Capitolo 14

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Inciampò sull'ennesima radice e si lasciò cadere. Si raggomitolò sulla terra umida in posizione fetale, piangendo.

Il gelo notturno iniziò a morderle la pelle, affamato. Alzò lo sguardo da terra, ma non riusciva a vedere nulla, solo ombre. La luna era coperta da una spessa coltre di nubi, ma, come 5374 aveva imparato, il tempo cambiava così velocemente che di lì a poco il cielo sarebbe stato terso e avrebbe di nuovo potuto incedere nella foresta.

Se non muoio prima congelata. Si mise seduta e si abbracciò le gambe, sfregandole, chiedendosi perché se ne fosse andata. Era vero, la mentalità di quella sottospecie di licantropi da telefilm la indignava, ma non era nemmeno pronta a morire. Ripensò a Eev, a Bli, a Otte, e sì, anche a quel testardo di Ary, che, nonostante tutto, l'avevano sempre protetta e accudita, e lei li aveva ripagati insultandoli per quella che era la loro natura. Per quella che era LA natura. Eppure, continuava a essere incapace di accettare il fatto che, come le aveva spiegato Eev, i figli malati, malformati o, semplicemente, sottosviluppati, venissero abbandonati e allontanati dalla famiglia. Era una sorta di test, in cui, o diventavi forte come gli altri, o soccombevi.

Aveva un senso, in quel mondo, ma allora perché le faceva così male? Perché doveva ferirla così tanto?

Si stropicciò gli occhi, liberandoli dalle lacrime che le offuscavano la vista e la vide. C'era una bambina davanti a lei, bionda, occhi verdi, orsacchiotto in braccio, la guardava con un'espressione affranta. Era se stessa. Ricordi confusi piano, piano, presero forma. Ricordava quel vestito nero, anche l'orsacchiotto. L'avevano vestita così per il funerale della nonna e l'orso di peluche era l'ultimo regalo del padre, un cimelio. Quello era stato il suo primo giorno da sola, perché sua madre, anche se c'era, era come se non ci fosse. «Da quando è morto papà non ci vuole più bene.» Mormorò la bambina. Ma lei sapeva quanto quelle parole fossero ingiuste, sua madre non era crudele, era solo sempre stata poco adatta a fare la mamma, e troppo, troppo, debole. Non l'aveva trascurata per cattiveria, ma quello era un concetto troppo difficile da capire per una bambina di soli sei anni, cresciuta da un padre e una nonna, che l'avevano abbandonata troppo presto.

La tristezza presto si trasformò in rabbia. Ecco perché quei bambini morti la infastidivano così tanto; era perché lei, infantile come era sempre stata, non riusciva ad accettare il fatto di essere stata trascurata. Quanto poteva essere ipocrita?

Scosse la testa, alzandosi. Un crampo di dolore alla pancia le fece girare la testa, si sentiva pesante, gonfia e stanca. Il suo corpo poteva scegliere un momento migliore per farle venire il ciclo?

Appoggiò una mano sul tronco di un albero per aiutarsi a rimanere in piedi.

Il tronco si mosse, strappandole un gridolino di paura e facendola di nuovo rovinare a terra. Era ancora molto buio, ma, nell'ombra, vide chiaramente due occhi neri fissarla, famelici. Gattonò di schiena per terra, allontanandosi dall'Argara i cui lineamenti iniziavano a delinearsi alla luce della luna. Non aveva molti spunzoni appuntati sulla testa, ma ne aveva un paio lunghi e ricurvi che ricordavano tanto delle corna da diavolo. «Cerca di non morire subito, piccola.» Il mutante rise e alla sua risata presto se ne aggiunse un'altra, molto simile.

Se già uno di quei cosi significava morte, due cosa voleva dire?

Il primo Argara si rigirò verso il secondo, qualche passo dietro di lui, con un'espressione dura. «Torna a dormire Grell, non c'è nulla per te stasera.»

Ma Grell non si fece intimorire dal tono duro del compagno e lo affiancò, guardando l'umana in terra con la stessa espressione avida. «Mi sembra ce ne sia per entrambi.»

Non aspettò la fine della chiacchierata tra i due mutanti, iniziò a correre mentre nella sua testa si ripercorrevano le parole di Eev: gli Argara non hanno punti deboli, se non la loro intelligenza, ma per uccidere non serve essere furbi, basta essere forti e crudeli, e loro lo sono. Se ne incontri uno ti consiglio di scappare, possibilmente in discesa, sono così pesanti e grossi che spesso cadono e rotolano, la tua unica arma contro di loro è l'agilità.

Peccato non ci fossero discese nelle vicinanze, e, anche se ce ne fosse stata una, la prima a rotolare di sotto sarebbe stata sicuramente lei con le gambe doloranti e affaticate come le aveva. La terra iniziò a tremarle sotto i piedi, facendola quasi cadere; i due giganti si erano sicuramente buttati al suo inseguimento.

Quanto ci sarebbe voluto perché la raggiungessero? E poi? Non oso immaginare cosa ti avrebbe fatto se ti avesse presa. Invocò di nuovo il ricordo di Eev nella sua mente. Persino lei, così forte, aveva rischiato di morire contro un'Argara. E lo aveva fatto per salvarla. Voleva urlare, ma i polmoni le bruciavano così tanto per lo sforzo di quella corsa disperata da non permetterle nemmeno un lamento. Stupida, stupida, stupida!

Qualcuno la afferrò per la cintura, mozzandole il fiato quando il cuoio le si conficcò nella già dolorante pancia. Fu solleva da terra con facilità e messa a sedere su un grosso ramo a qualche metro da terra.

Pianse di gioia vedendo il volto di Ary di fronte al suo. Lui alzò un sopracciglio e si sedette accanto a lei sul ramo, tranquillo.

Come suo solito era nudo, ma ormai lei non ci faceva nemmeno più caso. Aprì la bocca pronta a scusarsi e ringraziarlo, ma lui la interruppe subito, chiudendole la mandibola con un dito. Le indicò un punto non poco distante, dove c'erano gli Argara intenti a raggiungere la loro posizione.

«Sono i due che hanno stuprato e ucciso quei due cuccioli, e stavano per fare lo stesso con te» disse, con una tranquillità ultraterrena, negli occhi rossi aveva un'espressione quasi divertita. «Se tu avessi metà della mia forza, cosa faresti?»

Lei lo fissò, poi guardò i due Argara, con odio. «Gli staccherei i testicoli e glieli metterei al posto degli occhi, poi gli fracasserei il cranio a terra.»

Ary rise. «No, no, preferirei non metterci mano in certe zone, ma la seconda parte mi piace.» Si appese al ramo come un pipistrello, con la chiara intenzione di buttarsi a terra.

Lei gli afferrò subito un polso, preoccupata. «Ary no! È pericoloso!» sussurrò decisa, gli Argara erano sotto di loro ad esaminare le impronte, confusi, non voleva la sentissero.

Ary inarcò un sopracciglio, palesemente sorpreso, poi si lasciò cadere a terra, ignorandola. Non fece il minimo rumore, tanto che gli Argara continuarono a rivolgergli le spalle anche quando si trasformò.

Uno dei due, quello con le corna da diavolo, disse qualcosa al compagno e scattò in avanti, lasciando Grell da solo, ignaro del pericolo.

Ary, imponente tanto quanto il nemico, avvolto nel suo manto nero che si confondeva nei colori della notte, avanzò nel silenzio più totale. Grell, ancora con un ginocchio a terra intento a sfiorare le impronte che si arrestavano bruscamente, fu come colto dal sesto senso, si voltò di scatto giusto in tempo per ricevere il destro del licantropo sulla tempia. L'Argara finì disteso a terra, prono, stordito. Ary non aspettò che rinvenisse, lo sovrastò schiacciandolo e gli afferrò la testa con una mano, iniziando a stringere. Grell reagì d'istinto alzando le mani e afferrando l'avambraccio del licantropo.

L'umana chiuse gli occhi, l'ultima volta che aveva visto una scena simile un'Argara come quello aveva staccato il braccio a Eev come se nulla fosse. Un rumore di ossa rotte la costrinse a osservare, col cuore in gola. Ary si rialzò sulle zampe posteriori, tutto intero, scuotendo un po' la mano destra che schizzò sangue in giro. Grell giaceva immobile sotto di lui, il cranio spappolato in una pozza di sangue, roccia e tessuti molli.

Vide Ary balzare nell'oscurità fra due alberi e sparire, sicuramente all'inseguimento dell'altro Argara; si sentì di nuovo sola, ma non abbandonata. Si abbracciò le gambe pazientemente, asciugandosi le lacrime, le orecchie tese a captare qualsiasi tipo di rumore.

«Grazie, Ary» sussurrò al vento.


L'umana dal passatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora