Capitolo 13

2.8K 223 7
                                    

Mangiare non era mai stato così divertente. Mai.

Si portò il cuore del cervo con una mano alla bocca e lo addentò con voracità, mentre con l'altra teneva il mento di Seta alzato verso il suo. Il sangue gli colava dalla mano sul volto di lei, che a ogni goccia stringeva più forte gli occhi, tentando di divincolarsi con quelle sue piccole e deboli manine chiuse attorno al suo avambraccio.

«Oh, che c'è? Ti è passata la voglia di guardarmi mangiare?» domandò, ironicamente, tra un boccone e l'altro.

Se c'era una regola che conoscevano anche i più piccoli, era che nessuno, nemmeno un suo pari, doveva guarda un Alfa nutrirsi. Ma l'umana era troppo stupida per capire le loro regole, e, nonostante gli avvertimenti di Eev, spesso e volentieri andava a disturbarlo proprio in quei delicati momenti. "Ary posso andare qui, Ary posso fare qua, Ary bla bla bla" Lo importunava con certe richieste inutili da mandarlo su tutte le furie ogni volta. Un po' si pentì di non averle rasato i capelli a zero: quella concessione (ottenuta tramite ottime motivazioni, doveva ammetterlo) era stato l'inizio della fine per lui. Le aveva dato potere, lo leggeva ogni giorno nei suoi irrispettosi occhi verdi.

Ma ora i suoi begli occhietti erano chiusi e sulle sue palpebre scorreva lo stesso sangue di cui lui era ricoperto da capo a piedi.

«Lasciami!» mugugnò Seta.

Ary rise, continuando a mangiare, estasiato da quella vista. Perché non ci aveva pensato prima? Le altre volte le aveva ringhiato, suscitando in lei risa di scherno, ma quella volta, preso dall'irrefrenabile voglia di mangiare direttamente lei, l'aveva aggredita schiacciandola a terra con la sua mole. Ovviamente nel momento in cui lei si era lamentata per il dolore le orecchie gli erano fischiate così tanto da farlo sentire in colpa, quindi aveva deciso di torturarla psicologicamente. Sapeva, dopo attente osservazioni, che all'umana disgustava vederli mangiare; infatti, ogni volta, lo cercava per avere il suo permesso per procedere in qualcuna delle sue distrazioni. Cos'era che gli aveva chiesto poco prima? Se ne era già dimenticato; non gliene importava nulla! Per quanto lo riguardava, poteva buttarsi da un fosso anche senza il suo permesso.

Finì di mangiare leccandosi le dita una a una, aspettando pazientemente che l'altra riaprisse gli occhi. Quando lo fece, l'accolse con il più sornione dei suoi ghigni, scuotendole il volto con la mano.

«Sei un brutto...» iniziò lei, con odio.

Ary la interruppe. «Il mio fianco è sulle tue costole, che sono da poco guarite.» Le abbassò il mento di modo che potesse vedere l'esatto punto in cui lui le si era disteso addosso. «Vuoi davvero insultarmi?» Aggiunse, malevolo.

Non le avrebbe mai potuto fare del male, il suo istinto si rifiutava categoricamente di farlo, ma lei non lo sapeva, giusto? Infatti, Seta si ammutolì e cambiò del tutto espressione. «Riguardo la cosa che ti ho chiesto?» chiese, tranquilla e pacifica.

«Fai quello che ti pare, basta che non importuni gli altri e non ti stanchi troppo, non voglio rivedere mia sorella o Otte costretti a portarti in spalla» replicò Ary, seccamente. Si decise poi ad alzarsi e liberarla.

Lei si alzò con difficoltà, Ary notò che aveva una postura più sgraziata del solito. «Ma ascolti mai qualcuno a parte il tuo ego?» disse Seta mentre con una mano cercava di togliersi un po' di sangue dalla faccia.

Ary le puntò un indice contro, minaccioso. «Ti avevo già avvertita, usa altre parole strane e ti cucio la bocca.»

Lei prese fiato, si stava palesemente trattenendo. «Sì, scusami» mormorò guardandolo negli occhi dal basso, contrita. Ary si stupì, mai l'aveva vista assumere quell'atteggiamento. Un lato di sé gioì, finalmente l'aveva sottomessa, ma un altro si rattristò, perché tutti dovevano sempre diventare così noiosi? «Mi porteresti a Distorcispazio con te?» domandò lei, dopo un po' di silenzio, studiandolo.

«No» rispose subito Ary, incrociando le braccia al petto.

Lei si fece ancora più implorante. «Ma... Eev mi ha detto che è stata progettata da uno degli ultimi umani e che ci sono un sacco di oggetti del mio tempo e...»

«Ti ci porterei solo per venderti, ma, dal momento in cui non posso farlo, tu resti qui, come gli altri» sentenziò, secco.

