Chapter 3.
Da sempre gli spazi chiusi mi angosciavano.
Mi incutevano una sensazione di ristrettezza nei confronti dell'ambiente circostante, trasmettendomi, in alcuni casi, un continuo stato di monotonia e noia.
La cena si stava svolgendo nel migliore dei modi, tutti gli invitati erano intenti a conversare con le persone che si trovavano al loro fianco e, in qualche modo, si divertivano.
Non c'era un gran frastuono, ma soltanto un mormorio che di tanto in tanto diveniva di alta intensità, disturbando coloro i quali preferivano la solitudine e la tranquillità.
Io, d'altra parte, mi sentivo annoiata da quello spettacolo e avrei preferito prendere una boccata d'aria, giusto per sentire la brezza del vento soffiare tra i miei capelli, regalandomi una leggera sensazione di benessere della quale avevo proprio bisogno.
Adoravo quando nelle sere d'inverno l'aria mi sfiorava la pelle, era rilassante e ricordavo che da piccola era proprio una delle cose che preferivo di quella stagione.
Quella situazione mi infastidiva non poco, ero stanca di stare lì seduta ad osservare le persone al mio fianco, non avevo intenzione di perdere del tempo inutilmente.
Gettai una rapida occhiata nella sala e mi accorsi, dopo svariati minuti, che Michael non c'era.
Non sapevo se fosse andato via, però il posto da lui occupato era vuoto e pensai per un attimo che avesse preso la decisione giusta.
Rimanere ad ascoltare chiacchiere inutili di persone che non gli regalavano una minima partecipazione era stupido.
Per quanto lui potesse inserirsi in conversazioni e momenti di colloquio, non ci sarebbe mai stata attenzione nei suoi confronti e nelle parole che la sua bocca si lasciava sfuggire.
Non era strano o assurdo, semplicemente le persone non lo capivano o, almeno, non riuscivano a capire i suoi modi di fare e di parlare.
Era dotato di troppa semplicità estranea al mondo circostante, quello nel quale viveva e che lo rendeva schiavo e intrappolato nell'invisibilità della fama.
La gente non riusciva a comprendere la sua persona e il modo che utilizzava per porsi ai suoi occhi, essa credeva fosse pazzo, ma non era così.
Michael poteva essere descritto con una moltitudine di aggettivi, eccetto quello.
Avevo avuto modo di conoscerlo e potevo affermare personalmente che era un uomo con un'umiltà disarmante, una dolcezza notevole e una gentilezza fuori dal comune.
Era tutt'altro che pazzo.
Era un uomo di trentacinque anni al quale affascinavano le piccole cose, quelle insignificanti apparentemente, ma in realtà piene e ricche di senso.
Era affascinato dalla vita e dagli occhi dei bambini, capaci di andare oltre le apparenze e vedere quello che gli adulti non riuscivano a percepire.
Le persone erano superficiali, lui no.
Seguita dall'onda di quei pensieri nei confronti dell'immensa star del pop, mi alzai dal posto che occupavo e mi diressi a piccoli passi verso il parco di quella struttura.
Le scarpe che indossavo mi impedivano di poter accelerare il mio passo, ma non ce n'era bisogno, volevo soltanto allontanarmi dalla mischia di gente e godermi un po' della mia adorata solitudine.
Percepii una sensazione di serenità, il buio aveva ormai preso il posto della luce e, insieme ai rumori della sera, rendeva il tutto più bello.
C'era una bella atmosfera fiabesca ed elegante, dotata di tanta tranquillità e, soprattutto, di piacevole silenzio.
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Heroine.
Romance"Lui era come la mia ultima dose di eroina, la più potente e prelibata. Quella che avrebbe messo fine alle mie sofferenze. Quella che non mi avrebbe lasciato scampo." Una potente droga della quale non esiste una cura, un potente anestetico capace di...