Fletch farfugliava parole che da lontano sembravano insensate.
Stava discutendo con l'insegnate di educazione fisica, e dalle loro espressioni si capiva che nel loro parlare non ci fosse nulla di positivo.
Lui si allontanò dal professore coi pugni serrati. Le braccia gli scorrevano lungo i fianchi e il suo sguardo sembrava infuocato.
Mi passò vicino ma neanche mi notò, al contrario di me che lo notai eccome. Thomas gli corse dietro per poi fermarsi accanto a me.
-ASH ASPETTA!- Gli urlò dietro per poi fermarsi
-ash?- domandai io guardandolo. Il mio sguardo aveva una tranquillità così estesa, l'espressione che aveva Fletch quando era passato mi aveva disturbato più del sentirlo chiamare in un altro modo..
-lascia stare- sussurrò Tom col fiatone in gola.
-per adesso non potresti capire- aggiunse.
serrai le braccia al petto mentre il mio sguardo rimase fisso sul viso del ragazzo
-si che posso.- risposi fredda
-no, Grace. Non puoi.-
-perchè- domandai, ma la mia domanda non aveva un tono interrogativo, sembrava quasi essere rivolto più a me stessa quel perchè, che al ragazzo scuro che mi ritrovavo di fronte.
-perchè. ah.. non ti si può nascondere nulla vero?- quasi sbuffò nel parlarmi.
-a quanto pare no, Thomas.- sottolineai il suo nome, come se per scherzo pensassi che non si chiamasse davvero così.
-vieni con me, proverò a spiegarti qualcosa.- disse sorridendo.
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-così il suo vero nome è Ashton?- domandai, sperando di aver capito bene.
-si.-
-e perchè ha detto, o meglio hai detto che si chiama Fletch?- . mi impacciai nel chiederlo.
-non posso dirtelo- rispose calmo
-oh dio, con tutti questi misteri- sbuffai
-c'è un motivo ed è anche un motivo importante Grace ma, se c'è qualcuno che deve dirtelo quello è Ashton.- mi rispose.
-Ashton? seriamente?- scoppiai in una leggera risata.
-e tu pensi che dopo avermi picchiata vorrà anche dirmi perchè si fa chiamare da coglione invece che farsi chiamare col suo vero nome?-
-non insultarlo, ha buone ragioni. Abbiamo buone ragioni.-
-avete?- domandai, scoprendo di avere nuovi dubbi
-si.- aspettò un pò per continuare la sua risposta
-il mio vero nome è Jason. Ma c'è un motivo se ti ho detto di chiamarmi Thomas.-
-e sentiamo, qual'è?-
-Thomas è il mio secondo nome, quindi comunque mi chiamo Jason Thomas, ma non posso spiegarti perchè non abbiamo potuto dirti i nostri veri nomi.-
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Mi buttai sul letto di casa e guardai il tetto. Il tetto di camera mia era davvero particolare, era ricoperto di scritte attorno al lampadario e nei bordi c'erano attaccate vecchie foto delle città dove ho vissuto. Era come un quaderno senza pagine da sfogliare, alzavi lo sguardo e scoprivi che stava tutto sulla tua testa.
Leggevo e rileggevo quelle frasi. Volevo trovare una soluzione alle enigmatiche parole di Jason, ma non ne trovavo una. Leggevo ma in realtà non leggevo quello che c'era scritto sul tetto. Ripensavo alla discussione fatta poco prima, alle parole di Jaz, ripensavo a tutto e in pochi attimi rileggevo tutto quello che Jason mi diceva sul mio tetto, volevo scoprire ad ogni costo perchè mi tenessero qualcosa nascosto.
Ad un tratto suonò il telefono di casa, e per i primi due squilli sembravo non essermene accorta. Sentivo il suono squillante della suoneria ma facevo finta di nulla, ero troppo persa nei miei pensieri.
Spostai lo sguardo sulla destra, verso la porta per poi alzarmi dal letto per andare a rispondere.
-pronto?-
-fatti trovare davanti la scuola, tra 15 minuti. Non fare tardi.-.
Dopo quelle strane e inquietanti parole, si potè udire solo la suoneria di chiusura del telefono. Era una voce maschile al quanto pesante, non mi dava l'impressione di conoscerla, ma a quanto pare quella voce conosceva me.
Andai in stanza e presi il giubbotto nero di pelle che stava appeso nell'armadio, mi assicurai che mio padre stesse dormendo davanti la TV, come sempre, e poi uscii di casa.
Mi fermai nel piccolo giardinetto che contornava la casa, ero insicura, perchè ci stavo andando?
Per ogni mio passo passavano tre secondi, poi sollevai lo sguardo e iniziai a camminare più veloce. Era sera, per l'esattezza erano le 07:11PM, il sole stava calando.. questo rendeva tutto più inquietante.
Arrivai davanti il portone della scuola ma non vidi nessuno, erano le 07.19PM quando arrivai.
-Sei in ritardo.- sentii dire alle mie spalle
mi voltai immediatamente e vidi un ragazzo vestito completamente di nero, eccetto per la maglietta, che sembrava essere grigia. Non si riusciva a capire chi fosse, la luce serale oscurava il suo volto mostrandone solo una piccola parte, lo osservai ma non gli domandai chi era, quello non mi interessava.
-cosa vuoi da me?- chiesi con un pizzico di nervosismo in voce
Lui si limitò ad abbassarsi il cappuccio, di fronte al mio corpo quasi congelato dal freddo.
-Fletch!- dissi con un tono di sorpresa. Mi venne anche spontaneo chiamarlo ancora così ma poi mi venne un nodo allo stomaco.
Iniziai ad indietreggiare, ero spaventata, lui mi aveva picchiata e sospettavo volesse farlo ancora.
-Non voglio picchiarti o farti del male. Sono qui solo per chiederti scusa.-. Sospirò.
i miei occhi si spalancarono alle sue parole, la mia paura si tramutò in perplessità e il tempo sembrava essersi fermato. Lo guardai dritto negli occhi, si vedeva che era davvero dispiaciuto. Teneva lo sguardo basso, sembrava voler sprofondare.
-chiedermi scusa?-
-si, per quello che ti ho fatto. Non ne avevo motivo perciò, scusa.-
rilassai i muscoli, poi mi avvicinai poco a lui, come in segno di pace.
-è okay- risposi.
-insomma. Ti ho picchiata, non ho idea di come stia il tuo corpo, e mi faccio schifo per questo. Ti posso giurare che io non sono così, io le difendo le persone non le aggredisco! Non so cosa mi sia preso.- ammise.
-quando ti stavo prendendo a pugni, nella mia testa pensavo a quanto dolore stavi provando, e mi sono sentito uno schifo. in quel momento avrei voluto sprofondare, ma è come se una parte di me volesse farti del male, non so perchè.- aggiunse.
-beh, l'importante è che hai capito di aver sbagliato Fletch, e visto che mi hai chiesto scusa, faremo finta che non sia successo nulla- risposi con tono tranquillo, di una tranquillità da far paura.
-finta di niente?-
annuii.
-ma sei impazzita? Non si passa sopra a cose simili Grace. Devo farmi perdonare..- scosse la testa mettendosi una mano sui capelli. Portava una bandana nera quella sera, e alcuni ciufetti dei capelli castano chiari gli ricadevano in avanti.
-certo che quello strano qui sei tu eh. Fino a qualche giorno fa mi hai picchiato, adesso devi per forza fare qualcosa per farmi capire che non era tua intenzione farlo, ragazzo dove hai la testa?!- gli domandai perplessa
Lui si limitò a sollevare lo sguardo su di me. Nei suoi occhi si poteva leggere il dispiacere, la voglia di sprofondare, di scusarsi. Continuò a guardarmi senza dire niente, sembrava essere così afflitto da quella discussione, provò a parlarmi ma le parole in quel momento per lui erano pesanti come cemento.
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Romance"I suoi scarponi erano ancora sporchi di fango, il suo volto era distrutto dalla stanchezza. Non sapevo se odiarlo o amarlo ancora di più per quello che faceva ogni giorno, nel dubbio la nostra relazione dondolava sulla sottilissima soglia di entram...