Partenze

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Sto per partire e non so quanto tempo starò via. Se ti importa qualcosa di me, l'aereo parte tra due ore. Rilessi il messaggio che avevo mandato a mio padre, prima che mia madre potesse accorgersene. Aveva portato la valigia alla macchina per imballaggio e non era ancora tornata. Martina fissò l'ingresso dell' aeroporto digitando qualche parola su what's app. Aveva ancora i segni dei graffi sulla guancia e lo schermo del suo cellulare era spaccato nel mezzo, come se qualcuno avesse disegnato una ragnatela sul vetro. Meritava di peggio, pensai stringendo i pugni. In quel momento mia madre ci raggiunse e Martina iniziò a correre verso un'altra direzione. Un ragazzo col berretto New York Yankees al contrario si fece largo tra la folla, trascinando un grosso trolley nero. Quando lo riconobbi trasalii, era Simone. Martina lo abbracciò con le lacrime agli occhi ed io rivolsi uno sguardo interrogativo a mia madre << Sta partendo anche lui>> M'informò lei. << E dove va?>> dissi in tono allegro, finalmente il karma stava iniziando a girare a mio favore. << Perché, non lo sai?>> Mia madre rise << Spero ti stia simpatico.>> Per poco non caddi, doveva essere tutto uno scherzo. << Auf Wiedersehen!>> Urlò lui dal gate. Alzai lo sguardo, era l'U10, il mio gate. 

Mia madre mi ammonì di stare attenta ai borseggiatori, agli sconosciuti, agli alcolisti, ai drogati, ai tedeschi alcolizzati e drogati. Mi raccomandò di mangiare, di studiare, di non fare le ore piccole, di chiamarla una volta al giorno, di non bere o fumare, di stare attenta a non perdermi, di chiamare aiuto in caso di bisogno e di chiudere bene la porta della mia stanza a chiave. << Nient'altro?>> le chiesi. Lei mi abbracciò e io le promisi di avvertirla non appena saremmo atterrati all'aeroporto di Colonia. Martina mi tirò a sé e mi sussurrò all'orecchio << So che non mi devi niente, ma per favore tieni sotto controllo Simone. Non mi ha mai giurato fedeltà e io non sono stupida, appena avrà l'occasione...>> << Dovrei tenerlo d'occhio per te?>> Urlai stupita. << Abbassa la voce! Ti prego ricorda quello che ti ho detto, quando mi avrai perdonata!>> Mi abbracciò in modo freddo ma io non ci cascai. Non mi aveva nemmeno chiesto scusa ed ora recitava la parte della sorella addolorata per un tornaconto personale. Simone non era affar mio e avevo intenzione di stargli alla larga il più possibile.

Effettuato il check in ed oltrepassato il metal detector, mi voltai indietro in cerca di mia madre e la vidi dall'altro lato del vetro. Realizzai il fatto che non l'avrei vista per parecchio tempo e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Controllai il biglietto d'aereo e , una volta trovato il mio posto, cercai di riporre il  bagaglio a mano nella stiva al di sopra dei sediolini. Era parecchio pesante e non riuscivo a raggiungere con le braccia lo spazio a me riservato. << Aspetta, faccio io.>> Simone sistemò la valigia nel ripiano e, nel momento in cui stavo per ringraziarlo, scorsi nel corridoio dell'aereo un viso familiare. << Tesoroooo!>> Presi a saltellare come una matta: Fabio era il terzo vincitore della borsa di studio!

Il viaggio durò poco meno di 2 ore e la compagnia di Fabio lo rese piacevolissimo. Mi raccontò qualche aneddoto sulla selezione  e mi disse che Simone aveva ottenuto il massimo del punteggio. Strano, non credevo fosse un tipo studioso. In realtà non sapevo niente di lui e non avevo intenzione di frequentarlo, una volta arrivati al campus. Quel poco che avevo visto mi era bastato per farmi un'idea ben precisa di lui, era un ragazzo superficiale e spocchioso. Arrivati a destinazione, notammo un signore  di mezza età sventolare una bandiera dell'italia e un cartello con la scritta: "Klinikum der Universität Bonn". Disse noi in inglese che il suo nome era Fahim e che ci avrebbe accompagnati al nostro dormitorio. Quel giorno saremmo stati liberi di sistemare le nostre cose nelle nostre rispettive camere e di riposare. L'indomani ci attendeva una visita guidata al campus e all'ospedale dove avremmo svolto il tirocinio formativo. Non vedevo l'ora di vedere dove avrei trascorso i futuri tre anni di università e di conoscere i miei compagni di corso.  La mia compagna di stanza si chiamava Federica ed aveva un sorriso contagioso. Indossava una felpa rosa ed aveva uno sguardo stralunato, guardava tutto con entusiasmo e con occhi curiosi. Il campus era grande più o meno quanto una piccola cittadina ed ospitava oltre tremila studenti, tra i quali 20 di infermieristica: eravamo in 5 dall'Italia, 8 spagnoli, 3 greci, una ragazza turca, una siriana e due tedeschi. 

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