Capitolo III

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Quando entrai nella stanza blindata, per poco non caddi per terra, sconvolta. Le gambe mi reggevano a malapena e a stento trattenni un urlo, di terrore e disprezzo. Guardai sconvolta mia madre, la quale cercò di sorridermi dolcemente e di mostrarmi che lei era con me.

Ammetto che la prima volta non fu facile per me, anzi, tutt'altro. Abituarmi a quello scenario fu un'ardua impresa, ma con la pratica e il passare del tempo anche quel rito per me divenne pane quotidiano.

Nella stanza faceva estremamente freddo: si trattava di una cella figorifero. Alle pareti erano ammassati dei corpi, chiusi in apposite celle, in fin di vita. In realtà, non si capiva quale fosse la loro condizione, probabilmente alcuni erano morti, altri invece, erano vivi. I corpi erano tenuti intatti dal freddo e solo in questo modo non si decomponevano. Alcune donne e uomini tremavano, potevo sentire i loro denti battere e tutto, lì, era impregnato di sangue. Dalle pareti, al pavimento, agli utensili. Era una vera e propria stanza del crimine. Ancora oggi mi chiedo come quelle persone riuscissero a mantenersi in vita con quel gelo, probabilmente la risposta sta nel sangue di vampiro. Credo gli venisse somministrato tanto per resistere un po' di più ad una futura e sicura ipotermia.

«Ecco, prendete questi, sempre se non volete finire come loro» ridacchiando Agatha ci porse dei mantelli neri. Sporchi di sangue incrostato. Puzzavano ed il tanfo era insopportabile. Ma quel "lusso" era fin troppo per noi. Chissà quanti altri schiavi li avevano utilizzati, prima.

«Mia signora, credo sia necessario fare una rotazione. Molti corpi, ormai, sono privi di vita» annunciò il maggiordomo, Detlef, stringendosi il naso fra due dita, l'indice ed il pollice lunghi e mingherlini.

«Avresti dovuto già farlo, Detlef!» lo rimproverò la donna con tono rigido. «Sai bene che quando dei corpi muoiono devi seppellirli, o altrimenti qui la puzza diventa davvero insopportabile. E poi non so cosa farmene, di corpi dissanguati. Non servono più a niente.»

«Eseguo subito, mia signora. Chiedo umilmente perdono» il maggiordomo si chinò ad aprire le celle con i cadaveri, poi li caricò su di una cariola per portarli via. L'idea che nei pressi dell'enorme villa ci fosse un cimitero sotterraneo fatto di corpi ammassati l'uno sull'altro, mi terrorizzava. Le altre vittime, nelle piccole gabbie, tremavano, piangevano e desideravano di fare la stessa fine nel minor tempo possibile. O almeno, era questa la mia interpretazione delle loro facce esauste.

«Oggi mangiamo la fila di destra, che ne dici, caro?» perché erano questi i principali problemi di cui doveva occuparsi la padrona. Da quali umani succhiare il sangue. Lei non aveva altri pensieri, altri compiti o mansioni da svolgere.

«L'altra volta è toccata a quella di sinistra, a meno che tu non voglia ucciderli subito» rispose l'uomo ovviamente, con sguardo e tono indifferenti. A volte avevo sperato che lui fosse diverso da sua moglie, più umano. Ma i vampiri sono vampiri, non si può mutare il loro modo di essere.

«Ma certo, Philip, avanti, procediamo.»

Agatha aprì una fessura all'interno del muro e ne estrasse qualcosa, poi si avvicinò a noi e porse una chiave numerata a me, un'altra a mia madre. «Aprite la cella con il numero indicato sulla chiave e... portateci gli umani» quelle parole mi tormentano ancora oggi. Il ricordo di quello che dovemmo fare, mi tortura e spesso devasta i miei sogni.

Senza guanti? Domandai, nella mia testa. Ma la risposta era ovvia e scontata.

Ero rigida, ma non potei fare altro che eseguire gli ordini e così imitai mia madre, andandole dietro.

Si avvicinò alla sua cella numerata ed io feci lo stesso, aprendola. All'interno c'era un ragazzo fin troppo magro, con il viso piatto e sciupato. «Uccidimi... ti p-prego» m'iplorò. Era alla fine delle sue forze e lo si poteva notare facilmente.

Eloise - Figlia di una schiavaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora