Chapter 26 - Now what?

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Siamo arrivati all'ultimo capitolo di questa storia, un po' a malincuore. Volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto e recensito, grazie di cuore. Inoltre, come ho già detto, ci saranno due sequel che spero possano piacere ugualmente. Detto ciò, vi lascio al capitolo e vi do appuntamento a gennaio. xx

Un bacio!





Chapter 26.





"Signora, mi sta ascoltando?" - Disse l'uomo seduto di fronte al mio sguardo, catturando la mia attenzione prima che fosse troppo tardi.
Ero in quell'ufficio da qualche scampolo di tempo per risolvere uno degli affari che una donna non avrebbe mai voluto sbrigare, perché seppure piena di collera e rabbia, una donna sperava sempre nel meglio per sé e per la propria famiglia.
Non avevo idea di cosa stesse dicendo quell'uomo, ero in forte imbarazzo, poiché non avevo ascoltato minimamente una singola parola del suo discorso e mi ero finta ipocritamente interessata.
Non stavo trascorrendo uno dei momenti migliori dell'arco della mia vita, ero sconvolta, arrabbiata e furiosa, per meglio dire e non ero a conoscenza di nessun trucco che mi portasse via dalla monotonia di quel periodo.
"Mi scusi, ha ragione. Stava dicendo?" - Dissi, desolata, invogliandolo a proseguire.
"Stavo dicendo che dal divorzio lei potrà ottenere molti vantaggi, tra cui anche delle vistose somme di denaro da parte del suo ex marito."
Denaro, denaro, denaro, non si parlava di altro.
Ogni cosa che si compieva era una via che avrebbe condotto a scopi economici, perché l'uomo nasceva con il costante desiderio di cercare la felicità e, non trovandola, si appagava con la presenza della ricchezza.
"Non mi interessano i soldi, l'ho già detto. Voglio soltanto risolvere questa faccenda il prima possibile."
Volevo gettarmi tutto alle spalle, perché prima Michael avrebbe firmato i documenti e prima sarei ritornata la donna che ero in passato.
Soltanto una questione di tempo, ormai me lo ripetevo di continuo, ogni giorno, ogni volta che la sensazione del mio fallimento diventava insopportabile e mi impediva di vivere la mia vita come una ragazza di ventotto anni avrebbe dovuto fare.
Ero ossessionata e l'ossessione andava curata.
Come la malattia.
"È sicura?" - Chiese l'uomo, scettico.
"Si. Dove devo firmare?" - Domandai, sollevando la testa fino a permettere ai miei occhi di superare la sua figura, disperdendo la mia panoramica verso il soffitto.
Ricevetti un cenno con il capo da parte sua, si alzò dalla poltrona in pelle che reggeva il suo peso e mi raggiunse dall'altra parte della scrivania, porgendomi dei fogli sotto le mani.
Mi indicò le diciture da convalidare ed arretrò di qualche passo, lasciandomi lo spazio necessario per compiere quell'azione burocratica in modo strettamente personale.
Quando terminai, feci scivolare la penna sulla superficie vetrosa del tavolo e diedi delle ultime rapide occhiate alle espressioni marcate in grassetto, guardando il nome mio e di Michael usato in un contesto che ci obbligava a stare lontani per chissà quanto tempo.
Forse per sempre.
"Mi occuperò personalmente di far recapitare il tutto a mio marito." - Dissi, volitiva.
Mi guardò divertito, illuminato dalle mie parole che sembravano nascondere un sentimento ancora vivo e che egli, grazie alle sue forti capacità, era riuscito a smascherare.
Riuscire a comprendermi non era più una dote, ormai chiunque mi guardasse negli occhi notava qualcosa di diverso, di evanescente.
Ero diventata la metafora di me stessa.
Tutti mi leggevano, ma soltanto una stretta cerchia di persone era nata con l'abilità di comprendermi in profondità.
"Perché ho come l'impressione che lei non voglia tutto questo?"
Si posizionò con la schiena contro la scrivania, facendo pressione, mentre le sue braccia si stringevano a vicenda e i suoi occhi non smettevano di scrutarmi.
Il lieve scricchiolio del legno di abete simboleggiò l'eccessiva resistenza che la superficie stava esercitando.
Mi alzai dalla poltrona, afferrai la cartella con i documenti e li sistemai con cura, badando bene a non tralasciare nessun foglio al di fuori.
"Non lo voglio, infatti." - Risposi con un falso sorriso, quasi infastidita da quella domanda impertinente.
"Mi perdoni. Con tutto il rispetto, ma perché lo sta facendo?" - Chiese.
"Perché per me non c'è posto nella sua vita e perché non è arrivato il mio momento di essere felice."
Annuì con il capo, aveva compreso le mie parole e quando lo sollevò verso di me, mostrò un sorriso pieno di compassione.
"Le auguro il meglio."
"La ringrazio." - Dissi, congedandolo.
Indossai il mio soprabito scuro ed uscii da quell'ufficio ampio e spazioso, perdendomi tra i molteplici corridoi della struttura, fino a trovare l'uscita.
Entrai nella mia auto ed abbandonai i documenti sul sedile posteriore, gettandoli insieme alla rabbia che nutrivo nei miei, nei suoi, nei nostri confronti.
Stavo per commettere un errore madornale, ero consapevole che si trattasse di un limite invalicabile, ma che io desideravo oltrepassare lo stesso, nonostante mi fosse stato imposto.
Volevo farmi del male per l'ultima volta.
Avevo bisogno di andare da lui.
Erano mesi che non godevo della bellezza del suo volto, erano mesi che dormivo da sola in quel letto freddo e vuoto senza di lui, ricco di ricordi e bruschi rimorsi.
Prima che la parte cosciente di me prendesse il sopravvento, inserii le chiavi nello scomparto apposito e partii speditamente, rimanendo circondata dal fievole traffico cittadino.
Non ero in me, né avevo la minima idea per la quale stessi andando nella sua residenza di Beverly Hills dopo che avevo ripetuto più volte che la storia era definitivamente terminata.
Quando arrivai dinanzi al cancello che mi avrebbe introdotta in quella straordinaria dimora provai una strana emozione, come se qualcosa mi avesse riportata a sognare e sentivo una voragine che si schiudeva al centro del petto.
Era la solida impressione che si generava ogni volta che Michael era con me.
Le luci erano accese, ma il passeggio era del tutto annullato dall'ora tarda che prevedeva la security e i dipendenti nelle proprie abitazioni.
Pensai che, forse, sarebbe stato meglio andare via e tornarmene da dove ero venuta, lasciandolo in pace a godersi la sua nuova famiglia, quella alla quale aveva tanto ambito.
L'enorme convinzione mi venne stimolata dalla lettera che mi mostrò esplicitamente i suoi sentimenti che combaciavano con i miei.
Ci completavamo, ma entrambi possedevamo delle vite troppo dissimili, eravamo distanti.
Scesi dalla mia auto ed aspettai che qualcuno venisse ad accogliermi, dal momento in cui non avevo avvertito Michael, ma poco importava.
Era irrilevante.
Nella tenuta era presente uno stretto circuito di telecamere che identificavano chiunque si apprestasse a raggiungere la dimora del re del pop.
Mi venne incontro la donna che non avrei mai voluto vedere, quella che era stata capace di distruggermi con i suoi piani per portarmi via l'uomo che ancora amavo.
L'odio era un sentimento troppo forte e potente, ne generava soltanto di altro, ma nella mia situazione credevo di essere entrata a conoscenza di esso.
Non riuscivo a guardarla con occhi diversi.
Non aveva provato un briciolo di sensibilità nei miei confronti, non mi aveva rispettata, aveva messo gli occhi su Michael pur sapendo che fosse sposato ed io lo reputavo un pessimo gesto.
"Cosa ci fai qui?" - Mi attaccò, incrociando le braccia al petto con aria infastidita.
"Sono venuta a portare i documenti del divorzio a Michael."
"Puoi darli a me, sei stata molto gentile a venire di persona."
"Devo parlare con lui." - Dissi, stizzita.
Rimase in silenzio a studiare la mia espressione del viso per poterla ricambiare a sua volta.
Era ferma a scrutarmi come se volesse intravedere il motivo per il quale Michael mi avesse sposata, scegliendo me fra tutte le donne che avrebbero potuto contendersi il titolo di sua moglie.
Eravamo l'una di fronte all'altra a rappresentare il suo presente e il suo passato.
"Lui non vuole parlare con te."
"E' ancora mio marito, lasciami entrare." - Dissi, alzando la voce e superando la sua figura, dirigendomi ben oltre.
"Michael sta facendo una doccia, io sto andando via..."
"Farò a meno di saltargli addosso." - La interruppi con fare sarcastico.
Non le permisi di rispondermi e mi precipitai in casa, trovando soltanto Mariah intenta a sbrigare le ultime faccende prima di ritirarsi nella sua stanza.
Sapevo che fosse nel bagno della sua camera ed entrai senza bussare, perché volevo che non se ne accorgesse e che rimanesse ancora quella misteriosa intimità che ci eravamo sempre procurati meticolosamente.
L'effetto sorpresa era uno dei miei punti di forza che scatenava negli uomini un istinto che facevano fatica a controllare; Michael, però, era bravo nel gestire le situazioni, tramutandole a proprio vantaggio.
Lo trovai in piedi accanto al letto, i capelli corti e bagnati, il suo torace coperto dalla stoffa di una camicia color blu notte e dei semplici boxer a celargli il bacino.
Si voltò a guardarmi quando la porta dell'ingresso si spalancò bruscamente ed emise una caratteristica risonanza che gli fece abbandonare qualunque cosa stesse facendo.
Rimase sorpreso dalla mia presenza, lievemente spaventato dal mio arrivo improvviso, così si limitò a rimanere con la bocca aperta e l'espressione incredula.
Ci guardammo come se il tempo trascorso lontani si fosse azzerato e ci avesse aiutato a studiarci con occhi diversi.
Sembrava sereno, rilassato e riposato, come non lo era da tempo.
"Come sei entrata?" - Chiese, sorridendomi.
Esitai un attimo e mi avvicinai, disponevo i miei passi uno di seguito all'altro, facendo risuonare il ticchettio dei miei tacchi lungo l'intero perimetro della stanza.
Adorava quando gli volteggiavo intorno, secondo egli guadagnavo un temperamento così sensuale da non riuscire a resistermi.
"Ho dovuto discutere un po' con la tua futura moglie, ma sono riuscita a venire qui. Ti ho portato i documenti del divorzio."
"Sai che non hai bisogno di una scusa per vedermi." - Disse, serrando la mascella.
Rimasi in silenzio con uno stupido sorriso spiaccicato sul viso, contemplavo la sua bellezza e mi chiedevo come potessi lasciare andare qualcosa di simile.
Era proprio vero quando si diceva che il destino non dipendeva dalle persone e in quel caso no, non discendeva da noi.
"Vieni con me." - Dissi, facendogli cenno di seguirmi fuori dalla stanza.
Mi obbedì e nel giro di qualche secondo ci trovammo nella sala delle prove, dove egli trascorreva gran parte del suo tempo libero a suonare, a comporre, a ballare e a dare sfogo alla sua magnificenza.
Al centro della stanza c'era un pianoforte a coda, laccato in nero; era lì che volevo arrivare, perché avevo in mente un regalo per lui.
Volevo lasciarlo nel modo migliore, facendogli comprendere che fuori dalle mura di quella casa c'era ancora una donna che lo amava.
La sua donna.
Mi sedetti al piano, mi passai una mano tra i capelli e la feci scivolare lentamente sugli occhi, fermando le poche lacrime che stavano iniziando a formarsi.
Michael era fermo contro l'uscio in mogano, era appoggiato alla sua spalla e le sue occhiate interrogative mi accennavano un'espressione sorpresa e curiosa allo stesso tempo.
Composi le prime note sentendo l'emozione salire sempre di più, fino a quando non sarebbe stato più possibile contenerla.




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