A quel punto non servirono parole da parte dell'altra. Mi odia. Ary rise, osservando l'ira che smascherava quella finta sottomissione sul volto di lei. Era di nuovo se stessa, libera, irascibile, imprevedibile.

«Davvero credevi che bastasse chiedermelo con gentilezza perché accettassi?»

L'umana non rispose, rossa in volto dalla rabbia, e se ne andò, lasciandolo solo con un sorriso compiaciuto. L'avrebbe voluta seguire per infastidirla, deridendola, ma, al contrario di lei, lui aveva degli obblighi verso la sua famiglia. Il sorriso scomparve dal suo volto mentre si trasformava e si buttava a capofitto nell'esposizione del territorio.

Trovò la strada più sicura per la sua famiglia e li chiamò, proseguendo poi da solo. Liberò la via dai rovi, spostò a spallate un masso per poi graffiarlo per smussarsi le ormai troppo lunghe unghie, si soffermò qualche minuto a rotolarsi nell'acqua di una pozza per rinfrescarsi e pulirsi dal sangue, marcò il territorio, poi, fiutò una traccia che gli fece rizzare tutti i peli della schiena.

Morte. L'odore della morte ormai gli era fin troppo familiare, ma, a chi, in quel mondo crudele, non lo era? Si fece più attento, rallentando così tanto da farsi quasi raggiungere dagli altri. Fermi. Intimò al branco. Gli ubbidirono tutti, senza esitazioni. Avanzò nel bosco; alla luce del sole chiunque l'avrebbe visto facilmente: era come un grosso masso nero che si muoveva fra le frasche, ma, a giudicare dai rumori della foresta, non vi erano minacce attorno a lui.

Il suo cuore, nonostante i lunghi anni di allenamento, vacillò all'immagine che gli si presentò davanti agli occhi. Un cucciolo maschio, con il cranio fracassato a terra, giaceva ai piedi di un albero. Doveva avere all'incirca sei anni, valutò Ary dalla sua costituzione, e stava disteso a pancia all'ingiù, probabilmente tenuto in quella posizione dal suo stesso assassino. Lo annusò con silenzioso rispetto, ma non sentì altro che l'acido odore di una vita troppo giovane per essere troncata. Con gli occhi seguì il punto che veniva indicato dalla mano del piccolo, e assaporò quella che doveva essere stata la sua ultima visione.

Non riusciva a guardare, ma si obbligò a farlo: pochi metri più in là, stava il cadavere di una piccola femmina, anche lei con il cranio sfondato, nuda, gambe divaricate... Non gli serviva fiutare l'aria per capire di chi fosse l'opera.

Voleva solo che qualcuno gli togliesse quell'immagine da sotto al naso, non riusciva né a staccare gli occhi, né a muoversi. Era lì, in preda a pensieri così sinistri da fargli quasi perdere la ragione.

Non riuscì nemmeno a ringraziare Otte quando l'amico ammassò i due cadaveri da un lato, lontano dalla sua vista, e iniziava a scavare una fossa per seppellirli.

Le voci intorno a lui gli suonavano distanti, ovattate, come se quello fosse solo un brutto incubo. Si sforzò di sentirle, non poteva mostrarsi così debole di fronte agli altri, ma, appena riuscì a cogliere parte del discorso, la situazione non migliorò affatto per i suoi nervi.

«Siete dei mostri» sbraitò Seta, con i verdi occhi lucidi fissi sui cadaveri che Otte stava seppellendo.

Eev dischiuse le labbra, supplicante, negli occhi lo stesso dolore che attanagliava il cuore di Ary. «Seta, ti prego, cerca di capire, questa è la legge della natura...»

«Non chiamarmi SETA! Non è il mio nome questo e questo non è il mio mondo!» parlava in modo sconclusionato, tremando da capo a piedi per la collera. «Non posso accettare di vivere in un mondo in cui i figli vengono abbandonati a loro stessi senza batter ciglio, e che la vista dei loro cadaveri non susciti in voi più di un "è la legge della natura!". Non siete umani, non discendete dalla mia stirpe e io non voglio più avere a che fare con nessuno di voi.»

Eev allungò una mano per sfiorarle la spalla, ma l'umana si scansò, in preda a una follia a loro sconosciuta.

Il suo sguardo ricadde su Ary, furioso. «Se avessi anche solo la metà della tua forza, non permetterei che certe cose accadessero.»

Era troppo. Ary tornò in forma umana così velocemente e così tanto carico d'odio, che gli fece male. Distese la schiena, allargò le spalle, indicò una strada nel bosco e puntò i suoi occhi rossi sul volto dell'umana. «Vuoi andartene? Fallo.»


L'umana dal passatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora