Capitolo VII

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«Avevate detto che non mi avreste fatto del male» protestai, guardandolo. Aveva l'aspetto quasi sconvolto, tanto da non sembrare più lui. I suoi bellissimi occhi azzurri ora brillavano di fuoco, una fiamma ardente che non vedeva l'ora di assaggiare la linfa vitale che scorreva nelle mie vene.

«Oh, Eloise, Eloise, sei così ingenua. Mai far entrare un vampiro affamato così facilmente» rimasi sorpresa notando che si stava trattenendo e stava facendo un'enorme fatica. Forse non voleva mordermi davvero o forse, anzi, quasi sicuramente, l'ingenua dell'intera situazione ero soltanto io.

Continuavo a convincermi sempre di più di aver sbagliato, che con tutta l'ingenuità che mi portavo addosso non sarei mai andata lontano.

Indietreggiai, sempre di più, ma il letto alle mie spalle non mi permetteva di andare oltre.

In men che non si dica mi ritrovai il vampiro a pochi palmi dal viso. Avrei voluto urlare per chiedere aiuto, ma lui non me lo permise. Con una mano mi tappò la bocca, poi si fiondò con i denti sul mio collo e fece uscire i canini, azzannandomi la pelle e cominciando a succhiare la mia linfa.

Sentivo il sangue venir meno e il dolore era straziante. Alzai le braccia, divincolandomi, cercando una via di fuga. Peccato che, una via di fuga, non esisteva.

Non faceva il minimo sforzo per tentare di essere delicato, anzi, il dolore che mi procurava era allucinante, tanto da annebbiarmi la vista. Stava succhiando così tanto, che sentii le forze venirmi meno.

Sto morendo, pensai.

E ne ero sicura, ero certa che la mia vita sarebbe terminata quel giorno, spazzata via dal mio stesso padrone. Un vampiro spietato.

Mi ero sbagliata su di lui.

Luke Royalts non era assolutamente il bellissimo angelo che sembrava. Non era migliore della sua famiglia, lui era peggio di tutti loro. Era un diavolo con le fattezze di un angelo.

Gli occhi si chiusero definitivamente, persi le forze e ogni tentativo di resistere fu vano. L'ultima cosa che vidi davanti ai miei occhi, fu il volto di mia madre. La immaginai carezzarmi i capelli, sorridermi spontaneamente e sussurrare dolci parole al mio orecchio. Poi tutto divenne nero e sprofondai nelle tenebre. Non era un enorme dispiacere per me finire nelle mani della morte, perlomeno le mie sofferenze sarebbero cessate.

• • • •

Mi risvegliai. Non capivo come fosse possibile una cosa del genere, ma ad un tratto aprii gli occhi ed ero ancora viva, in carne ed ossa, nel mio letto. Stavo sognando? Era forse quello il paradiso?

Tentai di muovermi, ma ero troppo debole e allora capii che purtroppo ero ancora viva. La vita, il destino, la sorte, nulla era stato benevolo nei miei confronti.

Quando notai il signorino Luke sulla sedia, pensai di aver già vissuto quella scena.

La storia si ripeteva.

I miei occhi si riempirono di lacrime e cominciai a tremare, il labbro era colpito da spasmi irregolari ed il petto si alzava ed abbassava velocemente. Non osavo guardarlo, provavo odio e ribrezzo nei suoi confronti, non volevo che lui fosse lì, davanti a me, seduto nella mia camera.

«Ti ho portato una cosa» disse, osservandomi. Nemmeno un "Come stai?" o una minima scusa; nulla di tutto ciò giunse alle mie orecchie.

Non risposi, continuando a mantenere lo sguardo fisso sulle lenzuola sgualcite che mi accarezzavano il corpo.

«Ho fatto una fotocopia del tuo ritratto, questo voglio che lo tenga tu» appena me lo porse avvampai, vedendo quanto la figura nuda assomigliasse alla mia persona. Quella ragazza con i lunghi capelli ricadenti sulle spalle squadrate, il seno coperto solo per metà, le gambe accavallate, seduta sulla scrivania in mogano della sua camera ero proprio io.

Eloise - Figlia di una schiavaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora