Epilogo

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Lasciò cadere il corpo privo di vita del Core di C3 o, per meglio dire, C3 stessa. Qualcosa, però, non andava.

Tie?

Nessuna risposta, ma non era quello ad allarmarla: dove erano le scale?

Dove sono?

Era tutto nero, la densa oscurità in cui risiedevano ognuno di quegli sgorbi mangia incubi spariva sempre, dopo che lei ne uccideva uno, rivelandole la scala per il piano successivo.

Un attimo. C3 era l'ultima città, piuttosto deboluccia oltre tutto, il che voleva dire che aveva finito!

Si sentì pervadere dalla felicità e anche sentirsi felice, la rese felice: non aveva usato troppa energia, non si era persa nei propri incubi, ce l'aveva fatta... Ma cosa doveva fare, adesso?

Ricordò per un attimo le parole di Tie, l'alieno aveva parlato di arrivare in cima alla torre per vincere, ma come poteva arrivarci, se non c'erano scale? Come poteva arrivare da qualsiasi parte se non c'era nulla?

No, qualcosa c'era. C'era Ice, anche se non riusciva a vederlo, ne sentiva la presenza.

«Sai come posso uscire di qui, Ice?» Domandò all'oscurità, pacatamente.

L'uomo si rivelò a lei dalla foschia, studiandola nel profondo con i suoi occhi scuri.

Non le rispose, rimase solo lì fermo a fissarla.

«Ice?» lo chiamò, sperando di ottenere una qualche reazione. Dal tempo trascorso con il confederato aveva capito due cose: era tremendamente sadico e pazzo. La prima era sicuramente stata una sua caratteristica anche nella vita reale, la seconda era probabilmente una causa di tutto quel tempo passato in quelle condizioni. «Mi hai sentita?»

Ice annuì, poi le rivolse un sorriso, ma, al contrario di tutti i sorrisi che aveva visti disegnati sul suo volto, quello era diverso... Sembrava felice?

«Ice?»

«Staremo qui, per sempre, insieme.»

Emma sgranò gli occhi, cosa voleva dire? Non poteva essere serio, lei aveva fatto le cose per bene, non poteva...

Tutto intorno a lei iniziò a cambiare mentre un'angoscia profonda la invadeva. Urlò, provò a scappare, ma il suo corpo non si muoveva, era come se stesse precipitando, e, in effetti, cadde a terra.

Aprì gli occhi, anche se non si ricordava di averli mai chiusi e vide davanti a sé un tappeto con un'intricata trama floreale. Si puntellò con le mani per alzarsi e non si stupì di non sentire le setole colorate pizzicarle i palmi. Ormai si era dimenticata cosa fosse il tatto. Alzò lo sguardo e rimase a bocca aperta: quel posto era meraviglioso. Grossi quadri di scene bucoliche con sfarzose cornici auree ornavano le pareti, in un maestoso caminetto a pochi passi da lei scoppiettavano fiamme vivide e calde, mobili di mogano completavano gli spazi dimenticati dai quadri e sul soffitto c'era tutta l'arte di un maestro orafo racchiusa in una tempesta ornata di diamanti a forma di lampadario.

Era tutto così bello che le fece dimenticare qualsiasi cosa.

A riportarla al mondo ci pensò la cameriera rigorosamente di colore che entrò dalla porta intarsiata di mogano.

«Miss, che ci fate lì a terra?»

Emma assottigliò lo sguardo. Quello era sicuramente un incubo. «ICE!» tuonò, infuriata.

La donna di fronte a lei trattenne il fiato. «Non chiamate in questo modo il padrone...»

Ma la bionda non le prestò attenzione, si alzò in piedi, scoprendosi tremendamente debole, e, un po' barcollando, schivò la serva e uscì dalla stanza. L'ingresso che le si parò davanti era anche meglio del piccolo salotto in cui si era risvegliata, ma stavolta non si lasciò ammaliare da quegli interni eleganti e pregiati, puntò le scale in fondo alla stanza e le raggiunse. Appena provò a salire il primo gradino, inciampò e rovinò a terra di faccia. Grazie al cielo anche il dolore fisico l'aveva abbandonata, oltre al tatto.

L'umana dal passatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora