Capitolo 14 (pubblicato per chi non può leggerlo)

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Il viaggio era finalmente finito, non avrei sopportato quello stupido bambino che piangeva ancora per molto.

Scesi dall'aereo osservando l'aeroporto che mi circondava e le varie persone che camminavano da una parte all'altra dell'edificio.

C'erano molti uomini in giacca e cravatta che probabilmente avevano appena affrontato un viaggio di lavoro, ma c'erano anche molte famiglie che sorridevano e ridevano, così felici, in tutta questa felicità io sembravo una a cui era appena morto il cane, perfino quei lavoratori erano più felici di me.

Con le cuffie nelle orecchie e tanti pensieri in testa uscii dal grande aeroporto trovandomi davanti un'infinità di taxi e macchine e dopo un pò la vibrazione del mio cellulare catturò la mia attenzione.

'Alexa ti verrò a prendere più tardi. xXEva'

Bene, non mi conosceva nemmeno e mia nonna già mi aveva dato buca.

Aspettai il suo arrivo su una panchina davanti l'edificio ormai quasi vuoto, e dopo un pò cominciò a piovere.

Quelle piccole goccioline che bagnavano il mio naso mi facevano pensare che in Australia questo non sarebbe successo, e piano piano i ricordi della mia città accompagnati da 'Give me love' di Ed Sheeran cominciarono a farmi piangere creando una perfetta alleanza tra le mie lacrime e le tante goccie di pioggia.

Girai la testa verso destra incuriosita da una voce maschile che probabilmente stava parlando italiano.

"Scusi ma non capisco l'italiano" lo informai quando capii che stava parlando con me.

"Oh, le ho chiesto se sta bene" mi chiarì il quarantenne alludendo al fatto che stavo piangendo.

"Si, grazie" gli risposi sorridendogli, sembrava una brava persona.

"Sei inglese?" mi chiese sedendosi vicino a me.

"No, australiana, mi chiamo Alexa Shine" gli risposi stringendogli la mano dopo aver asciugato delle lacrime con il palmo della mano.

"Alexa Shine?, sei di Sidney?" mi chiese curioso sorridendo.

"Si, perché?" gli domandai aggrottando le sopracciglia confusa.

"Beh piacere, sono Roy Green, il suo nuovo psicologo" mi rispose sorridendo ancora di più.

Ero sia felice che triste che lui fosse il mio psicologo.

Felice perché mi era simpatico ed era molto gentile.

Triste perché in generale gli psicologi non mi vanno a genio.

"Wow, cosa ci fai qui?" gli chiesi cercando di essere gentile portando una ciocca di capelli dietro il mio orecchio.

"Beh, fra un pò dovrebbe atterrare l'aereo di mio figlio, così sono venuto a prenderlo" mi rispose gesticolando, mi dicono che sia tipico degli italiani, ma non capisco il perché, anche perché quando parlo anche io lo faccio.

Prima che potessi rispondere il suono di un clacson mi fece girare verso la strada notando una cinquantenne che mi guardava scocciata, mia nonna...

Lo salutai velocemente e prima di andarmene mi disse la data in cui sarei dovuta andare a fare la seduta con lui e ovviamente mi spiegò anche dove si trovava il suo ufficio.

"Ciao, nonna" la salutai cercando di essere amichevole.

Non rispose, fece solo un suono infastidito che uscì dalle sue sottili e scure labbra.

Dopo questa 'conversazione' capii che mia nonna non mi sopportava e che io non sopportavo lei, quindi semplicemente appoggiai la testa sul vetro del finestrino osservando le macchine che affiancavano la mia.

Professor HoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora