::10 something vague

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Era passato più di un mese da quando io e mia madre parlammo, la pancia si vedeva sempre di più e pesava sulla mia schiena a causa della mia statura minuta.

Passavo sempre da casa sua, aspettando un "Entra" che non arrivò mai, ma ci speravo e non volevo smettere di farlo perché non mi sentivo del tutto pronta a dire addio a ciò che mi è stato vicino per troppo tempo.

Ispirai, vedendo il fumo che usciva dalla mia bocca a causa del freddo e del gelo che stavo patendo in quella stagione che tanto amavo.
Ero sulla panchina del parco in cui mi apprestavo a osservare quei bambini che giocavano con la poca neve che era caduta in quei giorni di inizio dicembre. Sembravano felici, spensierati, mentre urlavano e ridevano fra loro lanciandosi palle di neve che si sgretolavano prima ancora di arrivare contro l'altro.

Un bambino dai capelli corvini e dagli occhi color nocciola che si intravedevano sotto lo strato della sciarpa troppo spessa, mi colpì sul cappello per sbaglio, facendomi scivolare la neve su tutta la faccia. Starnutì a contatto con il freddo agghiacciante e tremai. Il piccolino si apprestò a venire verso di me spaventato, salendo goffamente sulla panchina e alzandosi in piedi per guardarmi dritto negli occhi.

«Scusami, non volevo farlo apposta» mormorò dispiaciuto con la sua vocina flebile e gli occhi vitrei. Gli sorrisi ampiamente, mentre il mio cuore si scaldava grazie alle parole tenere che aveva detto.

«Tranquillo» ridacchiai, togliendomi un po' di neve dalle spalle. «Vai a divertirti con i tuoi amici»

«Mi perdoni?» domandò, buttandosi fra le mie braccia. Rimasi sbigottita all'inizio, ma poi le mie mani circondarono il suo corpicino e lo sollevai mettendolo sulle mie gambe.

«Certo che ti perdono!» esclamai, stringendolo ancora più forte.

Ci separammo per la voce di una signora che correva verso di noi, sventolando i guanti del bambino. «Scusalo, ti sta dando fastidio?» chiese preoccupata, ma io solo annuì.

«Hai una pancia grande, per caso hai un bambino qui dentro?» disse innocentemente, guardando la felpa arancione, ancora seduto sulle mie gambe.

«Caleb! Non si chiedono certe cose!» lo rimproverò la madre.

«Tranquilla, signora» le intimai. «Sì, ho un bambino nella pancia» sussurrai, facendo un sorriso malinconico mentre la madre mi guardava sbigottita.

«Posso toccarla?» fece labbruccio, per poi battere i denti a causa della raffica di vento.

«Certo» sorrisi debolmente, mentre presi la sua manina e l'appoggiai sotto la maglietta. Ritrassi la pancia al contatto freddo che essa causò, però mi abituai in fretta e Caleb iniziò a trascinarla su e giù ridendo.

«Mamma, voglio un fratellino» urlò gioioso alla madre che si era appena seduta sulla panchina.

«Ci penseremo, okay?» lo rassicurò, prendendo in braccio e mettendogli i guanti per poi metterlo a terra mentre sfuggiva dalle sue mani correndo verso il suo amico.

Salutai entrambi, alzandomi da quella panchina ormai riscaldata dalla mia temperatura corporea. Chiusi il giubbotto e m'incamminai verso il ponte che popolava i miei incubi da giorni. E sapevo che la ragione era semplicemente la mancanza che avevo di mia madre durante la notte. Sognavo che mi accarezzava nel mio letto mentre piangevo fino a quando mi addormentavo. E poi il buio, che risorgeva con altri ricordi di me da bambina su quel ponte.
Mamma e papà che mi tenevano per mano e saltellavo da una parte e dall'altra del marciapiede. Mia madre sorrideva con i suoi occhiali turchesi fino a quando girava il suo sguardo verso di me e le sue pupille diventavano nere, coprendo quegli occhi blu così espressivi. Ed era lì che arrivava il peggio, il ponte crollava insieme alle persone che più amavo. Io rimanevo lì inerme, fluttuando sull'aria sostenendomi a qualcosa di vago, forse il ricordo a cui ancora mi aggrappavo.

Scossi la testa, facendo cadere gli ultimi fiocchi di neve. Il ponte era sotto ai miei piedi, ma non c'era nessuno vicino a me. Quei sogni che avevo coltivato durante la mia crescita, avevano ormai senso? Tutto quel dolore che provavo valeva qualcosa? Era tutto morto ormai? Respirai, taciturna. Aspettando che qualcuno mi fermasse su quella strada piena di sassolini, ma sapevo che non poteva succedere.

Il suo fantasma mi tormentava, mentre cercavo di allontanarmi sempre di più. Non faceva altro che ricordarmi di aver fatto un errore. Ma lei lo aveva fatto e se ne sarebbe resa conto prima o poi.
Speravo che il mio fantasma le desse fastidio quanto il suo faceva con me, ma non ne sono mai stata sicura di questo.

Ogni giorno il suo ricordo era sempre più vago quando mettevo piede su quel ponte vecchio e aspettavo che scomparisse del tutto.
Ma sapevo bene che non sarebbe successo, la voglia di gridare mi perseguitava, ma anche se l'avevo fatto non mi sentì meglio. La mia anima voleva urlare, non la mia gola. E purtroppo rimaneva dentro di me, accasciandosi ogni giorno di più, dandola vinta a coloro che avevano sempre sperato che io diventassi qualcosa di vago, un sentimento estinto, un sogno disperato che non si sarebbe mai avverato.

Sehnsucht »calum.☀Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora