Chapter 9 - Moments.

944 74 21
                                    

Chapter 9.


"Buonasera, sono Lisa Presley. Potrei parlare con il signor Jackson, per favore?" – Dissi con la voce visibilmente irritata, passandomi una mano tra i capelli e sbuffando.
Cominciai a camminare concitatamente, attraversando la mia tenuta in lungo e in largo e percorrendo ogni piccolo metro pur di provare a placare il mio crescente nervosismo.
Trascorsi l'intera giornata a comporre il suo numero, avevo un forte bisogno di parlargli, ma non riuscivo a trovare il momento adatto per poter ascoltare la sua voce, dato che era sempre molto occupato.
Mi rispondevano di continuo i suoi assistenti, ripetendo molteplici volte la medesima risposta e facendomi innervosire e preoccupare più di quanto non fossi già.
"Mi dispiace, il signor Jackson non può rispondere." – Disse una voce femminile dall'altro capo del telefono, ormai spazientita dalle mie continue chiamate giornaliere.
Era sempre così, mai una volta che si presentasse lui a rispondere alle telefonate, non erano certamente compiti che toccavano ad una grande star come lui, non poteva di certo calarsi a quelle bassezze.
Era il Re del pop, un artista di elevata fama mondiale, un uomo capace di ottenere qualsiasi cosa con una semplice richiesta e colui che poteva avere una grande quantità di donne ai suoi piedi.
Io, invece, ero soltanto una semplice ragazza che aveva ereditato dal padre un considerevole cognome e che, dopo la sua morte, aveva dato del suo meglio per far sì che si lasciasse scivolare via la vecchia reputazione.
Non riuscivo a capire il motivo del suo comportamento, nonostante mi sforzassi e provassi a comprendere le sue difficoltà e la scarsa facoltà di possedere del tempo libero da parte sua.
Era trascorsa una settimana dal party a Neverland, una settimana dal nostro intenso bacio, un evento che sicuramente aveva giocato una parte fondamentale nel nostro rapporto e, a mio parere, lo aveva completamente deformato.
Provavo una profonda confusione nella mia testa e non si trattava di pentimento, avevo imparato a rendermi conto delle azioni che compivo e quella non era da sottovalutare o, peggio ancora, da ripudiare.
Mi aspettavo una sua reazione, da quel momento non ci eravamo più sentiti a causa del suo lavoro, ma io avevo la necessità di parlarne per sapere cosa fossimo diventati.
Non era stato un comune bacio dato per il troppo tempo trascorso insieme, me lo sentivo, lui aveva desiderato quel contatto quanto me e non si era tirato indietro.
C'era stato qualcosa di forte, ci eravamo toccati come se le nostre mani avessero desiderato continuamente di sfiorarsi e i nostri corpi, una volta trovatisi a contatto, cominciarono a bramare di puro desiderio.
Provavamo entrambi qualcosa di molto profondo, non poteva essere stato uno sbaglio, neanche qualcosa che non andasse oltre la pura passione fisica, era stato un bacio che ci aveva travolti come un fiume in piena.
Era da quel momento in cui cominciai a sentire il costante bisogno di vederlo e di toccarlo, di stringergli le mani e di sentire il suo profumo, ma Michael non faceva altro che rifiutare le mie chiamate e di far rispondere alle persone che lavoravano per lui, le quali non riuscivano a darmi notizie sul suo stato di salute.
Ero molto preoccupata, credevo stesse male e che non avesse voglia di parlare con nessuno, ma non avrei potuto resistere a lungo in quelle condizioni di estremo silenzio.
Non riuscivo a starmene a casa in preda all'ansia che mi divorava, sentivo che aveva bisogno di qualcuno con cui trascorrere del tempo, non era un uomo in grado di poter vivere una solitudine, non in quel periodo della sua vita.
Era estremamente abbandonato a sé stesso, in preda ai suoi dolori e ai tormenti che lo divoravano a fondo, fino a toccargli le corde più intime dell' anima.
Il tour lo aveva stancato moltissimo ed oggettivamente era un uomo visibilmente stanco ed affaticato, bisognoso di affetto e di comprensione, ma soprattutto di una persona capace di donargli delle attenzioni di cui necessitava.
Era sera, gettai uno sguardo sull'orologio che decorava il mio polso e notai stupita che fossero le nove, anche se era un po' di tempo che trascorrevo le ore senza che me ne accorgessi.
Non faceva più differenza, ormai.
Reggevo tra le braccia mio figlio Benjamin, mentre gli sussurravo delle dolci melodie e gli accarezzavo la testolina, aspettando che si addormentasse e che scivolasse nel mondo dei sogni, dove si sarebbe trovato al sicuro e al riparo da tutto.
Quella sera i pensieri erano parecchi, continuavo a pensare a Michael, al meraviglioso bacio che ci eravamo scambiati e alla nostra amicizia che era stata palesemente compromessa da quel gesto che, a quanto sembrava, non aveva ancora molto significato.
Nella mia vita, in numerose occasioni, avevo sempre lasciato che fosse il mio cuore a decidere cosa fosse il meglio per me, errando, di conseguenza, anche le azioni più avventate.
Quella volta, nonostante avessi commesso molti errori, sentivo che fosse il momento buono in cui avrei dovuto dar ascolto al mio cuore che urlava e scalpitava in presenza di un uomo.
Avrei dovuto prendere le decisioni che mi dettava ed essere felice, senza farmi scrupoli, perché ero convinta che sarebbe stato meglio avere un rimorso che un rimpianto.
Sarei dovuta correre da lui e gettarmi tra le sue braccia, le quali mi accolsero nei momenti di difficoltà e mi strinsero nelle situazioni dolci e romantiche, trasmettendomi piacevoli sensazioni mai provate prima.
Avrei lasciato che fosse Danny ad occuparsi dei bambini per quella notte, rimanere a fare il padre per qualche ora non gli avrebbe di certo distrutto la reputazione, ma al contrario lo avrebbe aiutato, forse, a renderlo una persona migliore.
"Ti dispiace occuparti dei bambini, per questa sera?" – Gli chiesi, trovandolo seduto sul divano del soggiorno, intento a guardare un programma musicale in televisione.
Si voltò di scatto nella mia direzione, mentre ero intenta a depositare frettolosamente i miei accessori dentro la borsa.
"Dove stai andando?" – Chiese, alzandosi immediatamente e raggiungendomi sull'uscio della porta.
"Sto uscendo, farò tardi. Posso fidarmi di te, padre affidabile e presente?"
"Si, certo." – Mormorò confuso, guardandosi intorno e poggiandosi le mani intorno alla vita in atteggiamento duro e imponente.
Afferrai velocemente il mio soprabito e lo indossai, mi sistemai alla rinfusa i capelli dinanzi allo specchio e presi le chiavi della macchina.
Aprii la porta dell'ingresso della mia abitazione, mentre Danny era fermo alle mie spalle e non smetteva di riempirmi di continue domande sul motivo della mia uscita a quell'ora della sera.
"Lisa, mi dici dove stai andando?" – Chiese in tono severo, stringendomi fortemente un braccio per impedirmi di varcare la soglia.
"Non sono tenuta a dirtelo." – Sussurrai, diedi un forte strattone nella sua direzione e mi liberai dalla sua presa, dirigendomi speditamente verso la mia auto.
I miei passi riecheggiavano sull'asfalto della strada, lasciando che i tacchi delle mie scarpe emettessero un leggero rumore, il quale riusciva a coprire la sensazione di nervosismo che possedevo.
Misi in moto rapidamente e mi lasciai trascinare nel limitato traffico cittadino, fuori regnava il silenzio e una dolce brezza mi scompigliava i capelli, donando loro un'aria sbarazzina e disinvolta.
Mi accorsi di essere arrivata a Neverland quando il maestoso cancello si aprì alla mia comparsa e le mie gambe cominciarono a tremare e a farsi pesanti, come se facessero fatica a muoversi.
Mi sentii il cuore in gola e mi resi conto di essere stata riconosciuta dalle telecamere soltanto poco dopo, dal momento in cui venni aperta con molta semplicità.
Michael doveva essere per forza in casa, era stato lui a dare il permesso ai suoi dipendenti di aprirmi, altrimenti non sarei mai riuscita ad andare oltre il cancello.
Rimasi nell'auto a fare dei respiri profondi, non capivo perché mi stessi comportando in quel modo, in fin dei conti era soltanto Michael e non avrei mai potuto sentirmi a disagio in sua presenza.
All'improvviso, la portiera al mio lato si aprì, lasciando scorgere un'imponente figura ai miei occhi.
"Signora Presley, buonasera! Il signor Jackson la sta aspettando." – Disse un giovane ragazzo, invitandomi ad uscire e a seguirlo nella lussuosa tenuta.
Non risposi, mi limitai a lasciarmi accompagnare da quell'uomo in quella casa che avevo sempre ammirato e nella quale, di lì a poco, avrei incontrato gli occhi più belli che io avessi mai visto in tutta la mia vita.
