Pov Lauren
L'aria fredda mi fece venire qualche brivido. Addosso avevo solo un giaccone pesante e gli abitini da scena del concerto che non nascondevano molta pelle. Stavo morendo di freddo e dalle mie labbra uscivano nuvolette di condensa, i tacchi mi facevano male, e gli occhi bruciavano sotto il trucco pesante che avevo dovuto portare per tutta la serata. Ero stanca morta, ma non mi andava di entrare ancora nel bus. Il silenzio tra noi tutte oggi era inquietante. Camila non aveva incontrato il mio sguardo, e non mi aveva rivolto la parola, nemmeno per un secondo dopo quella litigata durante le prove. Avrei voluto avvicinarmi io, ma il suo sguardo spento e freddo mi metteva così a disagio che sarei stata disposta a non rivolgerle la parola per tutta la sera, e a restare qui, in questo freddo parcheggio desolato, a congelarmi, pur di non sostenere ancora quel silenzio.
Chiusi gli occhi ripassandomi nella testa il fantastico concerto che avevamo avuto. I fan che urlavano e ci adulavano come pazzi. Mi tornarono in mente le lacrime di Camila sul palco, durante quell'unica canzone. Era stata un robot sorridente per tutta la serata, tranne in quella canzone. Pochi righi di testo avevano mostrato tutto il suo dolore.
Mentre cantavamo la cover "Take me to church" la vidi con la coda dell'occhio finire appena la sua parte e abbracciare Dinah senza controllo. Grossi lacrimoni bagnavano quegli occhi ancora una volta quel giorno.
Ritornò subito in sé dopo quel piccolissimo atto di debolezza.
Non sopportavo di vederla piangere. I suoi occhi, così grandi e sinceri, mi ricordavano quelli di una bambina troppo cresciuta. Mi veniva mal di stomaco, non riuscivo a sopportarlo. Dovevo risolvere tutta quella questione, dovevo parlarle. Riprendermi la mia amica. Ma non quella sera. Non dopo tutto quello che era successo quel pomeriggio. A dire la verità avevo paura di parlarle. Nonostante forse avessi esagerato con le urla, ero ancora convinta che il problema fossi io, che lei avesse paura di me, e stesse iniziando a credere a tutte le voci che giravano sulla mia sessualità. Dio. Odiavo il nostro essere sempre così giudicate da tutti. Odiavo tutti i pregiudizi che avevano nei miei confronti. E odiavo dover condizionare i miei rapporti umani per questi stupidi pregiudizi.
Meno male che almeno avremmo avuto una pausa di due giorni e che ero a Miami, perciò sarei potuta tornare a casa. Rivedere la mia famiglia. Pensare a quanto era successo. Trovare una soluzione in tutta calma. Quella pausa era una manna dal cielo. Chiamai mia madre per salutarla, poi decisi di entrare dato che oramai le ragazze sarebbero dovute già essere tutte a letto.
Entrai, mi struccai, mi spogliai e indossai la mia solita maglia larga nera per dormire, e un pantalone del pijama comodo. Mi stesi distrutta e spensi la luce del bus lasciando accesa solo una piccola lucetta a farmi compagnia come ogni notte. Le tende di tutte le ragazze erano abbassate ed io ero la unica che non riusciva mai a chiuderla prima di crollare in un sonno profondo. Mi buttai sul morbido materasso distrutta dopo una giornata così intensa.
Il mio braccio sinistro si buttò pesantemente sulla fronte e quello destro lo lasciai abbandonato fuori dalla cuccetta.
Sospirai forte e ancora una volta non riuscii a non pensare a quel discorso di oggi. A tutti i problemi. Alla mia attuale assurda vita. Potevamo sembrare quello che volevamo davanti alle telecamere, truccate, sorridenti. Ma alla sera, quando ci chiudevamo nel nostro mondo. Quando chiudevamo gli occhi, eravamo noi. Le noi che non erano nessuno prima di tutto questo. Alla fine, di tutti i fan, di tutto il successo e i soldi, rimanevamo solo noi stesse. Era tanto da affrontare quando te stessa era sulla bocca di tutti.
Sentii un tocco caldo e soffice sfiorarmi le dita della mano destra lasciata appesa fuori dal letto. Spostai istintivamente il braccio dagli occhi e mi girai per vedere chi fosse.