Capitolo 7

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Prima riuscivo a capire quando mi trovavo in pericolo, a spostarmi dai venti maledetti.
Mentre ora l' unica cosa che ero capace a concludere, era mettermi a piangere quando succedeva qualcosa.
Io desideravo solo una vita normale, dove non c'erano  persone che ti volevano rubare o ragazze, che come me, riuscivano ad avere visioni, poteri sovrannaturali, vedere Ombre e sognare sempre e solo incubi.
Io bramavo la volontà di chi con difficoltà e discretezza riusciva ad andare avanti.
Il mio mondo, anche se ancora piccolo, non potevo descriverlo a nessuno,poiché mi avrebbero solamente denominata Pazza.
Per caso, sarebbe tanto chiedere di essere un adolescente sedicenne senza queste preoccupazioni? A quanto pare sì, altrimenti ora mi ritroverei a dormire tranquilla nel mio letto, invece di svegliarmi, nuovamente, per colpa di un altro infernale incubo.


Per mia grande fortuna ero riuscita ad imparare a trattenere gli urli e le lacrime quando mi svegliavo.
Era orrendo assistere a questi sogni così oppressivi e angosciosi.
Dall' inizio dell'anno mi ero accorta che le occhiaie erano peggiorate e che il sonno giungeva prima del previsto.
Ormai sveglia, mi preparai per poi scendere  al piano di sotto e andare a scuola.
Stavo sbadigliando quando vidi che mia madre mi aveva lasciato un messaggio scritto sul frigorifero, lo lessi " Ciao tesoro, oggi tornerò verso le sette e mezza di sera; Eaten è da James a dormire, mentre Giulia è andata da una sua amica..A dopo. Magari tornata a casa possiamo guardarci un film insieme come una volta. Baci.".
Non sapevo se sorridere o meno.
Ero da sola e nessuno mi avrebbe dato fastidio, ma allo stesso tempo avevo paura e un disperato bisogno di qualcuno al mio fianco.
Ero ancora terrorizzata da quello che mi era successo qualche ora prima.
L'uomo, i tatuaggi e le continue voci che ripetevano continuamente "Akasha".
Non riuscivo a capire se si trattava di allucinazioni o se io stessa necessitassi di un aiuto.
Io  volevo e dovevo vivere, perché era il mio destino e come tutti  avevo il diritto di viverlo.

Dopo mezz'ora uscii di casa per dirigermi alla solita e noiosa scuola.
Mentre camminavo vedevo le Ombre seguirmi e dissolversi dopo qualche secondo.
Ogni volta che le guardavo sentivo un vuoto dentro di me, che cresceva sempre di più e passava quando scomparivano.
Arrivata, andai in classe.
Differentemente dagli altri giorni erano tutti seduti ai loro posti.
Il professore Hamming stava spiegando un nuovo argomento di biologia, quando notai che mancava qualcuno.
Chris.
Pensai che magari non vederlo per qualche ora mi avrebbe aiutata a dimenticare.
Ma come sempre, i ricordi ritornarono in superficie, e più guardavo il suo banco vuoto, più la consapevolezza di essere sola aumentava.
Dopo le lezioni andai in mensa con Abe.
"Arya, stai bene?"
:"Sì, almeno credo"
:"Sembri disconnessa"
:"Penso sia la stanchezza"mentii.
Dopo avere mangiato ed aver ascoltato l'ultima lezione, andai a casa a piedi.
Arrivata davanti al cortile,  vidi per terra un foglio accartocciato.
Non sapevo se prenderlo o meno.
Mi sembrava strano che qualcuno del quartiere lanciasse della carta nei giardini altrui.
Rimasi a riflettere per pochi secondi prima di allungare il braccio per raccoglierlo.
Aprendolo notai che era una carta giallastra, ruvida e bruciacchiata.
Il biglietto diceva "Prenderti noi dobbiamo, con il sangue lo faremo, o nostra grazia, via vi porteremo".
Appena capii che cosa volesse intendere corsi dentro casa, ricordandomi di chiudere la porta all'ingresso.
Mi sedetti per terra e raggomitolata, salate lacrime rigarono le mie guance.
Non riuscivo a pensare, a capire e ad agire per far smettere tutto.
La mia stanchezza veniva provocata dalla mia stessa angoscia, che mi faceva creare gli incubi.
La mia inquietudine verso il mondo esterno stava aumentando di giorno e in giorno.
Non riuscivo a metabolizzare il perché di tutti quei crudeli accadimenti.
Le mie lacrime scendevano, mentre la mia testa percepiva solo un frastagliante rumore.
Non ne potevo più.
Volevo scappare e dire in faccia a quelle persone che ero umana.
Anche a pensarci mi sembrava impossibile, tutto mi era sconosciuto e nessuno mi spiegava niente.
Ero sola e solamente io potevo mettere fine a tutto.
Ero persa e non sapevo  come affrontare la paura e il terrore.
Mentre piangevo urlavo.
Non riuscivo a smettere.
Sentivo la mia testa esplodere dentro di me.
I sentimenti andare sempre di più verso l' oblio e il cuore allontanarsi dal mio petto.
Non connettevo più niente e solo qualcuno che possedesse la parola della ragione poteva riportarmi a quella che fino a poco fa ero.
La mia dissuetudine e la mia disperazione aumentavano sempre di più fino a quando non iniziai a tirare i calci alla porta.
Come alla festa, i vetri si ruppero facendo cadere tanti piccoli pezzi di vetro per terra.
Le schegge avevano tagliato il palmo della mano, facendomi perdere molto sangue.
Vedevo esso ampliarsi sul pavimento, i vetri spostarsi verso l' esterno e il mio viso guardare quello che stava succedendo.
La ferita era orizzontale ed era così profonda da sembrare un taglio di un pugnale.
Mentre cercavo di fermare la fuoriuscita di emoglobina, lo vidi muoversi.
Si spostava verso il centro della stanza.
Mi alzai per vedere che cosa stesse facendo.
Appena mi avvicinai notai che il sangue, spostandosi, aveva formato una stella a cinque punte con un cerchio che la circondava.
Spaventata mi misi le mani tremanti e sporche davanti alla bocca, per lo stupore .
Ormai la mia paura era salita al massimo.
Andai in cucina, presi un straccio e con la forza che mi restava cercavo, invano, di togliere tutto quel sangue dal pavimento.
Anche se la ferita mi faceva male, non potevo permettermi che mia madre vedesse quello che era appena successo.
Cercai di toglierlo, di eliminare quel simbolo ma non ci riuscii.
Stanca, spostai il tappeto della sala in modo da nascondere la vicenda.
Mentre per i vetri della finestra, mandai un messaggio a mia madre nell'attesa che chiamasse qualcuno a riparare, ciò che avevo rotto.
Sicuramente avrei inventato una storia diversa da quella reale.
Così, dopo aver finito di rimuovere tutte le schegge di vetro ed essermi medicata la mano,  desiderai di essere un' altra persona  e di poter ritornare indietro nel tempo.
In momenti così vulnerabili, cercavo di calmarmi e di nascondere i miei sentimenti in un posto remoto e lontano.
Sapevo che era tutto diverso, che d'ora in poi sarei dovuta cambiare.
Ecco perché immaginai di trovarmi da un' altra parte, con un aspetto differente da quello attuale e con un nome nuovo.
Poiché sembrava che la causa a cui stavo dando la colpa, non fosse altro che la mia stessa identità.

L' ultimo Respiro  {Breathed} Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora