Salvatore Cinquegrana

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Mio fratello entrò rumorosamente in casa, scaraventó lo zaino nell'ingresso e come mai aveva fatto prima corse nella mia stanza ad abbracciarmi. Il mio piccolo Francesco stava crescendo, nei suoi 13 anni aveva già raggiunto la mia altezza e sicuramente sarebbe cresciuto ancora in statura.
"Alessia non piangere" disse lui "hai gli occhi tutti rossi".
La dolcezza del mio fratellino, che sembrava essere più forte di me, mi aveva addolcito e mostrai un accenno di sorriso.
"Vieni con me a casa della nonna?" gli chiesi.
"No, lui verrà insieme a me e papà" rispose mia mamma dalla cucina.

Mentre mia madre mi accompagnava alla stazione pensai al dolore immenso che mi avrebbe aspettato una volta arrivata a Padova. Sarei davvero stata in grado di affrontare quel luogo dell'infanzia?

"Alessia guarda che bello!"
Francesco cercava di distrarre i miei pensieri dall'incolmabile vuoto che avevo dentro.
Mi mostrò sul suo cellulare il gameplay di Minecraft di un ragazzo con dei grandi occhiali che continuava a fare battute.
Scanzai il cellulare, non avevo voglia di ascoltare le sciocchezze di mio fratello.
La stazione di Roma Termini sembrava troppo silenziosa rispetto al solito.
Erano le 18.05 quando salii sul treno per Padova.

"Alessia, appena arrivi giochiamo al computer, va bene?"
"Certo Francesco, sta tranquillo."

Il mio posto era accanto al finestrino. Mia mamma e mio fratello salutarono dalla banchina finché il treno non iniziò a partire.
Finalmente ero sola e avrei avuto tre lunghe ore per immergermi nei pensieri.

La suoneria del cellulare mi fece sobbalzare. Ayrton. Me ne ero completamente dimenticata.

Cosa avrei potuto dirgli? Non volevo parlargli di quel che era accaduto, ma come potevo spiegargli che ero dovuta partire?
In quel momento esatto qualcuno aprí la porta scorrevole e il cellulare voló via dalle mie mani finendo sotto il sedile di fronte al mio.
"Scusa, mi dispiace" disse un ragazzo alto e magro mentre mi porgeva il cellulare recuperato,
"forse dovresti richiamare" continuò osservando le chiamate perse.
Imbarazzata mi sedetti e inviai un messaggio veloce ad Ayrton: Non posso esserci, scusami.

Osservai il ragazzo seduto di fronte a me. Doveva essere di poco più grande, indossava un paio di occhiali grandi e rotondi ed era davvero molto magro. Aprí la borsa che aveva posato sul tavolino e sfiló dal suo interno un computer portatile sul quale inizió a lavorare. Ero sicura di aver già visto quel volto.
Si accorse che lo stavo fissando e sorridendo disse "Dove sei diretta?"
"A Padova e tu?"
"Davvero? Anch'io! Oh scusami sono uno sbadato, mi chiamo Salvatore, Salvatore Cinquegrana." Disse porgendomi la mano.
"Piacere, io sono Alessia".

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