Quella fu la prima volta in cui mentii seriamente a mia madre senza pentirmene nemmeno un po'.
«Anche Meg e Sam vengono con te, giusto?», aveva chiesto mentre sceglievo la biancheria pulita con cura e prendevo dall'armadio i jeans più nuovi che possedessi e l'unica maglietta casual relegata a mo' di reietto della società in un angolo.
«E anche Linda!», sbang, doppia bugia!
Lei aveva sospirato ed io mi ero infilata in bagno prima che potesse chiedere o aggiungere altro.
Mi ero completamente sciolta sotto la doccia, ma nonostante questo l'adrenalina, l'eccitazione e il nervosismo avevano continuato a pervadermi braccia e stomaco, proibendomi di rilassarmi completamente.
Alla fine avevo allacciato i capelli in una treccia ordinata, avevo inforcato gli occhiali senza aggiungere nemmeno un filo di trucco, indossato le ballerine e volato via verso la discoteca.
«Mi fai uno squillo quando la serata è finita?».
Avevo stretto le labbra ed avevo semplicemente annuito.
«Dobbiamo accompagnare anche le altre?», aria di rimprovero misto ad una triste rassegnazione.
«Non credo».
«Beh, fammi sapere, okay?», e anche quella volta avevo fatto solo di sì con la testa.
Mia madre aveva aggrottato le sopracciglia, mi aveva guardato bene in viso e per un attimo avevo avuto l'impressione che stesse per smontare tutto il mio piano, ma poi mi passò semplicemente le dita tra i capelli leggermente gonfi sulla testa e mi lasciò andare, ed io, senza farmelo ripetere due volte, m'infilai dritta dritta e in silenzio dentro il locale.
La promozione della serata era "ogni amico in più che porti ti diamo un drink gratis", quindi c'era un sacco di gente che barcollava, ubriaca già alle dieci di sera, per tutta la pista da ballo; mi arrivò qualche spintone non premeditato, qualcun altro m'inveì contro come se la colpa fosse mia, finché non fui fuori da quella giungla di pazzi variopinta e mi ritrovai nell'androne di Mya. Mi aspettavo di vederla smanettare come una folle dietro il bancone di marmo nero del suo bar, e invece mi stupii di vedere qualcun altro al posto suo: un uomo sulla quarantina, dai capelli sale e pepe, col fisico da palestrato convinto e un'abilità impressionante nel mescolare dinamicamente i cocktails con il suo mixer.
Indossava una t-shirt basic bianca, a maniche corte, jeans a vita bassa neri e numerosi anelli in tutte le dita. Rimasi ipnotizzata dal modo in cui quegli aggeggi grigi volteggiavano nell'aria, tanto da isolare solo quei movimenti e da dimenticarmi della musica spacca timpani e della gente che barcollava vomitando.
Mi avvicinai lentamente al bancone e poggiai entrambi i gomiti sul marmo nero, tamburellando le dita in agitazione.
«Ehm... salve!».
«Ciao, cosa ti preparo?», mi sorrise amichevolmente ed io mi ritrovai a ricambiare.
«Nulla! In realtà cercavo una persona!», aumentai il volume della voce tentando di farmi sentire.
Lui annuì come se sapesse già di chi stessi parlando, sulle sue labbra si delineò un piccolo sorrisetto complice, a metà tra il consapevole e il malizioso.
Mi osservò attentamente, studiando ogni mio dettaglio come per confermare una sua ipotesi su di me - o forse per confermare le parole di qualcun altro -, poi ritornò al suo lavoro; sbatté un paio di volte il contenuto del mixer, lo versò in una coppa di vetro e aggiunse del ghiaccio, spruzzandoci sopra del succo di mandarino:
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Give me your hands and save me
RomanceAlly era un uccellino chiuso in gabbia che sbatteva le ali frenetico, smanioso di uscir fuori e godersi i raggi del sole e l'aria fresca sulle piume. Avrebbe tanto voluto possedere le chiavi della sua gabbia, ma nessuno, tranne sua madre, le aveva i...