La porta di ingresso mi venne aperta da una donna non molto giovane, la quale mi sorrise cordialmente e mi aiutò a togliermi il soprabito, facendomi cenno di accomodarmi all'interno del salone.
Michael era lì, seduto su un divano antico in pelle, assorto tra i suoi pensieri e non si accorse immediatamente del mio arrivo.
La luce del camino illuminava quella stanza e la riscaldava con il suo tepore, donandole un'atmosfera molto romantica ed idilliaca.
"Michael..." – Sussurrai piano, la voce venne a mancarmi completamente e venni invasa da un forte calore esaltante che si diramò in ogni parte del mio corpo.
Si voltò di scatto nella mia direzione e si alzò in piedi, raggiungendomi rapidamente e stringendomi in un caldo abbraccio che mi fece sentire al sicuro e al riparo da ogni male.
Sembrava stare bene, il mio incubo era finalmente cessato.
"Lisa, grazie per essere venuta."
"Perché non rispondi al telefono? Ero così preoccupata!" – Dissi con un sospiro di sollievo, avvicinandomi nuovamente a lui per abbracciarlo.
"Ero in studio, mi dispiace."
Fece una piccola smorfia desolata e mi accarezzò la guancia con le nocche della sua mano, mentre con l'altra mi teneva per i fianchi e mi stringeva maggiormente a sé, in un disperato bisogno di un contatto.
In quegli istanti venni travolta dall'irrefrenabile desiderio di baciarlo per il piacere di poter percepire nuovamente la sua bocca sulla mia, osservavo le sue labbra con avidità, immaginandole mentre si muovevano con dolcezza ed eleganza contro le mie.
Portai le mie dita sulle sue basette e le spinsi verso il basso, sfiorando la pelle delle sue guance e terminando la mia carezza sul suo mento.
"Fallo." – Disse con un filo di voce, chinando di poco il capo per guardarmi negli occhi, assumendo un atteggiamento protettivo e dolce allo stesso tempo.
Mi lesse nel pensiero, era un maestro anche in quello, riusciva a scorgere i miei sentimenti ed ogni volta che mi trovavo in sua presenza mi sentivo privata da una qualsiasi copertura.
Con lui non esistevano maschere, ero semplicemente me stessa.
"Posso?" – Balbettai, avvicinandomi al suo viso e lasciandogli un piccolo bacio all'angolo della bocca, mentre egli mi parlava sensualmente nell'orecchio.
"Si, ti prego. Tutte le volte che vuoi."
Si lasciò sfuggire un sussurro che percepii sulla mia pelle, eravamo estremamente vicini e lui era poggiato con le spalle contro il muro, mentre con le sue mani mi teneva saldamente per i fianchi.
I suoi occhi erano tristi e trapelavano malinconia, era un uomo molto fragile e con il costante bisogno di sentirsi amato.
Mi piaceva il suo essere timido e un po' impacciato, per poi dare spazio ad una parte di lui non conosciuta da tutti, ovvero quella contenente la sua sensualità e il suo comportamento da uomo caldo ed emotivo.
Mi appoggiai al suo corpo esile e magro e accostai le mie labbra alle sue, coinvolgendole in un bacio leggero e delicato, dato per il puro piacere di percepire la sua bocca premere sulla mia.
I suoi denti mi morsero dolcemente il labbro inferiore, mi passò una mano tra i capelli e la sua lingua tornò ad accarezzare la mia in piccoli movimenti alternati, come se fosse un gioco nel quale Michael aveva intenzione di trascinarmi.
"Sei bellissima..." – Biascicò con la voce estremamente bassa e calda, facendomi rabbrividire.
Due parole bisbigliate appena, pronunciate con un tono emozionato e timido, come se avesse avuto timore di pronunciarle, considerate "di troppo".
Una frase del genere non poteva non procurare una piacevole sensazione nei confronti della donna a cui era destinata ed io, nel corso degli anni, l'avevo sentita molto spesso.
Quella volta, però, mi lasciò letteralmente senza parole.
Non riuscivo a capire cosa provassi nei confronti di quell'uomo, forse ne temevo i sentimenti, i quali mi avevano consigliato più volte la strada sbagliata da intraprendere.
L'unica cosa certa era che io in sua presenza mi sentivo diversa, come se soltanto con lui riuscissi ad essere veramente me stessa, grazie al suo essere protettivo e premuroso nei miei confronti.
