12. confessioni

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Eravamo ancora in camera mia, immersi in uno strano silenzio, imbarazzante.
Notai che Tom era diventato rosso, come se si vergognarsi, e cercava di evitare il mio sguardo.
"Tom?" cercai di riportarlo alla realtà.
Farfugliò un "si?" così gli chiesi cosa aveva e lui, per tutta risposta, mi guardò per la prima volta dopo che mi aveva abbracciata.
Iniziò dicendo che non voleva che me ne andassi perché per lui ero una persona importante e che non voleva perdermi.
Arrossì senza un motivo preciso, mi sentivo in imbarazzo.
Lui lo notò e mi chiese se aveva fatto qualcosa di sbagliato.
"N-No è... è s-solo che..." dissi cercando di giustificare quella figuraccia.
"Che?.." mi esortò a continuare.
Non sapevo bene cosa dire quindi rimasi in silenzio senza dire nulla.
Pensai ai suoi occhi che cambiavano colore durante le stagioni, ai suoi capelli scuri, ai suoi abbracci e alle parole gentili che mi diceva ogni giorno.
Erano largo le gentili, disposte ad aiutare, erano parole dolci che davano l'idea di una piccola nuvola.
Lui era così, senza un perché.
"Non c'è niente che mi nascondi vero? C'è qualcosa che mi devi dire?" Mi chiese riportandosi alla realtà.
Lo guardai, incerta se dire la verità o una bugia. La verità potrebbe aver portato buone o cattive notizie, tutto dipendeva da Tom. Ma le bugie, le bugie avrebbero portato solo cose brutte.
Così pronunciai un semplice "si" quasi sussurrato. Non c'era nient'altro da aggiungere. Senza tanti giri di parole, senza tante scuse. Un solo si.
"Anche io".
Disse proprio così. Anche io. Poi se ne andò, com'era venuto, senza salutare o dare spiegazioni, se ne andò semplicemente.
Mi sdraiati sul letto e, senza accorgermene, scivolai in un sonno tormentato, disturbato dai miei pensieri e dai miei sogni.

Era un edificio vecchio, grigio e abbandonato.
Ero in una città di cui non conoscevo il nome.
Io ero li, sola proprio come l'edificio che un tempo poteva essere stata una scuola oppure un palazzo.
Alla sola vista esso trasmetteva tristezza e un'immensa senso di solitudine.
Ed io ero li, ad osservarlo, davanti alla porta d'ingresso.
Dietro di me riuscivo a percepire gli strilli divertiti dei bambini, probabilmente in un parco, ed il rumore assordante del traffico.
Dove andavano tutti di fretta? Perché correvano?
Ero incuriosita da quel palazzo così decisi di entrare, solo per dare un'occhiata, poi sarei tornata indietro.
Ma appena appoggiati la mano sulla maniglia vecchia e arrugginita sentii una voce alle mie spalle. Mi chiamava e mi applicava di non entrare. Mi diceva che avrei fatto un grande errore.
Io quella voce la conoscevo. Era quella voce che dava l'idea delle nuvole o della neve appena caduta.
Era Tom.

Non sapevo bene che ore fossero quando mi svegliai, sapevo solo che era notte fonda.
Quel sogno mi tormentava da giorni ormai è io non riuscivo a capirne il senso.
Ripensai a Tom, cosa mi doveva dire?

i sogni non si avverano da soliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora