Cap 20: The end before a fresh start

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  «Quanto ti invidio!».
«Già, anche io...».
«Se solo avessi la possibilità economica, anche a me piacerebbe andare a vivere per i fatti miei!».
«Ma ti immagini? Niente sorelle che ti ronzano intorno, niente crisi isteriche materne o paterne...»
«... nessun fratello maggiore che ti ruba l'erba...».
Silenzio.
«Shane, tu sei un caso patologico. Vivere a casa tua è come vivere in un appartamento dove si condividono le stanze principali con degli estranei. La tua stanza è off-limits, nei rari casi in cui non la occupi sta chiusa a chiave e la chiave te la porti dietro, tua madre è sempre assente, e tuo fratello...».
Altro silenzio.
«... mi ruba l'erba», concluse Shane.
Alice sospirò.
«Beh, farei volentieri a cambio! Ti darei due sorelle pestifere e ficcanaso e sopporterei di buon grado tuo fratello».
Shane fece spallucce e si appese con le mani ad una delle travi di legno della palestra, flettendo e rilassando le braccia, su e giù.
«E' tutto tuo!», rispose sotto sforzo.
Il resto della classe correva tutta in cerchio entro i confini del campo da calcio della palestra della scuola. Quell'ora di educazione fisica sembrava infinita.
«Comunque sia, sarà una bella sfida. Non ho mai vissuto lontana da casa mia, dovrò cavarmela da sola, imparare ad essere un'adulta», pensai ad alta voce, poggiandomi contro una parete e allungando i muscoli delle gambe.
«Sei già un'adulta, Ally. Tutta questa storia ti ha fatta crescere parecchio!», commentò Dana, che per prima aveva detto di invidiarmi. Stretta nel suo top lilla, il suo seno piccolo e sodo sembrava più esposto del solito e molte delle occhiate furtive che Alice, tra una parola e l'altra, le rivolse non mi sfuggirono per niente.
Tutto sommato mi limitai a sorridere di nascosto e a far finta di non vedere nulla.
«Non voglio scoraggiarti, Ally, ma so perfettamente cosa significa badare a se stessi tutti i giorni e non è per niente facile», Shane saltò giù dalla trave e si batté i palmi delle mani l'uno contro l'altro, respirando a fatica. «Non hai la mamma che ti chiama al mattino, che ti lava i vestiti, che ti fa trovare la cena pronta o che ti prepara la torta per il compleanno. Ci sei tu e basta, e devi imparare a convivere con te stessa e ad occuparti di tutto ciò che ti riguarda».
Shane si scostò i capelli un po' umidi dalla fronte, guardandomi dritta negli occhi: «Pensi di essere pronta?».
Deglutii. Se lo pensavo? Oh, non lo sapevo. Ci riflettevo ogni sera prima di chiudere gli occhi da quando io e Mya ne avevamo parlato l'ultima volta, ma in ogni occasione il sonno mi avvolgeva prima che potessi rispondermi. E non perché fossi troppo stanca, ma perché ci riflettevo talmente tanto a lungo, senza darmi una risposta, che alla fine crollavo.
Sentimentalmente mi sentivo prontissima, non avrei aspettato neanche di fare diciotto anni per andare via con la donna che amavo, ma razionalmente era un po' più difficile rispondermi. Sarei stata una brava compagna? Sarei stata in grado di gestire tutto ciò che c'era da gestire, continuando ad essere la ragazza solare e dolce di sempre, pronta a tirare fuori le unghie quando serviva? Purtroppo a certe domande solo il tempo e l'esperienza potevano rispondere.
«Se non lo sarò, imparerò ad esserlo», conclusi.
A differenza di Dana ed Alice, di Shane sapevo molto meno. Non avevo neanche idea che avesse un fratello e una madre – a proposito, perché non aveva parlato di suo padre? – , e il fatto che stesse dicendo quelle cose a proposito dell'indipendenza, con un tono distante e quasi arrabbiato, mi faceva credere che forse parlava proprio per esperienza personale. Sì, doveva essere così: in fondo a quegli occhi troppo pieni vagavano delle ombre d'esperienza con cui mi stava avvertendo di armarmi di forza e pazienza per affrontare tutto ciò con cui la vita mi avrebbe investito di lì a poco tempo. Annuì ed afferrò la sua tela di spugna da uno degli attrezzi per la ginnastica artistica, passandosela sulle spalle e asciugandosi il sudore.
«Impegnati, Dandelia», fece l'occhiolino e si diresse alle docce.
Alice scosse la testa e non appena Shane fu abbastanza lontana da non udirla più gracchiò a bassa voce: «Dovrebbe smetterla di fumare quella robaccia!».
Dana afferrò due pesi da due chili e fletté lentamente le braccia in alto e in diagonale.
«Quante volte gliel'abbiamo detto, Alice? E' tutto inutile, lo sai...».
Alice si allontanò da noi continuando a scuotere la testa, unendosi al gruppo della corsa.
«Di che parlavate?», cercai d'intrufolarmi.
Dana sospirò e mi riservò uno sguardo dispiaciuto.
«Niente di importante, Ally. Sta' tranquilla».
Mi inumidii le labbra e respirai un boccone d'aria.
«Magari posso essere d'aiuto», provai.
«No...», Dana interruppe il suo esercizio e mi lanciò una lunga occhiata. «Shane non sta bene. Emotivamente è a pezzi, ma non darà mai a nessuno la soddisfazione di notarlo, per questo la vedi sempre forte e combattiva. Non è una che si arrende, ma anche lei ha bisogno della sua "razione di spinaci"quotidiana per riacquistare le forze e reggersi in piedi», simulò le virgolette nell'aria, ma vedendomi confusa mi si avvicinò all'orecchio e sussurrò: «Secondo il mio modestissimo parere non la rimette in piedi affatto, quella roba, anzi la spiattella al pavimento peggio di prima; e certamente non è di spinaci veri che stiamo parlando, ma di marijuana».
Battei le palpebre.
«Intendi che lei fuma...?».
«Esatto», posò gli attrezzi lungo un armadietto in ferro.
«Non c'è un modo per farla smettere?».
«Una volta io ed Alice abbiamo fatto in modo di nascondergliela, ma dopo una settimana d'astinenza ha dato talmente tanto di matto da arrivare a picchiare suo fratello e minacciare Alice. Sapevamo che era semplicemente troppo sconvolta, quindi non abbiamo preso sul serio le sue minacce, ma ci siamo arrese. La prima a voler smettere dev'essere lei, non possiamo fare tutto il lavoro al posto suo, ti pare?».
Afferrò il suo borsone e mi trascinò lungo i corridoi che portavano ai bagni e quindi alle docce.
«Mi raccomando, noi non ti abbiamo detto niente».
«Perché parli di te includendo automaticamente anche Alice? E perché usi un "noi" per descrivervi?».
Dana piantò i piedi davanti allo spogliatoio e mi rivolse uno sguardo serio, le gote arrossate e i capelli scarmigliati dovuti all'allenamento. Si guardò un po' intorno, poi mormorò: «Chiamami pure scaramantica, ma non ne voglio ancora parlare!».
Sorrisi leggermente, consapevole e maliziosa.
«Oh, credo di aver capito senza il bisogno di troppe spiegazioni!», nascosi una risata dietro il palmo di una mano, ma lei mi lanciò uno sguardo di avvertimento.
«No, no, no. Smettila, Ally!».
«Okay, okay...», tentai di tornare seria. «Ma devi essere felice della piega che le cose stanno prendendo», le feci l'occhiolino ed entrai nello spogliatoio, seguita dagli occhi allarmati di Dana e da un gesto eloquente da parte sua che mi intimava al silenzio.
Sollevai le mani in segno di resa, mi avvicinai a lei e le sussurrai all'orecchio: «Per quanto riguarda Shane, dobbiamo trovare il modo di allontanarla da quella roba. Insomma, molta gente si fa di canne, ma questo non giustifica la sua presenza nella massa. Proprio perché il suo stato emotivo non è dei migliori, fumare quello schifo potrebbe, alle lunghe, portarla a cercare qualcosa di più forte e chi lo sa... Non voglio che finisca lungo strade sbagliate».
Dana annuì, frugò nel suo borsone e tirò fuori la divisa da pallavolo con cui prendeva parte agli allenamenti pomeridiani ai confini della città. Si sarebbe fatta una doccia e si sarebbe cambiata come faceva quasi ogni giorno, per poi scappare via col primo autobus diretto ai limiti di Boston.
«E per quanto riguarda te ed Alice... Il passato non deve per forza ripetersi. Resta positiva!», le feci l'occhiolino e tirai via un accappatoio in spugna dagli armadietti di ferro, dritta alle docce. Dana mi rivolse uno sguardo dapprima pensieroso e in allerta, poi si rilassò e alla fine mi sorrise.

Give me your hands and save meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora