Nel silenzio di quella sera, il vento che frustrava i miei capelli fu l'unica nota dissonante. Si portò via anche le mie lacrime e seccò i miei occhi. Scesi dalla moto con un movimento rotatorio dell'anca ed il rombo del motore squarciò quella quiete. Michele era ormai lontano e la cosa mi fece sentire meglio. Potevo finalmente abbandonarmi al mio dolore. Bussai al citofono ma nessuno aprì, mia madre doveva essersi addormentata e le chiavi le aveva Martina. Una vicina si affacciò alla finestra e mi lanciò le chiavi di riserva che i miei le avevano affidato, la ringraziai e presi a correre per le scale, non avrei voluto incontrare nessuno. Quando aprii la porta di casa vidi mia madre stesa sul divano, doveva essere proprio stanca per aver preferito quel divano vecchio al suo comodo letto o forse, senza mia sorella Martina, non aveva avuto il coraggio di occuparlo per metà. Presi dell'acqua dal frigo, mia sorella non era ancora tornata e speravo non si fosse cacciata in qualche guaio, provai a chiamarla ma rifiutò la chiamata. Diedi un'altra occhiata a mia madre ed il cellulare mi cadde dalle mani. Era bianca in volto, le labbra cianotiche si schiusero riversando della schiuma ai lati della bocca. Il suo corpo sussultò come preso da una scossa elettrica e quando mi avvicinai per calmarla, scorsi un pacco di sonniferi gettato sul pavimento, quasi vuoto. L'afferrai per le spalle e inizia ad urlare e contemporaneamente a scuoterla per le spalle. <<Mamma! Mamma! Mammaaaa!>> Martina aprì la porta e dinanzi a quella visione sbiancò. <<Mamma!>> Urlò anche lei, precipitandosi sul divano. Sollevai il busto di nostra madre ed iniziai a colpirla dietro alle spalle, con colpi trasversali lungo le scapole. Lei tossì ed io continuai, chiusi un pugno sotto al suo diaframma e spinsi forte, presa dalla disperazione, cercando di farle rimettere le pillole ingurgitate. Due o tre caddero tra le mani di Martina e con uno sguardo ci demmo la forza a vicenda di trascinarla giù per le scale e poi in macchina. Martina piantò il piede sull'acceleratore e questa volta ne fui contenta, piangeva a dirotto mentre i suoi piedi sapevano già perfettamente dove portarla, quell'ospedale vicino casa purtroppo lo conoscevamo bene. La testa di mia madre era poggiata sulle mie gambe, cercai di sollevarle i piedi ed osservavo il regolare espandersi della sua gabbia toracica. Il battito era debole ed io non facevo altro che contare, contare, senza sapere quanti minuti fossero passati. Martina frenò bruscamente nel parcheggio del pronto soccorso e un'infermiera ci venne incontro con una barella. <<Mia madre ha ingoiato una scatola di sonniferi.>> L'adagiarono su quel lettino mobile e Martina cercò di seguirli, fino a quando un'enorme porta verde con vetri oscurati le si chiuse a pochi centimetri dal naso. Lanciò i suoi pugni dentro e poi i suoi calci, urlando il nome di nostra madre. <<Sarei dovuta restare con lei! Avrei dovuto tenerla d'occhio, avrei dovuto capirlo!>> E mentre la sentii imprecare contro se stessa ad un tratto non vidi più niente, delle luci bianche s'impadronirono della mia vista ed iniziai a sudare. Cercai di afferrare una sedia che non vedevo, anche le gambe mi tradirono, tremavano e non riuscivo a muoverle. Riuscii a dire solamente << Martina!>>, e poi caddi con un tonfo sul pavimento.
Il buio e poi la luce, qualcuno mi sollevò, sentii urlare ma non riuscivo ancora a distinguere le sagome. Non respiravo, cercavo di trattenere aria ma la mia laringe si contrasse, espellendo quel poco ossigeno che era rimasto nel mio corpo. Tentai di parlare ma un suono stridulo uscì dalla mia bocca, senza alcun senso. Qualcuno mi strinse la mano e mi chiese di calmarmi, di respirare lentamente. È quello che sto cercando di fare, pensai. Diavolo, mia madre, dovevo alzarmi. La mano mi riportò giù nel letto, la voce di una donna ordinò di darmi un tranquillante. Mi sentii pizzicare e poi bruciore, un apparecchio emise un bip. << È ipoglicemica!>> Quella voce maschile si allontanò e poi sentii di nuovo dei passi, mi portò qualcosa alla bocca, bevvi e finalmente vidi. Un ragazzo sulla trentina con dei ricci neri e la carnagione scura mi offriva del succo di frutta all'albicocca, quando la cannuccia pescò nel vuoto della bottiglia, l'adagiò sul comodino e mi sorrise. <<Grazie.>> Bisbigliai. << Ma il tranquillante datelo a qualcun altro!>> Rise e mi porse la sua mano spessa. <<Sono l'infermiere Giacomo, se vuoi puoi alzarti lentamente, tua madre si è ripresa.>> Quella notizia mi rinvigorì, mi alzai di botto ma Giacomo mi fermò. <<Lentamente, ho detto.>> Ignorai il suo avvertimento e corsi via da quella stanza. Vidi Martina parlare con un medico. <<Non so cos'ha fatto di preciso mia sorella, lei credo che...Ah eccola, sta arrivando.>> L'anziano medico avvicinò gli occhiali agli occhi e si girò ad accogliermi, i suoi capelli bianco perla riflettevano le luci al led, conferendogli un'aspetto celestiale. Speravo si trattasse del nostro angelo custode. <<Mi presento, sono il dottore Angioletti, ho appena effettuato una lavanda gastrica a vostra madre. Si è ripresa in fretta, è una donna forte e molto fortunata.>> Gli sorrisi, ma avrei tanto voluto abbracciarlo. <<Il suo intervento tempestivo potrebbe averle salvato la vita.>> Mi commossi, avevo avuto così tanta paura di perdere mia madre ed avevo reagito d'istinto, cercando di replicare delle manovre viste a scuola durante il corso di primo soccorso. Non ero abituata alle belle notizie, ma quella lo era davvero. Adesso avevo un'altra possibilità per fare di tutto affinché mia madre fosse felice, per starle accanto.
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Ti riporterò a casa
Chick-LitRebecca e Martina sono due sorelle molto diverse tra loro e spesso in competizione l'una con l'altra. Rebecca è ambiziosa e testarda. Sua sorella, invece, ama stare al centro dell'attenzione e metterla continuamente in imbarazzo. Innamorata da tutt...