Chapter 17 - Killer.

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Chapter 17.


Agosto 1994.



Non sapevo cosa fosse l'amore, prima che Lisa entrasse nella mia vita.
Non sono neanche convinto di aver vissuto, prima di quel momento.
In realtà, Lisa è sempre stata una parte di me, ma io ero troppo distratto e cieco per poterla accettare nel mio mondo.
C'era il buio dentro me e lei mi ha regalato la luce, quella che i miei occhi non osservavano da tempo.
C'era soltanto il dolore più intenso e, adesso, non è più così.
Mi sento amato e compreso, percepisco il suo appoggio, la sua presenza e la sua comprensione.
Lisa mi capisce in tutto, non ho timori con lei, mi sento nudo di ogni velo e di ogni maschera che tenta di coprire il mio volto.
Lisa conosce il mio mondo, sa cosa mi fa bene e cosa no, si prende cura di me, quando dovrei farlo io ed è l'unica persona alla quale importa qualcosa di me.
Sono terrorizzato dall'idea di poterla perdere da un momento all'altro, vedendola scivolare via dalla mia vita.
E' l'unica scusa che ho per andare avanti.




La luce fioca e debole dell'alba penetrava attraverso le lastre in vetro delle finestre, illuminava la stanza in ogni metro quadrato e percorreva elegantemente il perimetro della sala, trasformando i suoi colori in sfumature più vivide.
Il cielo era chiaro e sereno, una sottile striscia rosea modificava il suo colore e accentuava la mancanza delle nuvole, le quali sembravano essere sparite dal giorno precedente.
Soffiava un dolce e delicato vento, riuscivo ad avvertirlo, mentre mi accarezzava i capelli e mi sfiorava la pelle.
Mi mossi nel letto, ruzzolai tra le lenzuola e trovai la piacevole morbidezza del materasso ad accogliermi, rinfrescando il mio corpo accaldato dalla notte.
Allungai un braccio verso il lato opposto, alla ricerca di un corpo da poter stringere nel sonno, mossi lentamente le dita della mia mano e mi accorsi che ero sola.
Michael non era al mio fianco, aveva trascorso la notte con me e si era addormentato nel posto accanto al mio, svegliandosi, evidentemente, prima di me.
Aprii gli occhi a fatica, sbattei le palpebre per una manciata di istanti e mi sollevai con il busto, piantando i piedi al suolo.
Indossai una vestaglia per coprire il mio corpo seminudo e camminai per la stanza, fino a percorrerla interamente e fermandomi dinanzi all'entrata del balcone.
Michael era appoggiato con i gomiti alla ringhiera in ferro battuto, mi dava le spalle e sembrava essere molto preso dal panorama sottostante, tanto da dedicargli la sua preziosa attenzione.
Forse era soltanto un momento in cui si soffermava a riflettere su una manciata di avvenimenti in particolare, forse voleva soltanto fuggire al chiasso giornaliero e distrarsi con la natura che lo circondava.
Indossava soltanto un paio di boxer, riuscivo ad osservare perfettamente i muscoli ben definiti delle sue cosce, i quali donavano loro un aspetto elegante e sublime, come se fossero state il soggetto di una prestigiosa scultura.
Mi avvicinai cautamente per non spaventarlo e, quando avvertì la mia presenza poco distante da lui, lo strinsi da dietro in un caldo abbraccio.
"Buongiorno, amore." - Dissi sottovoce, iniziando a lasciargli dei dolci baci sulla pelle morbida della schiena.
"Sei pronta per partire?" - Domandò con un sorriso, voltandosi verso di me e cingendomi i fianchi con entrambe le braccia.
Risposi con un breve movimento della testa, sollevai le spalle e mi alzai sulle punte dei piedi per regalargli un lungo bacio sulle labbra, al quale permisi una sua risposta.
"Mi sento così fortunato ad averti, lo sai? Non so come sarebbe stata la mia vita se non ti avessi conosciuta." - Mormorò vicino alla mia bocca, come se parlasse con essa e i suoi occhi fossero attratti da quella parte di me che non riuscivano a smettere di scrutare.
"Non pensarci."
"Se tutto questo dovesse finire?" - Chiese, mascherando la paura nel tono della voce, avvicinando la punta della sua lingua sul suo labbro superiore.
"Avremo un bel ricordo."
"Il ricordo appartiene al passato. Non voglio che tu diventi un mio ricordo." - Disse a fatica, scuotendo lievemente il capo per accompagnare le sue parole.
Ho paura anche io, Michael.
Una cosa è certa.
Non diventerai un mio rimpianto, perché ti ho sposato, ti ho vissuto in ogni modo, ho conosciuto ogni tua parte fisica e psicologica, ho goduto di te.
Diventerai, forse, un mio rimorso.
Il mio più grande rimorso.
"Con te mi sento viva, Michael. Non succedeva da tempo."
Pronunciai quella frase nel bel mezzo di un vacuo silenzio, mi allontanai di poco dalla sua figura e mi sporsi verso la ringhiera, ricercando un appiglio che stringesse il mio corpo.
Mi persi con lo sguardo nella concretezza del giorno, la materia che si evolveva di continuo, essa che conteneva vita e ne generava altrettanta con le sue possibilità, conducendomi verso una dimensione che avevo conosciuto in passato.
L'irrealtà sembrava essere stata creata per me, per arrestare i miei incubi e le mie paure, per proteggermi da quell'astratta creatura che si muoveva all'interno del mio corpo.
Si cibava della mia anima, dei miei ricordi e li cancellava.
Credevo di essere entrata in contatto con la non realtà soltanto nel mio passato più remoto, invece mi sbagliavo, avevo continuato a sbagliare per tutto quel tempo.
L'irrealtà era proprio dentro di me, dentro la mia testa, dentro la mia vita, era la mia vita.
Michael faceva parte di essa, il mio cervello lo elaborava come il frutto di un lungo sogno, di un continuo percorso costruito dai miei desideri e che, prima o poi, sarebbe scomparso.
"Lisa, stai bene?"
La voce di Michael interruppe la mia meditazione interna, oltrepassò quella barriera che sembrava formarsi ogni volta che qualcuno tentava di avvicinarsi alla mia persona e la mise da parte.
Continuava a farlo ogni giorno, senza rendersene conto.
"Mi stai ascoltando?" - Domandò, piegando il capo di lato, facendomi avvertire il peso del suo sguardo attento intorno ai miei tratti facciali.
Non lo stavo ascoltando, in verità non ero neanche convinta che Michael avesse intrapreso una conversazione, non ero riuscita a captare la sua voce, ero come entrata in una scatola insonorizzata abbastanza grande da contenermi.
"Si... certo." - Mentii, voltandomi di scatto per evitare i suoi occhi.
"Ti dà ancora fastidio il contatto visivo? Sono tuo marito, eppure trascorri gran parte del tempo a guardare altrove."
"Sei una delle poche persone che guardo negli occhi, Michael." - Mormorai, aggiustandomi i capelli con una mano e sistemandoli con cura.
"Posso conoscerne il motivo?" - Chiese, iniziando a massaggiarsi le cosce distrattamente, senza distogliere l'attenzione da me.
"I tuoi occhi non mi incutono terrore. Tu non mi fai paura. C'è qualcosa in te che mi spaventa, ma non sei tu." - Dissi in tono sicuro, ponendo il mio sguardo contro il suo e bloccandolo all'interno di esso.
Dopo aver proferito quella frase rientrai in camera, feci una rapida doccia e mi preoccupai di sistemare accuratamente i miei effetti personali in una valigia, raggruppando anche quelli di Michael.
I nostri bagagli erano già stati preparati la sera precedente ed erano stati depositati nell'auto che ci avrebbe accompagnati all'aeroporto.
Giungemmo al piano sottostante tenendoci per mano, i nostri volti sorridenti mostravano la dolcezza dell'amore e la gioia che entrambi provavamo per avere l'occasione di presentarci al mondo intero.
Io ero molto agitata, stringevo la mano di Michael con costanza e la avvolgevo di continuo nella mia, impedendogli un qualsiasi movimento.
Volevo che stesse al mio fianco e mi appoggiasse, lui era il protagonista del suo mondo, il quale roteava attorno alla fama, ma io non ero mai entrata a farne parte.
Non nel modo in cui lui desiderava.
Salimmo sul jet a giornata inoltrata, non ci furono eccessivi problemi legati alla sicurezza e per fortuna tutto andò per il meglio, permettendoci di godere di un dolce viaggio in compagnia degli uomini di Michael.
Con alcuni di essi avevo avuto modo di fare conoscenza, erano cinque grossi uomini dotati di una stazza massiccia e di un sorriso smagliante, erano capaci di mettermi il buonumore.
Erano, più che altro, dei giganti buoni.
"Credi che io possa piacere al tuo pubblico?" - Domandai a Michael, stendendomi sul mio sedile e poggiando la mia testa sulle sue gambe.
Mi accarezzò i capelli, si soffermava a sfiorarmi la fronte e a ridisegnare astrattamente le mie labbra, percorrendo la forma della mia bocca con i suoi polpastrelli.
Le desiderava da lontano, senza consumarle ulteriormente.
Avvertii la sua risata, spalancai gli occhi per notare la sua espressione e mi strinsi al suo corpo caldo, rannicchiandomi su un fianco.
"Ho scelto di sposarti, perché ti amo. Loro amano me e ameranno anche te, di conseguenza." - Disse con la voce bassa, parlandomi con una delicatezza disarmante.
"Sai qual è la cosa che più amo di te?"
"Le mie gambe." - Rispose, coprendosi la bocca con il dorso della mano, trattenendo con difficoltà una risata.
"Dopo, ovviamente. Il tuo modo di pensare mi affascina incredibilmente, hai una percezione della vita molto ampia, sei un uomo molto interessante."
"Ti ritieni, dunque, una donna fortunata ad intraprendere un certo tipo di rapporto con un uomo così interessante?" - Chiese, chinandosi con il busto verso di me, baciandomi sulle labbra.
"Si, assolutamente."
Vidi il suo volto coprirsi di un dolce e spensierato sorriso, sembrava molto rilassato e felice, non lo avevo mai visto così tranquillo ed era una bella sensazione.
Faceva stare bene anche me.
Riusciva ad influenzarmi con il suo umore, di conseguenza dipendevo da lui e non sapevo se fosse un aspetto positivo del nostro rapporto.
Credevo che dipendere da un uomo mi avrebbe creato soltanto una fragilità maggiore.
"Michael, siamo arrivati." - Disse una voce maschile alle nostre spalle, interrompendo il nostro momento.
Michael annuì e si alzò dal suo posto, si sistemò la giacca con estrema cura e mi tese la mano, invitandomi a stringerla nuovamente.
Ero molto nervosa, le gambe iniziarono a perdere la presa al suolo e ad ammorbidirsi, non riuscivo a smettere di sospirare e di appendermi disperatamente al suo corpo.
Tentavo, in qualche modo, di nascondermi dietro la sua figura e di lasciarmi trascinare dalla sua dolcezza, con la speranza di riuscire a tranquillizzarmi.
Percorremmo l'intero aeroporto di Budapest scortati da uomini della sicurezza, mentre ci facevamo spazio tra le fila di una folla urlante e in delirio a causa di lui, di me, di noi.
Michael si fermò a salutare gran parte dei presenti, sorrideva angelicamente e mi regalava degli sguardi innamorati che mai avevo ricevuto prima da un uomo.
Le persone che avevamo intorno ci scrutavano con delle espressioni incredule sul volto, era la nostra prima apparizione in pubblico e tutti stentavano a credere che fossimo realmente sposati.
"Stai tranquilla, ci sono io con te." - Sussurrò all'altezza del mio orecchio, poggiando un suo braccio intorno ai miei fianchi.
Mi limitai a sorridere e a muovere la mano in segno di saluto, seguivo scrupolosamente Michael e le sue guardie, così da poter sapere cosa sarebbe accaduto da lì a poco.
Dopo qualche minuto raggiungemmo l'auto che era stata preparata per il nostro arrivo a Budapest e prendemmo entrambi posto sui sedili posteriori.
Cacciai un sospiro di sollievo che interruppe il religioso silenzio che si formò tra di noi e sprofondai con la testa sulla spalla di Michael.
"Come ti senti?" - Chiese divertito, sfilandosi il cappello e posandolo sullo spazio accanto a lui.
"E' stato... bello." - Mormorai con una punta di eccitazione nella voce, sistemandomi la stoffa dei pantaloni con le mani.
Mi poggiai con delicatezza sulle sue gambe, insinuai le mie dita tra i suoi capelli e lo attirai a me con maggiore pressione, obbligandolo a mantenere le sue labbra vicine alle mie.
"Baciami." - Dissi, guardandolo intensamente negli occhi.
Sorrise, la sua bocca si schiuse e si avvicinò alla mia, annullò la minima distanza che ci separava con un bacio che durò più tempo del previsto.
Le nostre labbra si toccavano con avidità, il silenzio venne distrutto dal loro rumore e dal suono che emettevano ogni volta che si sfioravano, marcando con insistenza il contorno del nostro amore.

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