Chapter 23 - Ruthless

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Chapter 23.



Maggio 1995.




"Il dubbio ci priva di ciò che potremmo conquistare, se solo osassimo."



Quella frase era una delle più significative che avevo attribuito alla mia vita e la consideravo di enorme importanza fin dalla mia adolescenza.
Mi colpì in un tempo passato e la colsi come un fiore appena sbocciato durante una mia visita alla libreria del college di Ojaj, dove mia madre aveva tanto insistito affinché mi iscrivessi.
Non avevo mai nutrito una particolare attrazione nei confronti delle scuole; credevo che la cultura venisse da sé e che ogni persona dovesse costruirla con i propri mezzi e con le proprie esperienze della vita.
I sonetti di Shakespeare, in qualche modo, riuscivano ad affascinarmi e a sedurmi in molteplici caratteri, regalandomi quel destro adatto ad interpretare le fasi degli amori che si immettevano nel mio cammino.
Ero molto giovane, non avevo grandi potenzialità nel campo dell'insegnamento di sentimenti di quel tipo, ma avevo parecchio da dire.
Chiusi quel libro dalla copertina in pelle ormai consumata e dai colori poco vividi e lo riposi sulla mensola della libreria al piano terra, soffermandomi, poco dopo, a consumare il silenzio della sera.
Era di Michael ed io mi ostentavo ancora a reputarlo tale, malgrado egli continuasse a spingermi per rendermi consapevole che ogni sua ricchezza facesse parte anche del mio patrimonio.
Pensai a quanto le parole del poeta fossero veritiere, rispecchiavano perfettamente il mio attuale stato d'animo e sembravano combaciare con i pezzi del puzzle del mio cuore.
Avevo avuto i miei dubbi all'inizio della mia relazione con Michael, ancor prima che egli potesse chiedermi di sposarlo e di prendere parte alla sua vita.
Il coraggio di osare non mi era mancato e mi reputavo una donna molto intelligente ad aver fatto il primo passo con lui, spingendomi a baciarlo quella sera a Neverland e aggiudicandomi diversi consensi da parte sua.
Se non lo avessi fatto ci sarebbero state molte probabilità di non aver ricevuto quel magnifico bacio, forse non ci saremmo mai appoggiati nella nostra ricerca della serenità, forse non ci saremmo mai sposati.
La vita era ricca di probabilità ed io le avevo infrante tutte, distruggendo le tipiche barriere ottocentesche che richiedevano all'uomo di avanzare verso la propria donna.
Non mi interessavano gli stereotipi, altrimenti non avrei mai sposato Michael.
Avevo osato fino a farmi del male con le mie stesse mani, mediante gli atti altrui che erano stati inflitti sulla mia pelle e avevo continuato ad andare avanti per la mia strada.
La pioggia si abbatteva incessante da tempo, le gocce gelide e felpate scorrevano lungo le superfici vetrate dell'abitazione e coronavano l'atmosfera con un plumbeo e rantolante silenzio.
Era uno di quei periodi dell'anno in cui non faceva altro che piovere e quelle eterne giornate uggiose mi trasmettevano tanta malinconia.
Ero sola in casa, in compagnia soltanto dei miei figli che erano già andati a letto e dei dipendenti che svolgevano i loro compiti in modo accurato e preciso.
Mi diressi a passo lento verso la cucina, avevo intenzione di bere un sorso di the caldo, aspettando con ansia che Michael tornasse ad abbracciarmi e a riempire l'abitazione con la sua presenza.
Ad accogliermi trovai Mariah, la domestica, intenta ad armeggiare con utensili e pentole in vista della cena.
L'elegante porta dell'ingresso si aprì dopo qualche istante e lasciò scorgere la figura di Michael muoversi dall'uscio dell'entrata alla stanza nella quale mi trovavo.
Aveva il volto visibilmente stanco, segnato da un enorme affaticamento e a vederlo in quelle condizioni mi si stringeva il cuore.
Dava sempre tutto se stesso nel lavoro e sperava di ripagare il suo pubblico con i mezzi dei quali disponeva, riuscendoci sempre.
Era uscito di casa molto presto quella mattina e inoltre non ci vedevamo da una manciata di giorni, i quali erano stati molto fastidiosi ed angoscianti senza di lui.
Mi precipitai ad abbracciarlo, interrompendo qualunque attività stessi svolgendo e mi rifugiai tra le sue braccia grandi e protettive.
Lo strinsi a me e gli stampai un breve bacio a fior di labbra, dove egli mi accolse con un sorriso che avvertii contro la mia bocca.
"Sono stato due ore in palestra, tre ore a provare ed il mio desiderio più grande era stare con te." - Disse, reggendomi a sé con un braccio, mentre l'altro era impegnato ad accarezzarmi dolcemente il volto.
Si soffermò sulle mie guance e le lisciò con le dita, assaporando la morbidezza della mia pelle a contatto con la sua, come una dolce fusione avvenuta in modo spontaneo.
Mi lasciò un lieve bacio tra i capelli e rivolse uno sguardo spiacente e imbarazzato alla donna che stava assistendo alla nostra scena.
"Mariah, puoi lasciarmi un attimo solo con mia moglie, per favore?" - Chiese con la voce bassa, in tono di scuse.
"Certo, signor Jackson."
Mariah mi sorrise educatamente, intimorita dal disturbo che aveva provocato ed uscì dalla cucina, poi si richiuse la porta alle spalle e si preoccupò di costruire una barriera alle altre persone che avrebbero potuto interromperci.
Io e Michael ci guardammo a lungo, un'assidua e costante esplorazione delle espressioni del nostro viso, come a voler preservare le nostre immagini tra i ricordi.
Al termine ci scambiammo un languido bacio, permettendo alle nostre lingue di accarezzarsi fino a trascinarsi verso l'oblio del desiderio, quello che l'uomo non era mai capace di allontanare.
"Sei stanco. Vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare?" - Chiesi, tentando di convincerlo ad intraprendere un gesto che ultimamente compieva con una minima frequenza.
"No, voglio che tu venga a fare un bagno con me." - Disse sottovoce, parlando al mio orecchio ed introducendo una razione di sensualità nel suo tono.
"Posso dirti di no?"
Gli morsicai scherzosamente la guancia, risalendo più in alto verso le parti di pelle ricoperte dalla barba che aveva tralasciato per qualche giorno, concedendomi l'opportunità di averlo in quel modo che adoravo.
Gli uomini la consideravano una vera e propria scocciatura paragonabile al divertimento di cui le donne usufruivano spesso con le cerette, ma io possedevo una vera e propria attrazione nei confronti della barba.
Essa donava quel qualcosa di estremamente maschile e virile capace di mandarmi in una dimensione astratta ed affascinante.
"No, non puoi." - Mormorò, sollevando il collo per liberarsi dalla mia presa.
Mi rivolse un furbo sorriso e, quando mi allontanai da lui, egli allungò frettolosamente la mano per darmi una pacca sul sedere.
Mi attirò di nuovo a sé e mi cinse i fianchi, iniziando a baciarmi l'esterno del collo, mentre mormorava delle parole confuse e soffocate dai suoi respiri che venivano trascinati dai baci.
"Sposarti è stata una delle cose migliori della mia vita."
Il mio volto si impadronì di un sorriso spontaneo, la sua frase mi giunse dritta al cuore e distribuì una ventata di gioia e freschezza in tutto quello che mi circondava.
"Adesso manca soltanto la realizzazione del tuo sogno per renderti felice."
"Sono felice già così, con te, ma quello è..."
"Lo so." - Dissi, zittendolo con un bacio che mi preoccupai di costruire io stessa, senza che egli prendesse l'iniziativa.
Mi rivolse una lunga occhiata prima di dirigersi verso il bagno, seguito da me alle sue spalle, mentre gli stringevo la mano e ne accarezzavo lievemente il dorso.
Chiuse la porta a chiave ed aprì il rubinetto della vasca, permettendo all'acqua di invaderci con il suo rumore e con l'atmosfera esoterica che essa infliggeva.
Mi avvicinai lentamente a lui, era fermo su un lato della vasca e versava del bagnoschiuma profumato nell'acqua, bagnandosi la mano per avvertirne il tepore.
Iniziai io a condurre i giochi, gli avvitai le braccia intorno al bacino e lo attirai a me, invitandolo a baciarmi insistentemente.
Non si fece pregare, al contrario mi sembrò così preso da me che non riusciva a distogliere l'attenzione dal mio corpo e dalle premure che io gli dispensavo.
Cominciai a sbottonargli gradualmente la camicia che indossava, mentre le sue dita magre e sottili mi carezzavano i polsi come a voler seguire ogni mio minimo movimento.
Accompagnò il mio tentativo di privarlo di quell'indumento sfilandolo da sé e depositandolo su un ripiano disposto accanto ad un mobiletto.
Gli baciai il petto con quel liscio calore che mi portavo dietro, sentendolo fremere sotto i miei tocchi, mentre i suoi muscoli si tendevano ed iniziavano a rilassarsi man mano che il tempo trascorreva.
Si spogliò dei pantaloni e della biancheria, poi privò anche me di ogni intralcio e mi invitò a prendere posto nella vasca e a stendermi al suo fianco.
Mi lavò la schiena e percorse linee immaginarie con la spugna, marcando ogni centimetro della mia pelle e abbassandosi fin dove gli spazi del mio corpo lo permettevano.
Gli davo le spalle, ma nonostante la posizione riuscivo a sentirlo perfettamente; segnalavo la sua presenza dietro di me ed accusavo la pressione della sua pelle contro la mia.
Una percezione deliziosa e sublime, al suo interno ricca di dolcezza e romanticismo.
"Ho visto Debbie, oggi."
Parlò con la voce macchiata da una flebile tensione, come se fosse preoccupato di affrontare quel tipo di argomento in mia presenza.
"Ha detto che farebbe qualsiasi cosa per rendermi felice." - Intervenne, osservandomi subito dopo per prestare attenzione alla mia reazione.
Ascoltai le sue parole come se fossero un pesante macigno che tentava di soffocarmi e sgranai gli occhi, illudendomi che egli non avesse afferrato il reale concetto di quella donna.
Michael era ingenuo sotto alcuni punti di vista, non comprendeva sempre i comportamenti delle persone e nella maggior parte dei casi si lasciava influenzare da esse, credendo di commettere giuste azioni.
Quella donna voleva trascinarlo dalla sua parte, desiderava allontanarlo da me e non avrebbe allentato la presa con facilità.
Ero consapevole da tempo dei sentimenti che ella provasse per mio marito, ma mai avrei immaginato che potesse conferire a lui un simile amore.
Non avevo idea di cosa fosse, ma in linea generica si trattava di un affetto troppo esternato.
"E' innamorata di te." - Sussurrai con un filo di voce, piegandomi con il capo verso il suo corpo, fino a trovare un'intima aderenza con esso.
Si irrigidì, ma per non dare a vedere la sua agitazione mi strinse le braccia intorno al petto e si protese verso il basso, sfiorandomi la pancia con lievi tocchi.
Curvai la testa verso l'alto ed incontrai le sue labbra che mi accolsero, permettendomi di subire il calore della sua bocca contro la mia.
Ad un tratto si tirò maggiormente a sedere contro la superficie della vasca, voltandosi con la testa all'indietro e rivolgendo il suo sguardo verso il lavabo ricoperto da colori marmorei.
"Che significa?" - Domandò, indicando una scatolina color ghiaccio poco distante da noi, catturando la mia attenzione.
Era la confezione di un test di gravidanza che avevo dimenticato di gettare altrove, lasciandolo lì con la possibilità che egli lo notasse e mi chiedesse giustamente delle spiegazioni.
Si era rivelato soltanto un falso allarme, oscurando la mia speranza di rendere felice mio marito e di coronare l'amore che avevamo costruito insieme.
Credevo di essere riuscita a realizzare uno dei sogni della sua vita, ma mi ero soltanto illusa e al termine di tutto era stata solo un'inutile apprensione.
"Sei incinta?" - Chiese, sorridendo con l'insieme dei lineamenti del suo viso che sembravano essersi modificati.
Mi dispiaceva tantissimo dargli una risposta negativa; nel giro di qualche istante il suo volto si era illuminato di una gioia mai vista prima ed essa lo rendeva ancora più bello.
Avrei pagato oro per vedere i suoi occhi raggianti ogni singolo giorno, avrei donato qualsiasi cosa per fare in modo che egli fosse felice.
Era il mio obiettivo principale.
"No, non lo sono, ma credevo di esserlo."
Rimase in silenzio per qualche secondo, iniziò ad annuire ripetutamente con la testa e a passarsi nervosamente le dita contro il mento, mostrandomi una sua valutazione verso la risposta che pronunciai.
"Lisa, mi prendi in giro?" - Disse, obbligandomi a rivolgere i miei occhi verso i suoi, in modo che si incontrassero.
Non dissi niente, non ero a conoscenza delle sue parole, né sapevo a cosa si riferissero e l'incoscienza, alle volte e in numerose occasioni, era il sentimento più spiacevole.
"E' troppo tempo, mi stai nascondendo qualcosa." - Riprese, alzandosi velocemente dalla sua posizione e afferrando un asciugamano posto alla sua destra.
Lo piegò in due parti e lo avvolse intorno ai suoi fianchi, scoprendo soltanto la parte bassa delle gambe.
Lo guardai con un'occhiata vaga e inconsapevole di ciò che la sua bocca proferiva, continuava a parlare e a blaterare frasi che non avevano effetti positivi su di me ed io non ero capace di dire la mia.
Era stato toccato il tasto che più lo adirava e credeva che facendomi del male sarebbe riuscito a proteggere la sua persona dalla rabbia e dalla cattiveria.
"Se non riesco a rimanere incinta non è colpa mia." - Sbottai, ripetendo il gesto che egli aveva compiuto poco prima e coprendo il mio corpo con la stoffa di un accappatoio.
"La colpa non è neanche mia."
"Mi hai mentito per tutto questo tempo. Ti ho dato tutto, ogni cosa che volevi, ogni parte della mia persona e tu non hai saputo fare altro che prenderti gioco di me!" - Riprese, urlando con tutta la voce che aveva.
"Non è affatto vero, lo sai."
Incrociai le braccia al petto e rimasi ferma dinanzi alla sua figura, mentre egli insisteva ad urlare e a far ricadere su di me delle responsabilità che erano state prese da entrambe le parti.
Mi incolpava di non avergli dato un bambino nel primo anno di matrimonio, nonostante sapessi quanto desiderasse diventare padre e riteneva che fossi soltanto una persona falsa.
Le sue parole mi ferirono più di ogni altra cosa al mondo, entrai a conoscenza del dolore fisico e di quanto male potesse provocare un'accusa illusoria.
"Questa storia va avanti da un anno, Lisa. Mi sono stancato."
"Che vuoi dire?" - Domandai con la voce bassa, modificata dal desiderio di piangere e di urlargli contro ogni cosa che mi passava per la mente.
"Voglio dire che se non lo fai tu, Debbie dice che lo farà lei."
Quella frase mi lacerò in profondità, come se la lama affilata di un coltello si muovesse e volteggiasse dentro la mia pelle, fino a lesionarla a fondo.
Senza pietà.
Le sue parole erano prive di un senso di interesse a ciò che avrebbero provocato in me ed egli, mentre le pronunciava, sembrava provare un senso di appagamento e di benessere.
Stava bene, era eccitato grazie alla percezione di cattiveria che si era impossessata di lui, riuscendo a rapirlo tra le sue grinfie.
Non parlai, non mi avvicinai al suo corpo, né tentai di farlo.
"Sei spietato." - Dissi, guardandolo profondamente negli occhi, marcando la sua anima e riflettendo nei suoi specchi il mio dolore.
Il suo sguardo rimase inalterato, aspettava che parlassi ancora, ma dalla mia parte non avevo altro da dire se non per disprezzarlo in modo ulteriore.
"Ti piace farmi del male. Credi che facendomi soffrire riuscirai ad attenuare quello che hai dentro? Io non sono la persona che ti ha distrutto, sto soltanto cercando di salvarti e tu non riesci proprio a capirlo."
"Non mi inganni più con le tue parole, non ti credo." - Sussurrò, scuotendo il capo.
"Sei abituato ad avere tutto e subito, lo sai meglio di me. Per alcune cose, però, non basta essere Michael Jackson per ottenerle." - Risposi a tono, sorprendendomi della mia mancanza di timore.
"Se mi ami davvero e tieni a cuore il nostro matrimonio devi mettere da parte quella donna." - Ripresi.
"Se non volessi farlo?"
Incrociai i suoi occhi per un'ultima volta e durante quel lasso di tempo il mio corpo venne attraversato da un'energia negativa che sembrò azzerare la rabbia.
Provai una completa indifferenza inflitta dall'eccessivo dispiacere che Michael mi aveva imposto.
Mi sentii come se ogni cosa fosse inutile, come se tutti i momenti trascorsi con lui fossero scomparsi, ero del tutto disinteressata alla faccenda.
"In quel caso sarebbe tutto finito." - Dissi, uscendo dal bagno e dirigendomi in atteggiamento apatico e distaccato verso la nostra camera da letto.
Lo lasciai lì a pensare ed ero sicura che non mi avrebbe raggiunta molto presto, aveva bisogno di lasciar sbollire la collera da solo.
Io, dalla mia parte, avvertivo soltanto la necessità di mantenerlo lontano, il più possibile.
Stare insieme ci avrebbe permesso di farci del male a vicenda e in quelle situazioni era cosa buona mantenere le distanze e pensare a se stessi.
"Michael, non lasciare che tutto questo finisca."
Avrei voluto urlargli contro quelle parole, ma temevo che fosse troppo distante per poterle ascoltare.


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