Capitolo XXIII

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Correre nei campi, mano nella mano con mamma Christina, fra i fiori colorati e il cinguettio degli uccelli, non aveva prezzo. Io e lei non avevamo mai avuto l'occasione di passare un po' di tempo da sole, divertendoci come tutti i genitori fanno con i propri figli e solo adesso ne stavamo avendo l'occasione, occasione che non potevo perdere.

Era bello stringere la sua mano e fare finta che fosse tutto reale, che stessimo davvero mangiando un gelato ai nostri gusti preferiti e che stessimo scherzando fra di noi. Era bello, ma non era vero. La verità era che lei non c'era più.

Assaporavo quegli attimi infiniti, godendomeli senza lasciarmeli sfuggire.

«Io voglio che tu sia felice» mi disse la mamma, abbracciandomi e stringendomi forte mentre i raggi del sole si infrangevano sulla nostra pelle. Essere un vampiro significava non poter godere di quella magnifica sensazione e allora io amavo essere umana, anche se non avevo una forza elevata e dei poteri che tornavano sempre a mio favore.

«Ci proverò» era come se fossi dentro il sogno e potessi pilotarlo, era come se riuscissi a sentire il tocco di mia madre, come se lei fosse sempre lì, con me.

«Io ci sarò sempre, ti basterà chiamarmi e ascolterò le tue parole» una lacrima mi rigò il viso e tutto ciò che vidi infine fu il sorriso genuino che avevo sempre amato in Christina. I capelli biondi svolazzavano mossi dal vento e gli occhi azzurri brillavano, sembrava un angelo, un angelo sceso dal cielo che adesso stava ritornando nella sua dimora.

Mi svegliai così, con un vuoto che mi aveva fatta dormire poco. Anzi, era strano che io avessi dormito, non credevo sarei riuscita a chiudere occhio. Mia madre non c'era più davvero, non si era trattato di un incubo o di un'illusione. A volte la vita è davvero bastarda.

Tastai le coperte. Ero sola. Infinitamente sola. E il vuoto che lascia una persona che ami, è immenso e incolmabile ed io l'ho provato sulla mia stessa pelle. Eppure, ancora nessuna lacrima. Nessun pianto liberatorio o urla strazianti. Ero rimasta impassibile, ferma. Stavo morendo dentro, ma non ero ancora pronta a darne la prova.

Avanzai velocemente verso la cucina e presi un bicchiere d'acqua. Non m'interessava che qualcuno mi scoprisse a vagare a quell'ora della notte da sola per la casa, non avevo assolutamente nulla da perdere, che mi uccidessero. Anzi, a dire il vero, in quel momento preferivo la morte. Cosa c'era a tenermi in vita, ancorata alla realtà? Cosa mi era rimasto?

Agatha, Philip, Luke, le gemelle, tutti erano accorsi a vedere il corpo senza vita di Christina. Tutti sconvolti. Nessuno era riuscito ad avvicinarsi, avevano portato le mani alla bocca increduli.

Eppure Agatha non doveva essere così incredula, siccome era stata proprio lei a farla fuori. Come aveva potuto? Io l'avrei smascherata. Ciò che mi teneva in vita era soltanto un'incredibile voglia di vendetta e riscatto. Mia madre non me l'avrebbe mai perdonato, se mi fossi lasciata uccidere o se mi fossi abbandonata a me stessa. Sapevo di dover essere forte e lottare, per lei. Glielo dovevo, dopo tutto quello che aveva fatto e dopo esser stata la mamma migliore del mondo!

Lasciai scivolare la schiena lungo una parete e mi accasciai al suolo, portando le ginocchia al petto. Tutto ciò che desideravo era dimenticare quel dolore, quella fitta che mi aveva ridotto il cuore in brandelli. Volevo disconnettermi dal mondo e non sentire nulla.

Solo ora, dopo anni, ho capito cos'è la morte e ho cominciato ad accettarla. La morte è una tappa naturale della nostra vita; ci porta via quando meno ce lo aspettiamo, come una mano bastarda che decide di risucchiarci dal mondo in cui viviamo e trasferirci altrove. A volte, credo che essa sia più una benedizione. Viene in nostro soccorso quando ne abbiamo bisogno. La mano ci risucchia e ci porta in un posto migliore, dove sicuramente saremo felici. Altre volte, invece, è una bastarda. La mano ci sottrae dagli anni migliori, dalla vita, dalle esperienze che avremmo potuto fare, ci tiene lontani dalle persone che amiamo. Come quando porta via con sé i giovani. A partire dai neonati, i bambini, i ragazzi, che hanno ancora tutta una vita davanti; e poi gli adulti ed anche i vecchi.
Eppure fa parte di un ciclo, un ciclo doloroso che dobbiamo saper accettare: la vita. È per questo che non bisogna sprecare questo dono che ci è stato fatto, che bisogna godersi ogni giorno come fosse l'ultimo, perché quando meno te lo aspetti quella mano ingiusta ti strappa via. Cos'aveva fatto di male mia madre per meritare una cosa del genere? Eppure è accaduto. Perché c'è una cosa molto più potente di noi, molto più forte, incontrastabile: il destino. Ora ho capito che bisogna andare avanti, bisogna pensare che non c'è stato momento migliore, che se il destino ha scelto così è perché è giusto. Stare male è normale, ma bisogna cercare di superare ogni cosa. Dimenticare è impossibile; lottare, invece, è possibile.

Eloise - Figlia di una schiavaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora