Chapter 18.
Una stanza buia e fredda, priva di alcun arredamento, soltanto un letto al centro del pavimento e una finestra socchiusa posta contro la parete.
Mi avvicino ad un bordo, avvolgo tra le mie dita il complesso di fibre in cotone che nel suo insieme copre il suo corpo, mostrando ai miei occhi soltanto il suo volto.
La mia mano scorre timorosamente lungo una sua guancia, continua in quel modo per una manciata di istanti, ma il mio tatto sembra non funzionare.
Le sue braccia sfuggono alla stretta delle lenzuola, appoggio il palmo della mia mano al di sotto del suo e lo accarezzo con un breve movimento che sembra spaventarmi.
La sua pelle è terribilmente fredda e immobile, non si muove minimamente.
Una lacrima percorre il contorno della mia pupilla, marca il verde smeraldo delle mie iridi e, dopo un attimo di esitazione, scivola via, fermandosi alla base della mia gola.
"Michael..."
Pronuncio quel nome con un fremito alterato dalle lacrime, la mia voce sembra essere scomparsa del tutto alla vista di quella scena che mi stringe il cuore in una dolorosa morsa.
Non riesco a muovermi, le mie caviglie sembrano essersi bloccate, mi sento come paralizzata ed è la sensazione più brutta che io abbia mai provato in tutta la mia vita.
Lui non mi risponde.
E' steso su quel letto fisicamente, ma è come se non ci fosse.
Mi chino sulle ginocchia, per quel poco che riesco e la mia bocca si avvicina alla sua, alla ricerca di un bacio, l'ultimo.
Le sue labbra gelide e screpolate sono immobili, assecondano il breve movimento delle mie e mi trasmettono quella terribile sensazione della fine.
E' finito tutto.
Il mio sogno è andato in frantumi ed io non ho la possibilità di far ricongiungere i pezzi.
Mi svegliai di soprassalto, il mio respiro si arrestò nei polmoni e rimase in tale posizione per alcuni secondi, i quali sembrarono i più lunghi della mia vita.
Ebbi uno spaventoso sussulto e quando, a fatica, riuscii ad aprire gli occhi, fu come se le mie visioni fossero diventate di un margine spesso ed intatto; gli immobili, le decorazioni, le pareti e gli affreschi che le ornavano erano spariti dalla mia visuale.
Non stavo osservando la realtà, né i minuti che scorrevano lenti potevano essere inseriti in una parte di essa.
Ogni dettaglio era frutto della mia immaginazione e del panico che aveva invaso la sagoma della mia anima, fino a trascinarla altrove.
Le lacrime si impadronirono del mio viso e lo marcarono a fondo, segno che la situazione intrapresa nel mio sonno profondo aveva avuto particolari effetti anche sul mio corpo abbandonato nel reale.
Feci combaciare le immagini del sogno e, quando mi accorsi che il protagonista fosse mio marito, allungai istintivamente il mio braccio verso il suo lato, cercando il suo corpo per accertarmi che fosse al mio fianco.
Percepirlo contro il mio tocco fu un sollievo e mi aiutò a far sì che mettessi da parte il terrore e mi lasciassi prendere dal controllo di me stessa.
Gli incubi mi cambiavano per brevi lassi di tempo, mi plasmavano a loro piacimento e mi permettevano di conoscere un'altra parte di me, quella che facevo fatica ad accettare.
Ero molto fragile e quando ero a contatto con le persone indossavo una corazza che, nel corso degli anni, nessuno era mai riuscito a farmi cadere, soltanto Michael.
Danny, a differenza sua, era entrato in contatto con una versione di me molto diversa dall'attuale: ero molto giovane, cercavo il grande amore della mia vita e non sapevo cosa avrei dovuto affrontare.
Avevo la guardia abbassata ed era molto semplice riuscire a conquistarmi, ma con Michael non era stato così e mi ritenevo sorpresa del mio comportamento.
Mi ero fidata di lui fin dal primo momento, lo avevo trattato come il mio migliore amico, come un fratello, per la precisione e gli avevo concesso tutta me stessa.
Gli avevo mostrato la persona che ero, senza correre a nascondermi, con lui mi sentivo al sicuro e ogni parte di me sapeva che poteva fidarsi di lui.
Forse la sua presenza nel mio stesso letto non era una semplice casualità.
Scoprii il mio corpo nudo dalle lenzuola e sgattaiolai via dal letto, feci attenzione a non produrre il minimo rumore, perché Michael dormiva angelicamente ed era di una bellezza disarmante che avrei osservato per intere ore.
Calpestai il piacevole fresco del pavimento e mi avvicinai al suo comodino, dove gli abiti dei quali si era privato erano piegati e sistemati in modo elegante.
Indossai la sua camicia, la stessa che si era sfilato quella notte, impregnando la mia pelle del suo dolce profumo e lasciando che la stoffa mi coprisse fino al fondoschiena.
Piegai il mio ginocchio sul bordo del materasso ed inarcai il busto, mi sporsi delicatamente verso di lui e lo baciai sulle labbra, accorgendomi del suo risveglio.
"Lisa..." - Mugolò con un piccolo sorriso, aprendo lentamente gli occhi.
Il mio nome pronunciato dalla sua voce sembrava una soave espressione nutrita da una forte dose di sensualità, mischiata ad una sfumatura di dolcezza.
Ogni cosa che diceva mi estasiava, non importava quale fosse l'argomento della sua conversazione, a me bastava che il suo solito tono della voce mi riempisse le orecchie e mi regalasse l'esilio dal resto circostante.
"Dormi, è ancora presto. Ti preparo la colazione." - Dissi, accarezzandogli una guancia con il dorso della mia mano e avvertendo la barba ispida sfregarmi contro la pelle.
Mi piaceva cucinare e prendermi cura di lui, adoravo potergli preparare il pranzo o la cena, era qualcosa che mi aiutava a farmi sentire una persona normale e non la moglie dell'immensa star.
Era importante, per me, continuare a condurre il mio stile di vita di sempre e regalare a Michael un pizzico di quella normalità che sperava di ottenere, un giorno.
Io ero l'unica persona in grado di poterlo aiutare.
"Non puoi ordinarla?" - Domandò con la voce bassa, gettando la testa contro il morbido contenuto della federa del cuscino.
Sbadigliò teneramente, si coprì la bocca con entrambe le mani e si sistemò una ciocca di capelli che, durante la notte, prese posizione sul suo viso.
"Voglio essere io a prepararla, torna a dormire." - Lo rimproverai scherzosamente, ottenendo in sua risposta una breve risata.
Mi diressi cautamente verso la cucina, il quale ingresso comunicava con la porta principale della suite e permetteva un'ampia vista su di essa.
Gettai un rapido sguardo in direzione della superficie in mogano e notai un rilevante particolare, creato da una busta per le lettere di un colore giallo chiaro che era stata lasciata scivolare sotto la soglia.
Mi precipitai ad afferrare quell'oggetto e lo aprii incuriosita, facendo attenzione a non far staccare i bordi della carta.
Afferrai con le dita i lembi dell'apertura e ne sfilai il contenuto dall'interno, permettendo alla mia vista di osservare una numerosa quantità di fotografie.
Ognuna di esse raffigurava Michael in compagnia di una donna bionda e mai vista prima, non avevo idea di chi potesse essere, nonostante avessi provato a ricordare un possibile incontro con lei.
Durante il mio periodo con Michael avevo conosciuto una moltitudine di persone appartenenti alla sua cerchia di lavoratori, conoscenti, parenti ed assistenti, ma ero sicura di non aver mai visto quella persona.
Sul fondo delle immagini una data decorava i suoi colori e rappresentava la serata precedente, gli scatti erano diversificati e avvenuti in un ristorante e per strada, dove il luogo era così buio da impedirne una discreta osservazione dei particolari.
Non sapevo come descrivere i loro comportamenti, sembravano due buoni amici e sorridevano; Michael non usciva mai se non per andare al lavoro o per stare con me, anche perché le sue occasioni erano poche e dovevo ammettere che mi spuntò un sorriso.
Ero felice per lui, sembrava aver trascorso una piacevole serata e non avevo motivo di arrabbiarmi.
Mi aveva mentita, però, non mi aveva detto che sarebbe andato a cena fuori con una donna e lo reputai un brutto gesto nei miei confronti.
Michael era un adulto e sapeva quello che faceva, non aveva bisogno di chiedermi il permesso per le sue uscite ed io non lo desideravo, volevo soltanto che fosse sincero.
Decisi di non rimuginarci troppo e di preparare qualcosa per la colazione.
Avvertii, ad un tratto, delle grandi braccia intorno ai miei fianchi ed il suo corpo caldo tentare di avvicinarmi maggiormente ad esso.
"Sei bellissima."
Le sue labbra mi sfiorarono la parte bassa dell'orecchio e pronunciarono quella frase con un tono roco e sensuale capace di inebriarmi i sensi.
Mi lasciò uno schiaffetto sul sedere e il palmo della sua mano si insinuò al di sotto della stoffa della camicia, si abbandonò sulla mia pelle e scivolò verso il basso, dove strinse una mia coscia.
Rimasi in silenzio e mi irrigidii parecchio a quel contatto, ma tentai di ignorarlo e di continuare ad armeggiare con una serie di vivande.
"Qualcosa non va?" - Chiese, allontanandosi di qualche centimetro per osservarmi a distanza.
Mi voltai verso di lui con le braccia conserte, le strinsi al petto e gli rivolsi una lunga occhiata indecifrabile.
"Saresti capace di mentirmi?" - Chiesi con un filo di voce, impegnando le mie dita ad inserire i bottoni nei passanti della camicia che avevo addosso.
"Certo che no, ti direi tutto."
Abbozzai un falso sorriso ed impugnai la busta con le fotografie, porgendola tra le sue mani.
"Perché, Michael?" - Dissi, amareggiata.
Il fatto che fosse con una donna non mi smuoveva minimamente, sapevo di potermi fidare di lui e sapevo altrettanto bene che non fosse un uomo capace di tradire, almeno non sua moglie.
Non mettevo in dubbio la sua fedeltà nel nostro matrimonio, non lo avevo mai fatto e non avrei iniziato in quel momento.
Mi sentii delusa dal gesto compiuto e dalla mancanza di rispetto che aveva avuto verso di me, perché si, si trattava di vero e proprio rispetto.
Aprì la busta con sveltezza ed osservò quelle immagini con gli occhi sgranati, poi sollevò un sopracciglio e, dopo aver terminato di sfogliarle, mi guardò con lo sguardo incupito.
Non ero capace di decifrare la sua occhiata, ma potevo dire di aver notato un velo di dispiacere all'interno di sé.
"Chi te le ha date?" - Domandò serio, toccandosi il labbro con un dito e avanzando verso di me.
"Erano sotto la porta."
Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma venne bloccato dal suo istinto che gli offrì un'altra soluzione, ovvero il silenzio che alle volte era molto più significativo delle vive parole.
"Chi è?" - Ripresi, sedendomi sul piano in marmo della cucina, lasciando che le gambe penzolassero verso il suolo.
Rispose subito, si grattò dolcemente la testa e mi si avvicinò, reggendo i polsi contro i miei fianchi.
"E' Debbie, la mia infermiera. Siamo andati a cena insieme, ieri sera."
"Perché non me lo hai detto?" - Chiesi in tono calmo, sollevando il mento verso l'alto per guardarlo negli occhi.
Non succedeva spesso che io lo facessi, ma con Michael non riuscivo a fare a meno di osservare il suo sguardo contenuto nel mio, godendo della meraviglia del suo colore.
"Mi sono completamente dimenticato di chiamarti per avvertirti." - Mormorò in tono di scuse, parlando con la voce talmente bassa da incutermi una calma apparente.
Quella risposta mi strappò un'amara risata, mi passai distrattamente una mano tra i capelli e mi preparai una frase che potesse dargli fastidio.
"Si vede che la sua presenza ha un particolare effetto su di te." - Dissi, sarcastica.
"Lisa, smettila."
C'era tensione tra di noi, ognuno aspettava un attacco dell'altro per passare sulla difensiva, era un gioco che stavamo utilizzando per farci del male e sapevo bene che, anche se fossi stata io a cominciare, mi avrebbe ferita.
Odiavo litigare con lui, era un uomo molto preciso e fermo nelle sue decisioni, non era semplice riuscire a tenergli testa, perché nella maggior parte dei casi ambiva ad ottenere la meglio.
"Chi sei per dirmi quello che devo fare? Non la smetto, Michael. Trovo inaccettabile il fatto che tu abbia dimenticato di avvertirmi. Siamo in viaggio di nozze, non credevi che forse avrei voluto saperne qualcosa anche io?" - Domandai.
"Mi sono dimenticato, mi dispiace. E' stata soltanto una cena."
"Credevi che ti avrei impedito di vedere la tua amichetta?"
"Ti ho detto che mi dispiace, cosa vuoi che faccia?" - Chiese ad alta voce, sbuffando infastidito.
"Vorrei che tu fossi più attento. Ero preoccupata per te, non sapevo dov'eri, sei rimasto fuori tutta la sera." - Dissi.
Ci fu un ulteriore silenzio, si allontanò dalla mia visuale e si sporse contro la finestra ad osservare il panorama sottostante.
"La verità è che non volevo dirtelo, perché sapevo che avresti fatto un'inutile scenata, avremmo litigato e avremmo rovinato il nostro viaggio di nozze." - Confessò, voltandosi di scatto verso di me.
Lo raggiunsi e lo guardai una punta di delusione negli occhi.
Credeva qualcosa di inesistente, io non ero come lui mi immaginava, ero diversa e non sapevo quelle idee dove le avesse trovate.
Mi faceva male sentire quelle parole da parte sua, mi sforzavo di essere una buona moglie per lui e vivevo per riuscire nel mio intento, ma i miei tentativi non erano abbastanza.
"Ti sbagli. Sarei stata contenta per te, perché avresti trascorso del tempo con qualcuno e non avrei fatto alcuna scenata. Io ti rispetto, Michael. Cerco sempre di essere una buona moglie e di trovare il meglio per te, sono sincera, ma tu non fai lo stesso con me."
"Forse un bambino aiuterebbe questa situazione." - Sussurrò con la voce bassa, coprendosi il volto.
Tornava ad aprire quell'argomento, come se fosse l'unico motivo per il quale mi avesse sposata, alle volte mi sembrava fosse il suo unico fine e mi trovavo invasa da numerosi dubbi.
Era come una ferita che faceva fatica a sanarsi, ma nonostante ci provassimo, Michael si dimenticava della mia sensibilità e la riapriva, tornando a lacerarla.
"Hai bisogno di un figlio per rispettarmi? Tu ce l'hai con me per questo motivo." - Sussurrai con la voce spezzata, percependo le lacrime iniziare a pizzicarmi la base degli occhi.
Arrestai il presentimento causato dalla tristezza e distolsi il mio cuore dal sentimento negativo, non avevo intenzione di piangere in sua presenza, altrimenti non sarei riuscita a proseguire quella discussione ed io avevo bisogno di farlo.
Avevo bisogno di comprendere le sue ragioni per imparare a comportarmi secondo le sue richieste.
"Si, ce l'ho con te, perché me lo avevi promesso!" - Gridò, stringendo i pugni e permettendo ai muscoli delle sue braccia di definirsi.
"Sei il solito capriccioso, Michael."
"E tu sei un'egoista." - Disse verso di me con la voce pacata.
"Perché dici questo? Sono egoista, perché ho bisogno di aspettare? Io voglio renderti felice e lo farò."
Fu l'ultima cosa che dissi, sapevo che non avrei continuato a sentire le frasi che mi rivolgeva, perché mi avrebbero fatto del male.
La rabbia iniziò ad avere il suo effetto su di me, si espanse brevemente verso ogni fibra del mio corpo e mi consigliò di evitare altro tempo con lui.
La nostra conversazione finiva in quel momento, non avremmo dovuto continuare, perché sapevamo entrambi cosa sarebbe accaduto.
Mi avvolsi la stoffa della camicia in modo che aderisse al mio corpo e mi allontanai dalla stanza, sperando con tutta me stessa che non mi seguisse, volevo rimanere sola.
Andai in uno dei bagni della suite, il più lontano dalla camera da letto e chiusi a chiave la porta, avvertendo la presenza di Michael poco distante da me.
Appoggiai la mia schiena al muro e venni travolta da un silenzioso pianto, quasi doloroso e trattenuto troppo a lungo, concedendo uno sfogo al mio desiderio di lasciar scorrere le lacrime.
Non volevo che mi vedesse, perché non ne conoscevo neanche io un motivo ben definito, ma sentivo di dovermi nascondere dai suoi occhi.
La porta, dopo un lungo silenzio, venne decorata dalla sua mano che cominciò a bussare insistentemente, chiedendomi di farlo entrare contro la mia volontà.
"Lisa, aprimi, ti prego!" - Urlò contro di essa, spingendo la maniglia e tentando disperatamente di riuscire ad aprirla.
Presi un respiro profondo, notai il mio riflesso nello specchio e abbassai gli occhi per impedire a me stessa di accorgermi della mia debolezza.
"Lasciami sola, per favore." - Dissi.
"Ho esagerato, ti chiedo scusa." - Mormorò contro il legno della porta, riuscendo a farsi udire nonostante l'ostacolo che separava le nostre voci.
"Vattene." - Sussurrai con la voce spezzata dalle lacrime.
"Lasciami entrare!"
Sferrò un forte calcio contro la barriera che ci divideva e, dopo aver mormorato qualcosa, accolse la mia richiesta e smise di provare a farmi cambiare idea.
Avevo bisogno di dimenticare per qualche minuto quello che era successo e di rilassarmi, tralasciando le dure parole di Michael e il suo tono aggressivo nei miei confronti.
Volevo riflettere in modo oggettivo, ma non riuscivo a capire chi dei due avesse ragione.
Forse io, forse lui, forse entrambi in modo diverso.
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Heroine.
Romance"Lui era come la mia ultima dose di eroina, la più potente e prelibata. Quella che avrebbe messo fine alle mie sofferenze. Quella che non mi avrebbe lasciato scampo." Una potente droga della quale non esiste una cura, un potente anestetico capace di...