Cap 17: Hypocrisy

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La tavola apparecchiata al mio cospetto mi avrebbe sicuramente messo l'acquolina in bocca se solo di fronte a me fossero stati seduti amici e parenti sinceri, di quelli che ti amano per ciò che sei e non vogliono cambiare nulla del tuo carattere né del tuo aspetto. Mi avrebbe fatto sorridere, sfregare le mani sotto il mento e preparare il tovagliolo sulle gambe, come fanno le giovani donne al primo appuntamento con un ragazzo solo per farsi vedere educate e per evitare di sbrodolarsi come bambine goffe.
Ma davanti a me non sedeva una zia divertente, un cugino complice o una madre di quelle che possono essere anche le tue migliori amiche. Di fronte a me, in quel ristorantino di provincia dalle luci soffuse e dalle tovaglie color rosso sangue, sedevano due genitori omofobi, un'altra coppia di genitori e un ragazzo snob con la puzza sotto al naso, silenzioso e attento.
Mia madre chiacchierava con la signora Katy di quanto mio padre non sapesse giocare per niente a golf e di come io, da bambina, sapessi impugnare una mazza quasi meglio di lui. Entrambe ridevano e si coprivano la bocca col tovagliolo di stoffa color avana, macchiandolo di rossetto scuro.
Il padre del ragazzo che mi sedeva di fronte e il mio, invece, borbottavano qualcosa a proposito di motori e gare automobilistiche, nomi sconosciuti o troppo complessi da ricordare per poterne riportare una traccia logica.
Io, muta al mio posto, avevo scelto come unico oggetto d'interesse le venature lucide che i capelli di quel pezzo di legno dalle sembianze umane avevano assunto a causa di tutto il gel che probabilmente aveva utilizzato per tenerli al suo posto, lisci, ordinati e assolutamente attaccati alla cute.
Sembravano fili di plastica doppi e duri, tanto che lo immaginai correre, saltare, fare capriole e sudare senza che una di quelle singole ciocche avesse la forza di spostarsi di mezzo millimetro.
Si sistemò gli occhiali quadrati sul naso dritto e perfetto, battendo le ciglia un po' troppo lunghe dietro le lenti.
Portava una cravatta lilla dai disegni viola e una camicia bianca immacolata, la pelle era troppo chiara per i miei gusti e stringeva le labbra talmente tanto che a volte il loro colore naturale veniva sostituito dal bianco della tensione muscolare.
Deglutii e abbassai lo sguardo sul mio piatto ancora pieno di pasticcio di patate e carne arrosto.
«Ally è passata all'ultimo anno con il massimo dei voti, sa? Ma d'altronde non è una sorpresa... Solitamente i suoi voti oscillano tra il dieci e il dieci e lode!», mia madre ridacchiò e Katy sorrise, sollevando gli occhi in mia direzione con sorpresa. Infilzò l'ultima patata presente sul suo piatto e la masticò per bene, riflettendo su qualcosa che poi espletò così:
«Non studierai troppo, vero signorina?», il tono era dubbioso. Si chiedeva se avevo una vita sociale o meno.
Scossi la testa, muovendo la forchetta in mezzo al pasticcio.
«Studio quanto basta», feci spallucce ed abbozzai un sorriso tirato.
Vidi mia madre lanciare uno sguardo in direzione di Michael, ma non trovò alcun tipo di apprezzamento e perciò roteò leggermente gli occhi, guardandomi male.
Il suo sguardo voleva dire: "non stai facendo abbastanza. Se pensi di far colpo su un bravo ragazzo giocando col cibo e coi monosillabi, sei fuori strada!".
Ma lei non capiva.
Non capiva che non me ne importava niente di quel ragazzo, men che meno della sua aria da figlio di papà.
Era tutta un'ipocrisia, lei che fingeva di avere una famiglia felice quando il primo disastro in cima alla piramide non ero io, ma il rapporto instabile che ormai aveva con mio padre, perennemente fuori per lavoro e quindi assente.
Ma poi, era vero che stava fuori per lavoro? Lei non sapeva nemmeno quello, non sapeva neanche se il cuore di mio padre era ancora suo, eppure si ostinava a voler giocare alla bella famigliola allegra. Ostentava un buon rapporto con me, invece mi odiava dal profondo di se stessa e se avesse potuto scambiarmi con un'altra ragazza come si scambia un maglione di una misura con uno di un'altra l'avrebbe fatto.
E quei due fantocci, poi? Chi erano? Non erano amici di famiglia, non li avevo mai visti, ed ero più che certa che non si trattasse nemmeno di colleghi di mio padre. Avevano l'aria di persone ricche e straricche con la possibilità economica di comprare al figlio l'ammissione in una delle più prestigiose università, facendogli saltare tranquillamente il passaggio della domanda d'ammissione. A quelli i soldi non mancavano e mi chiedevo da dove fossero venuti fuori, e soprattutto il perché. Erano lì per fare un favore a mio padre? Erano in debito con lui? O forse li aveva pagati affinché suo figlio provasse a farmi tornare ad essere una "persona normale"?
Era tutta un'ipocrisia, una orribile, vomitevole ipocrisia.
Mi venne la nausea.

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