WANDA

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Il tragitto che ho percorso per andare al fiume sembra più corto quando ritorno con Daniel.

Non so perché, ma il suo silenzio e la sua presenza mi danno uno strano senso di colpa.

Prevalentemente per come lo tratto da quando mi sono unita al gruppo.

Lui non ha fatto nient'altro che proteggermi e io lo ho allontanato, come faccio con tutti del resto.

Mi rendo conto che la mia diffidenza mi porterà a perdere le uniche persone a cui importo qualcosa; e non è un buon segno.

Sono grata di quella presa di coscienza e il merito è della persona che seguo.

Solo che lui non lo sa.

E questo mi da soddisfazione: lui conosce tutti i membri del gruppo, al contrario di me; e finalmente sapere che lui conosce ben poco di me... Beh, mi conferisce più potere, no?!

In realtà voglio solo nascondere l'ammirazione per il suo coraggio e la determinazione nel proteggere il gruppo che ha formato, l'ultima scintilla per la salvezza.

Se fossi anch'io così... Beh, non sarei in questo gruppo.

Le foglie scricchiolano sotto i nostri piedi. Di tanto in tanto, Daniel si gira indietro per controllare se ci sono e forse anche di che umore sono.

Ma evito sempre di incontrare il suo sguardo o più precisamente, i suoi occhi. So che se lo facessi... Beh, mi sentirei... Non lo so. Strana.
E non mi piace per niente.

Tengo la testa bassa sul terreno; penso a ciò che sarebbe stato di me se questo gruppo non mi avesse salvato dall'attacco degli Ibridi.

"Beh, cara, la riposta mi pare ovvia: non te la saresti cavata affatto. E ora ti troveresti come uno dei loro tanti trofei o... Peggio, visto che possiedi doti innate, ti avrebbero torturata e usata come cavia."

Non ho nessuna voglia di ascoltare la voce irritante e pacchiana della mia coscienza, che non credendo in me, mi rende ancora più debole. Se è quello il suo scopo, beh, ci riesce sempre alla perfezione.

Quando mi accorgo che Daniel si é fermato è già troppo tardi; i nostri corpi si scontrano.

Per qualche ragione assurda, appena mi allontano da lui di qualche passo, ancora intontita, perdo l'equilibrio e una mano ferma mi afferra la vita, sorreggendomi.

Deglutisco piano, incontrando gli occhi che tanto a lungo ho cercato di evitare.
Il suo viso è preoccupato e la mia mente vaga a lungo per trovare un'espressione adatta alla situazione.
Sorpresa. Sono sorpresa. O, almeno dovrei esserlo...

Il mio battito ha incominciato ad accelerare solo per uno sguardo.
Come mi sono ridotta?
"Oh-oh... Qui qualcuno ha una cotta..." Cerco di ignorare la vocina che continua a stuzzicarmi nei momenti meno opportuni.

"Grazie!"

È l'unica parola che mi esce dalla testa e che gli comunico telepaticamente. Non sono mai stata brava con le parole... O con i ragazzi...

Lui mi sorride.

Sinceramente non capisco perché quel sorriso mi renda ancora più strana... Voglio dire: mi sento come ghiaccio che si scioglie.
E questo momento sta divenendo ancora più strano.
Allora, decido di staccarmi per prima.

Adesso o mai più, mi dico, sapendo che se non lo facessi in questo preciso istante, non lo farei mai e lui non sembra minimamente intenzionato a lasciarmi.

«Io... Beh, dovrei andare ad aiutare... Jess!»

La scusa più banale del secolo per un momento troppo imbarazzante. Come al solito, oltre a essere un disastro sono anche patetica.

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