Provavo emozioni molto forti con lui, sensazioni che mai nessun uomo era stato capace di regalarmi.
"Ti va di venire a cena fuori con me?" – Mi chiese, prendendomi dolcemente la mano e portandosela alle labbra per baciarne il dorso.
Sarei andata con lui ovunque, dopotutto a me interessava la sua presenza e che stesse bene, quando ero con lui il resto rimanente passava in secondo piano.
Era proprio quella una delle cose che più mi colpirono in Michael, era abile nel trasportare le persone in dimensioni differenti a quelle nelle quali si trovavano, riuscendo a farle stare bene.
Quella sera, però, non mi andava di lasciare Neverland, perché sarebbe stato molto faticoso gestire una serata con Michael Jackson e avrebbe portato molte difficoltà delle quali non mi andava di occuparmi.
Egli aveva un volto eccessivamente stanco, riusciva a reggersi in piedi a malapena ed ero dell'avviso che avrebbe dovuto soltanto riposarsi, invece di andare in giro per le strade di Los Angeles soltanto per compiacermi.
Non era giunto ancora il momento.
"Michael, non mi sembra il caso, non offenderti. Credo sia meglio rimanere qui, sei molto stanco e devi riposarti."
"Non vuoi farti vedere in giro con me?" – Intervenne immediatamente, passandosi entrambe le mani sul volto e sospirando.
"Certo che voglio! Forse è ancora presto, sarebbe meglio se aspettassimo, in modo da stare tranquilli."
Annuì con il capo e si accarezzò il mento.
"Possiamo sempre stare insieme e goderci il silenzio di Neverland. Che ne dici?" – Dissi, toccandogli piano la guancia, avvertendo la morbidezza della sua pelle a contatto con la mia.
"Mi basta stare con te." – Sussurrò, lasciando che le sue labbra si piegassero in un piccolo sorriso spontaneo.
Il suo sguardo aveva smesso di essere triste, spento e privo di alcuna emozione, come quello che possedeva mesi fa, durante il periodo delle accuse e di quello che cominciò a renderlo ancora più debole e fragile di quanto non fosse già.
Sorrisi a mia volta e mi avvicinai alle sua bocca per lasciargli un piccolo bacio a fior di labbra, durante il quale percepii il mio corpo nuovamente in balia del desiderio insaziabile che possedevo nei confronti di quell'uomo.
Non riuscivo a fare a meno di tentare un continuo contatto con il suo corpo, era come una forte calamita che aveva il compito di trattenermi e di farmi abbandonare alla sua forza.
Avevo avuto modo di provare sensazioni simili nel corso degli anni, ma con Michael era tutto molto diverso.
Conoscevo i tipici sintomi dell'attrazione fisica, la quale non rimaneva all'oscuro in sua presenza, bensì cresceva smisuratamente, mettendomi a dura prova.
C'era altro, nonostante il desiderio fisico e materiale, qualcosa che andasse ben oltre, capace di rendermi inerme ad ogni situazione.
"Ti preparo qualcosa da mangiare, ti va?" – Chiesi in tono dolce e materno, nonostante la nostra differenza di età fosse notevole.
Si lasciò sfuggire dalle labbra un breve "Si", accompagnato da uno spontaneo sorriso, uno dei più belli che io avessi mai notato sul suo volto.
Aveva un magnifico modo di sorridere e avrebbe dovuto farlo spesso, avrebbe dovuto lasciar perdere le sue insicurezze e i suoi timori, perché davvero non esistevano.
Facevano soltanto parte della sua mente e del suo passato difficile, al quale si aggiunse un'infanzia tormentata e priva di alcun divertimento che lo rese un uomo molto timido e pieno di rancori.
Era la persona più buona e generosa che io avessi mai conosciuto e il pensiero di aver condiviso con lui molti momenti appartenenti alla sua intimità mi rese orgogliosa.
Avevamo dormito insieme nello stesso letto, ci eravamo abbracciati numerose volte e ci eravamo persino baciati come due persone che non riuscivano a stare lontane.
Quell'idea mi spinse a toccarmi le labbra, come a voler risentire sulla mia pelle il calore della sua bocca mischiata al tepore dei suoi baci, i quali mi stordirono come una potente droga.
Qual era il vero motivo di tutto quello?
Perchè ci eravamo baciati e avevamo continuato a farlo, come se non avessimo fatto altro che aspettare quel momento da mesi?
Perché nessuno dei due era riuscito a porre la parola fine, prima ancora che potesse trasformarsi in inizio?



Heroine.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora