Chapter 7/Part 1.
Novembre 1993.
Città del Messico mi aveva sempre affascinata ed estasiata, nonostante io la ammirassi da un piano di inferiorità rispetto alle altre persone che avevano la fortuna di visitarla spesso.
Era una metropoli storica, decorata da numerose ed ampie piazze e musei al suo interno, ma soprattutto possedeva un considerevole bagaglio culturale che accompagnava la naturale vita notturna della città.
Ebbi modo di visitarla in passato durante il mio viaggio di nozze, Danny insistette molto nello scegliere quella città a causa dell'ammirazione che nutrivo nei suoi confronti.
Era una delle mie mete preferite e poter trascorrere qualche ora in un posto del genere non poteva non farmi piacere, soprattutto se si trattava di un regalo donato dal profondo del cuore.
Arrivai nella città dei miei sogni dopo una nottata trascorsa in aeroporto, ci furono numerosi ritardi e scioperi delle linee aeree che mi portarono ad avere dei ripensamenti sulla mia partenza, ma riuscii ad attenuare le pressioni e i pensieri per via di Michael.
Durante la sua telefonata percepii a fondo il suo vero bisogno di aiuto, mi offrì un'opportunità su un piatto d'argento, oro per meglio dire, così decisi di non pormi troppi problemi sul da farsi.
Non raggiunsi Michael per farmi una vacanza e se ero lì, ad oltre mille chilometri da casa, lontana dai miei figli e dalla mia famiglia, era soltanto per aiutare un amico e, forse, anche me stessa.
Avevo bisogno di rilassarmi e di prendermi un momento soltanto per me, lontano da tutto e tutti, avevo bisogno di quel viaggio che, seppur breve, mi avrebbe aiutata a superare le difficoltà del momento che stavo trascorrendo.
Quella sera si sarebbe svolta l'ultima data del Dangerous World Tour, una delle poche effettuate in Messico a causa della salute di Michael che, in quel periodo, era decisamente carente ed egli, inoltre, si stava riprendendo da un recente intervento ai denti.
La notte precedente la trascorsi con mio marito Danny, il quale dopo essere venuto a conoscenza della mia partenza riprese ad arrabbiarsi non poco, dopotutto sarei partita senza di lui e senza il suo permesso.
Ancora una volta, i litigi ebbero la meglio su di noi, lasciandomi capire che fossi abbastanza adulta da poter prendere le mie decisioni senza consultarmi con nessuno, né tantomeno con lui.
Prima di prendere l'aereo che mi condusse a destinazione, Michael mi telefonò per informarsi delle mie condizioni e trascorremmo del tempo a parlare come buoni amici, come se fossimo conoscenti da una vita.
Lo sentii improvvisamente più rilassato, mi confessò parte del suo dolore e gli promisi con tutta me stessa che lo avrei raggiunto al più presto per regalargli la mia presenza, in modo che si sentisse meglio e provasse a mettere da parte la sofferenza che lo attanagliava.
Avevo la piena intenzione di stargli vicino, glielo dovevo, dal momento in cui mi fece del bene quella notte e mi accolse in casa sua, non avrei potuto abbandonarlo per nessun motivo.
Avevamo ripreso a frequentarci e a parlarci da poco più di un mese, ma dovevo ammettere che Michael si comportò da persona meravigliosa nei miei confronti e non nascondevo che io, a quell'uomo, gli volevo davvero bene.
Quel giorno arrivai a Città del Messico ad un orario del mattino, non c'erano molte persone per le strade e la cosa mi mise la giusta serenità addosso di cui avevo bisogno, i posti troppo affollati mi imponevano ansia e nervosismo.
Non sapevo dove potessi trovare Michael, nella fretta egli si dimenticò di comunicarmi il nome del suo hotel, ma ero sicura che lo avrei trovato nello stadio dove si sarebbe tenuto il concerto.
Era il solito perfezionista, non se ne sarebbe stato a riposare l'intero giorno, avrebbe sicuramente trascorso il suo tempo libero a provare e ad aggiungere maggiori dettagli alla sua performance.
Voleva che le persone fossero entusiaste di ciò che avrebbero visto e il suo desiderio più grande era di portarle in dimensioni che non avevano mai esplorato.
Fermai il primo taxi che mi capitò davanti agli occhi ed entrai rapidamente, sfilandomi gli occhiali scuri dal viso e accomodandomi sui sedili in pelle dell'auto, facendo un bel respiro profondo.
Era autunno, ma il sole brillava incessantemente e alterava la freschezza dell'aria che, a differenza della California, produceva elevate soglie di calore come se fosse presente la stagione estiva.
"Stadio Azteca, per favore." – Dissi con sveltezza e lasciandomi sfuggire un sospiro di sollievo, perdendomi con lo sguardo fuori dal finestrino.
"Certo, signora." – Disse il conducente, lanciandomi un'occhiata affermativa tramite lo specchietto retrovisore.
L'uomo attivò il tassametro con un rapido gesto della mano e spinse il piede sull'acceleratore, facendosi strada con maestria e sveltezza nel traffico cittadino.
Rimasi ad osservare incantata quello spettacolo che mi si parò davanti, guardai con ammirazione le persone che girovagavano sui marciapiedi e i monumenti di quella città da me sognata per molto tempo.
Le gambe cominciarono a tremarmi per il nervosismo, avevo sostenuto un viaggio estenuante e la stanchezza non era di certo un valore da sottovalutare.
Dovevo ammettere a me stessa che, nonostante tutto, mi faceva molto piacere rivedere Michael, era trascorso quasi più di un mese dal nostro ultimo incontro e sentivo il bisogno di riabbracciarlo.
Era un maestro anche in quello, riusciva a trasformare dei semplici abbracci in veri e propri contatti del corpo, era difficile da spiegare, ma era come se Michael volesse trasferire ad un'altra persona il calore che possedeva al suo interno attraverso quel gesto.
Riusciva a farti sentire bene nel vero senso della parola, era capace di rasserenare gli altri, ma non sé stesso e questa era una cosa che mi tormentava parecchio.
Meritava anch'egli di ottenere le stesse sensazioni che regalava ed io ero convinta di poterci riuscire.
Il viaggio in taxi non durò tantissimo, arrivai a destinazione prima del previsto e potei tirare un sospiro di sollievo nel vedere poche persone appostate dinanzi all'entrata principale dello stadio.
Non avevo intenzione di creare lo scoop, facendomi vedere con Michael Jackson sicuramente i giornali del mondo intero avrebbero montato sopra una storia, riuscendo ad inventare persino una mia presunta gravidanza.
Per loro non esistevano i rapporti di amicizia, soltanto flirt, storie d'amore e di passione, tralasciando Michael Jackson e gli scalpori che erano capaci di costruire con il suo nome.
Uscii rapidamente dall'auto senza dare nell'occhio e mi precipitai verso la porta che adocchiai sul retro, la quale era sorvegliata da un grosso uomo di colore in giacca e cravatta.
Mi sorrise educatamente e si sistemò il colletto della camicia, prima di mostrarmi un saluto cordiale e gentile.
"Signora Presley, che piacere vederla! Il signor Jackson sta provando in questo momento, le faccio strada, venga!" – Disse, aprendomi la porta e facendomi segno di seguirlo.
Lo seguii a mia volta e, dopo aver percorso un intero corridoio insonorizzato, mi ritrovai su un manto erboso e soffice con davanti ai miei occhi un grandissimo palco dalle dimensioni enormi.
Michael indossava dei costumi di scena, si muoveva elegantemente e lasciava che il suo corpo venisse trasportato armoniosamente dalla musica e dalle sue note, creando ammirazione agli occhi di coloro che si limitavano a guardare il genio all'opera.
Non cantava eccessivamente, probabilmente stava conservando la voce e la utilizzava soltanto per chiedere ai tecnici del suono di apportare eventuali modifiche, parlando sempre con un tono di molto gentile, capace di mettere tutti a proprio agio.
Non si accorse di me immediatamente, era troppo preso e concentrato sulla canzone che stava eseguendo e soltanto al termine di essa, quando si fermò per riprendere fiato, mi notò in lontananza e sorrise.
Agitò il suo braccio nella mia direzione e feci lo stesso anche io, in modo da fargli comprendere di aver recepito il suo saluto.
"Ragazzi, scusatemi. Possiamo fare una pausa?" – Chiese dolcemente, guardandosi intorno e aspettando la conferma della sua crew, come se lì dentro non fosse lui a comandare.
Scese velocemente dal palco e mi venne incontro di corsa, reggendo il microfono tra le mani e aggiustandosi distrattamente i capelli ricci.
"Lisa, grazie di essere venuta!" – Disse, mostrandomi un sorriso che accentuò la stanchezza sul suo volto, spingendomi a passargli una mano su di esso per sfiorare i suoi eleganti lineamenti.
Gli accarezzai dolcemente la fronte, gli sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e lasciai scivolare la mia mano sulla sua guancia leggermente sudata.
Sorrise a quel mio gesto ed io mi sentii in imbarazzo come non lo ero mai stata, fu quasi una necessità di contatto nel vederlo lì davanti a me con lo sguardo triste e stanco.
Fu il mio modo per dimostrargli il bene che gli volevo e il piacere di volerlo vedere felice e spensierato come un uomo della sua età.
"Sei stanco, Michael. Devi riposarti, ti porto a fare un giro, se ti va." – Sussurrai, abbassando immediatamente il braccio che lo aveva toccato poco prima e nascondendolo dietro la mia schiena.
"Mi piacerebbe moltissimo, ma non credo mi sia possibile." – Mormorò con un velo di malinconia, abbassando il capo e accarezzandosi il mento con delicatezza.
"Le persone ti vedranno in giro? Ti fotograferanno i paparazzi? Che importa! Devi vivere la tua vita, sei giovane, Michael! Non lasciare che la fama ti distrugga, devi reagire!" – Dissi, alzando leggermente il tono della voce, accentuando il concetto che avrei voluto tanto che comprendesse.
Mi regalò un piccolo sorrisetto timido dipinto sul suo viso, si morse il labbro e poggiò le braccia intorno al suo bacino.
"Forse hai ragione, Lisa."
"Certo che ho ragione! Giuro che ti riporterò in hotel sano e salvo!" – Dissi, sospirando e passandomi una mano tra i capelli, scompigliandomeli e donando loro un'aria semplice.
Cominciò a sbottonarsi le prime cinghie della giacca che indossava e se la sfilò rapidamente, lasciando il suo busto coperto soltanto da una maglietta bianca di cotone.
"Vado a cambiarmi, sarò pronto in un attimo." – Disse in tono allegro, chinandosi leggermente per stamparmi un piccolo bacio sulla guancia.
Le sue labbra calde e morbide si posarono sulla mia pelle, il mio corpo venne, ad un tratto, percorso da lancinanti brividi che perdurarono per qualche istante.
Stranamente e a mia sorpresa, trattenni il fiato, rimanendo a guardarlo con gli occhi confusi e allo stesso tempo attratti dai suoi scuri e profondi.
"Michael, ti fidi di me?" – Chiesi sottovoce, quasi a sussurrare quella domanda per far sì che la sentisse soltanto lui, in modo che le mie parole toccassero le corde del suo cuore.
Mi guardò con la bocca socchiusa, si inumidì le labbra con la lingua e le strinse, ancora una volta, tra i denti, come un tocco prolungato e trattenuto.
"Si, mi fido di te." – Mormorò, accompagnando la sua risposta con un breve cenno della testa.
Il suo sorriso mi lasciò senza fiato, le labbra scoprirono una fila di denti bianchissimi e ben curati che non riuscii a fare a meno di osservare.
Si voltò di spalle e mosse la mano per far sì che io lo seguissi, i suoi mocassini lucidi si poggiarono delicatamente sul terreno dello stadio, il quale attutì i suoi passi, donandogli un'aria sensuale e raffinata, tipica del Re del Pop.
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Heroine.
Romansa"Lui era come la mia ultima dose di eroina, la più potente e prelibata. Quella che avrebbe messo fine alle mie sofferenze. Quella che non mi avrebbe lasciato scampo." Una potente droga della quale non esiste una cura, un potente anestetico capace di...