggera, e stava piangendo.
Il suo viso lucido, era pallido e stanco, una luce cupa e triste regnava nei suoi occhi azzuri, simili a un oceano in tempesta, ma era sempre bella.
Ignazio si avvicinò al suo letto e l'abbracciò, la strinse forte al petto, la baciò sulla fronte sudata. Appoggiò le labbra sulla sua testa, serrandole, e chiudendo gli occhi per trattenere il pianto.
"Nostro figlio... Ignazio nostro figlio" "Ssh... non piangere... ti prego non piangere" disse guardandola negli iridi e asciugandole una lacrima con il pollice, poi la strinse ancora di più a se.
"Supereremo tutto questo insieme amore mio" aggiunse per confortarla.
Bianca annuì: "ti amo" rispose in un sussurro, perché il pianto le soffocava la voce, spezzandola e rendendola ruvida.
Si baciarono dolcemente, poi lei si
addormentò con la testa sulle sue gambe, lasciandosi accarezzare i capelli madidi di sudore, mentre lui le cantava Memory, alternando parole, lacrime e baci per consolarla, per consolare entrambi.

Forse davvero era destino che doveva andare così, forse la vita aveva qualcosa in serbo per loro, ma questi erano solo dei "forse". La cosa sicura era una e soltanto una: loro si amavano troppo per lasciarsi abbattere.

Ciao a tutti!!!  Manca poco alla fine… spero di non avervi deluse. Volevo ringraziarvi per i voti e i bellissimi commentisiete davvero gentilissime.
Comunque secondo voi come andrà a finire?

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