Capitolo 34

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Chiedo venia per il linguaggio di questo capitolo e per la confusione degli eventi narrati. So esattamente come finisce questa storia ma niente, questa parte proprio non riuscivo a scriverla, i prossimi capitoli saranno meglio, spero....

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Da quanto era immobile a guardarsi intorno? Sembrava un'infinità di tempo.

Fino a quel momento il suo corpo si era mosso da solo, controllato da Tie, poi, tutt'a un tratto, proprio di fronte a una porta nera, si era immobilizzata. Chiamò più e più volte l'amico dentro la sua testa, ma non ricevette nessuna risposta. Ruotava gli occhi spazientita catturando ogni dettaglio di quello strano posto: assomigliava alla casa di Tie dall'arredamento molto essenziale, ma era più ampio, ogni cosa era perfettamente squadrata e le stanze si succedevano una dopo l'altra linearmente.

«Buh.»

Lo spavento la percorse da capo a piedi come una scarica elettrica, fece un balzo indietro e i suoi occhi si incrociarono con due iridi nere come la pece, cariche d'odio.

C'era un uomo alto, robusto e arcigno a pochi passi da lei. Era comparso letteralmente dal nulla, terrorizzandola. Emma studiò i suoi vestiti, sembrava una divisa militare, le ricordava qualcosa... Per un attimo si chiese chi fosse, poi, la risposta fu abbastanza chiara: «Ice...»

L'uomo roteò gli occhi. «Basta con questo nomignolo del cazzo.»

Emma si morse un labbro, l'avrebbe voluto ricoprire di insulti, ma si trattenne. «Scusami, come vuoi che ti chiami?»

«Ice può andare.»

Ok, è pazzo. «Allora, Ice, sai che cosa dobbiamo fare?»

Ice annuì, rivolgendole un ghigno. «Uccidere tutte quelle maledette gelatine.»

«Dobbiamo solo disattivare le loro città, non c'è proprio bisogno di...» Emma si ritrovò la mano di Ice stretta attorno al collo. Era strano: non sentiva le sue dita sulla pelle, avvertiva solo la pressione e il soffocamento, come se il tatto l'avesse abbandonata.

«Devono. Morire. Tutti» scandì bene Ice.

Emma annuì, sentendosi prossima allo svenimento. Ice mollò la presa, poi si allontanò. No, lui era fermo, era lei a starsi allontanando. Tie! Chiamò, sperando di ricevere risposta. Ma che stai facendo? Perché ti stava strozzando? Le parole dell'alieno la aggredirono, ma, nonostante il dolore, fu felice come non mai di sentirlo. Che diavolo è successo? Perché eri sparito?

Niente, non preoccuparti.

Emma strinse i denti: era ovvio che fosse successo qualcosa e doveva anche essere grave se le veniva detto in quel modo, ma, vista la situazione, lasciò correre. Bene, procediamo allora.

Non ricevette nessuna risposta ma il suo corpo iniziò a muoversi, andò verso la porta e l'aprì, in un gesto molto meccanico.

«Certo che è davvero un peccato...» valutò Ice, dopo un po' che incedevano nelle stanze del piano terra.

Emma si voltò a guardarlo, alzando un sopracciglio.

«Una come te che se la fa con un negro... Il mondo è proprio andato a puttane.»

Quelle parole la confusero, a cosa si riferiva Ice? Vagò ancora una volta con lo sguardo sulla divisa dell'altro e le fu subito tutto chiaro. Un confederato! Di tutti i ritardati che le potevano capitare, perché proprio un dannatissimo confederato? Provò un moto di disgusto e avrebbe seriamente voluto mettergli le mani addosso, raccontargli di come quegli idioti come lui avevano perso la guerra di secessione e sì, dirgli che quel "negro", che poi, Ary pareva sì di carnagione un po' scura, ma era semplicemente la pelle riarsa dal sole fin dalla nascita, era molto meglio di quanto mai sarebbe potuto essere un qualsiasi confederato.

L'umana dal passatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora