«Abbiamo parlato davvero di sesso?!», gracchiai ad Alice, mentre il sole era alto sul terzo giorno di viaggio e lei sceglieva beata un piccolo souvenir da portare a sua madre.
«Non proprio. Volevamo insegnarti come si fa, ma nel tuo essere brilla eri ancora troppo razionale per lasciarti andare. Peccato», fece spallucce e si posò sul petto una maglietta color verde erba su cui era stampata un'immagine cartoon della montagna dei normanni.
Si guardò allo specchio e se la misurò in vita e sul seno.
«Vi ho raccontato come mai io e Scarlett abbiamo litigato?», tentai d'informarmi.
«Sì, ce l'hai detto. Quella tipa non può avercela con te solo perché stai con una sua ex. E' lei che se l'è fatta scappare perché si è comportata da psicopatica, tu non c'entri niente», valutò, posando la maglietta su uno scaffale e abbassandosi sulle ginocchia alla ricerca di una piccola montagnetta in terracotta, dipinta a mano.
Annuii al suo discorso.
Il silenzio che ne seguì fu interrotto da Shane, che camminava tranquillamente verso la nostra direzione col telefono del professore d'arte in mano.
«Sì, sì, certo, gliela passo subito... Ehi, Dandelia! E' per te», mi passò il cellulare, lanciandolo in aria, ed io per poco non rischiai di farlo cadere per terra.
Lo afferrai al volo e me lo portai all'orecchio, cercando di capire chi parlasse dall'altra parte.
«Pronto?».
«Tre giorni e neanche una telefonata! Nemmeno uno stupido, insignificante messaggio! Cos'eri impegnata a fare, Ally?!», strillò mia madre dall'altro capo del telefono, facendomi fischiare il timpano. «Il tuo telefono risulta spento o non raggiungibile! Cos'è successo? L'hai rotto? Ti è caduto nella neve?! Hai fatto sesso con qualcuno?! Qualsiasi cosa tu abbia fatto, non hai scuse valide! Conosci il mio numero a memoria, avresti potuto contattarmi invece di costringermi a raggiungere l'istituto e a farmi dare dalla segreteria i numeri di telefono dei professori che vi hanno accompagnati! Ti sembra giusto questo?!», continuò a gracchiare, costringendomi ad allontanare l'apparecchio dall'orecchio.
Alice se la rise al mio fianco, allontanandosi per cercare altri souvenir e lasciarmi un po' di privacy.
Sospirai, cercando di mantenere la calma. Dannazione, era come se avessi completamente dimenticato di avere una famiglia che mi aspettava a casa! Quei giorni erano stati così frenetici, tra guide che parlavano troppo e bicchierini di grappa obbligatori, Scarlett che mi schiaffeggiava e il ritrovo di tre nuove amiche lesbiche, che avevo totalmente eliminato dalla mia vita mia madre, mio padre e casa mia.
«Mi dispiace, mamma. Ho dimenticato il caricabatterie in camera mia prima di partire, mi si è spento il cellulare e non ho avuto modo di caricarlo...».
«Non hai comunque scuse! Quando torni faremo i conti!».
Trattenni il fiato, mentre lei urlava cosa avrebbe detto a mio padre e di quante settimane sarei rimasta in punizione.
«Vuoi che muoia di infarto? Eh?! Mi convinco per la prima volta a farti partire per quattro giorni e tu dimentichi il caricabatterie a casa?! Lamentati ancora, quando non ti darò fiducia neanche per andare a comprare una busta di pane!».
Era inutile ribattere. Era troppo isterica, nervosa e angosciata per stare a sentire me, le mie scuse o le mie possibili ragioni. In quel momento tutto ciò di cui aveva bisogno era sentirsi dire che aveva ragione, solo così - forse - avrei salvato la faccia.
«Scusa, mamma... So che ti ho fatto preoccupare, ma non era mia intenzione».
Pausa di silenzio.
Forse non si aspettava le mie scuse.
«Ne riparliamo appena torni», sussurrò, improvvisamente più calma. «Fai attenzione e non comportarti da stupida», e riattaccò, lasciandomi di sasso di fronte ad una piccola teca di vetro dentro cui erano riposte delle collanine in bigiotteria.
Sospirai e mi allontanai un attimo, riconsegnando il cellulare al mio insegnante, dopodiché tornai di fronte a quella teca ed osservai bene i ciondoli di quelle collane.
Il primo era una coccinella, il secondo una stella dipinta in giallo, il terzo un piccolo fiore rosa, il quarto una pietra azzurra brillante e il quinto un quadrifoglio verde con un brillantino al centro.
Mentre la voce di mia madre si ostinava a riecheggiarmi tra le pieghe del cervello, un'altra cosa s'insinuò al suo interno e mi distrasse dalle sue precedenti minacce.
Volevo assolutamente fare un piccolo regalo a Mya, ma non mi andava di comprarle un casco da normanno - come aveva fatto Dana per sua sorella -, una montagnetta in terracotta - come stava facendo Alice in quel momento, pagando alla cassa - o una bottiglia di liquore - come aveva fatto Shane -, io volevo comprarle qualcosa di originale, di diverso, qualcosa che potesse indossare sempre, che non fosse imbarazzante, inutile e soprattutto che non finisse!
«Ti piacciono, cara? Sono realizzate a mano», un'anziana signora col viso segnato dall'età comparì dietro il bancone in legno su cui erano riposte le collanine. Aveva il viso dolce e generoso di chi non conosce cattiveria, gli occhi a mandorla, le guance piene ma cadenti, mi fece pensare ad una nonnina che fa di tutto per rimpinzare i propri nipotini di cibo e dolciumi.
Le sorrisi dolcemente, osservando il suo grembiule azzurro sporco di vernice colorata e le sue mani ruvide e callose, per il troppo utilizzo di attrezzi specifici.
«Sono molto carine», le sorrisi.
Una tra le cinque mi colpiva più di tutte ed era quella che volevo assolutamente regalare a Mya: quella col quadrifoglio verde.
«Posso?», le chiesi, avvicinandomi alla collana. Mi fece un gesto d'assenso ed io la presi tra le mani, rigirandomela tra le dita, soppesandola ed analizzando tutti i suoi dettagli. Sembrava realizzata in modo impeccabile.
«Quanto costa?», le chiesi, senza staccare gli occhi dall'oggetto.
«Sette dollari, tesoro», si sedette lentamente su uno sgabello in legno chiaro dietro la cassa posta accanto alla teca, e continuò a sorridermi.
«Può farmi un pacchetto regalo?».
«Certo!», esclamò, tendendo le piccole braccia verso di me. Le porsi la collana ed infilai le mani nella borsa, alla ricerca del mio portafoglio. Cacciai fuori le monete e gliele posi sul banco, mentre lei incartava il piccolo regalino dentro una scatolina e l'avvolgeva di carta verde. Me lo pose lentamente, raccogliendo le mie monete e ponendole dentro la cassa, passandomi lo scontrino.
«Ecco a te, cara. Spero che porti tanta fortuna alla persona alla quale vuoi regalarla», annuì benevola e mi strinse la mano, poi sparì nel retro bottega ed io, dopo un primo momento di smarrimento, tornai dal resto della classe che nel frattempo aveva ripreso il suo giro turistico.
Mi sentivo felice. Era come avere la gabbia toracica in espansione, non riuscivo a smettere di sorridere e mi sentivo perfino un po' stordita da tutta quella contentezza. Cercai di immaginare le sue possibili reazioni: sarebbe stata felice di ricevere un regalo da parte mia? Le sarebbe piaciuto? O magari avrebbe finto che le piacesse, per poi gettarlo in fondo ad un cassetto? Mi avrebbe abbracciata? Baciata? O si sarebbe mostrata delusa?
Era la prima volta che facevo una cosa del genere per Mya. Non sapevo nemmeno se li gradiva, i regali! Ma valeva la pena fare un tentativo per una come lei...
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Give me your hands and save me
RomansaAlly era un uccellino chiuso in gabbia che sbatteva le ali frenetico, smanioso di uscir fuori e godersi i raggi del sole e l'aria fresca sulle piume. Avrebbe tanto voluto possedere le chiavi della sua gabbia, ma nessuno, tranne sua madre, le aveva i...