«Devo comprare qualche nuovo maglione, quelli dell'anno scorso mi vanno tutti stretti!», dissi a Mya, trascinandola dentro un negozio d'abbigliamento femminile dai capi super scontati.
Arricciò il naso e sospirò, entrando di malavoglia.
«Secondo me dovresti comprare solo una bella tuta da sciatore, ti coprirebbe abbastanza e non soffriresti il freddo», evidenziò, facendo spallucce come se la cosa fosse ovvia.
Le lanciai un'occhiataccia.
«E farei felice te, visti tutti i vestiti che hai scartato al mio posto per motivi che ancora non so!».
Mosse un dito sul suo capo, disegnando un'aureola nell'aria. Scossi la testa, roteando gli occhi, e mi diressi verso il reparto invernale. Mya mi seguì a ruota, ma si fermò di fronte ad alcune camicette primaverili e pantaloncini estivi.
D'altronde, l'estate era ormai alle porte e anche lei aveva bisogno di roba nuova. I sei giorni precedenti erano stati fantastici, avevamo mangiato caramelle, pizza e pop corn quasi tutte le sere di fronte a film di ogni genere, avevamo parlato moltissimo - più di me che di lei, ma Mya era fatta così... sapeva ascoltare molto meglio di quanto sapesse parlare di sé -, ci eravamo prese in giro, fatte il solletico, prese a cuscinate, pasticciato dolci in cucina e, in una di queste sei sere, mia madre le aveva permesso perfino di dormire di nuovo a casa nostra. Sembrava molto felice del fatto che avessi trovato una nuova "amica", anche se io e Mya non eravamo più semplici amiche - sebbene il nostro rapporto d'amicizia fosse sempre stato un po' particolare -, e questo la rendeva più simpatica anche ai miei occhi, visto che mi permetteva di fare molte più cose che invece prima mi proibiva di fare. Era come se vedesse in lei una sorta di sorella maggiore, una figura capace di proteggermi, e questo faceva sì che, per esempio, mi lasciasse libera di restare sveglia fino a tardi la sera anche se l'indomani dovevo alzarmi presto per andare a scuola, proprio perché sapeva che c'era Mya a farmi compagnia e finché c'era lei poteva stare tranquilla. Mi aveva perfino lasciata libera di fare una passeggiata in centro anche se non era lei ad accompagnarmi e a venire a riprendermi, cosa che avrei soltanto potuto sognarmi se Mya non mi avesse seguito a ruota. La vedeva come una sorta di cosa positiva capitata a fagiolo nella mia vita solitaria, e così la vedevo anch'io, che in qualche modo mi sentivo più piena e meno abbandonata.
In quei giorni mi aveva anche chiesto cosa avessi intenzione di mettere in valigia prima di partire, ed io mi ero sottoposta ad uno svuotamento estremo di cassetti alla ricerca di ogni indumento decente e invernale che avessi a disposizione - e che mi stesse ancora, soprattutto. Il risultato finale non era stato molto scarso, ma a detta di Mya molti dei miei maglioni non andavano bene perché erano troppo scollati e avrei potuto prendere freddo.
Certo. E io sono Lady Gaga.
Avevo cercato di non sorridere della sua gelosia malcelata e avevo proposto di andare a fare compere: lei per un attimo aveva accettato, ma in quel momento, dopo aver girato altri tre negozi che non mi avevano entusiasmata per niente, ero più che sicura che si fosse pentita di essersi dimostrata disponibile con così tanta fretta. Se magari avesse saputo probabilmente mi avrebbe detto di andare da sola.
Alla fine però non tutto il male veniva per nuocere, e anche lei ne stava approfittando per fare nuove compere per l'estate.
Sfilai una serie di maglioncini colorati dalle grucce, alcuni anche di taglie diverse per vedere se "attillato" fosse meglio di "morbido" e viceversa, poi mi allontanai dai ripiani su cui quest'ultimi erano stati sistemati e gironzolai un po' per il reparto jeans e giacche. Anche qui presi qualcosa di ogni genere e poi richiamai alla mia attenzione Mya, chiedendole di tenermi la tenda del camerino mentre provavo i vestiti.
Alla fine mi resi conto che colori come il marrone e il grigio mi si addicevano molto più di colori come il pesca e il verde acqua, che volevano farla in barba all'inverno, e allo stesso modo mi resi conto che "morbido" funzionava molto più di "attillato". Probabilmente quella regola valeva soltanto per me però, perché ero più che sicura che una come Meg o Linda non avrebbe mai preso un maglione morbido: visto che fa freddo e bisogna coprirsi, almeno si compensa l'assenza della pancia scoperta e delle braccia nude con la stoffa aderente!
Acquistai anche due paia di pantaloni felpati cuciti con una stoffa dalla fantasia quasi azteca, un paio di scarpe da montagna e una giacca felpata e caldissima che mi fece sudare le mani nonostante il poco tempo che impiegai a portarla al bancone della cassa.
«Soddisfatta?», chiese Mya una volta terminato il nostro tour di shopping, posando sul sedile posteriore della Volvo nera tutte le nostre buste. Mi allacciai la cintura e aspettai che si sedesse accanto a me per risponderle.
«Sì, credo di sì!», le sorrisi.
Si abbassò gli occhiali da sole sugli occhi e si passò una mano tra i capelli, ravvivando i ciuffi più lunghi.
Mise in moto ed innestò la prima marcia, sistemando lo specchietto retrovisore.
«Cos'hai comprato tu?», l'interrogai curiosa.
«Della roba figa per gente figa. Cose che non fanno per te», si voltò verso di me e mi fece l'occhiolino, tornando a guardare la strada. Le misi il broncio e le tirai una gomitata, incrociando le braccia.
«Sei proprio una stronza insopportabile e arrogante!», mi lamentai, guardando fuori dal finestrino.
«Non hai bisogno di vestiti carini per essere bella, Nana», puntualizzò seria. Mi distrassi pensando a quest'ultima frase: forse lei comprava quel tipo di vestiti perché credeva di non essere abbastanza bella da poter indossare qualsiasi cosa ed essere comunque carina a modo suo?
Qualcosa mi diceva che era sempre la sua solita stupida maschera a parlare.
Le feci una pernacchia e continuai a guardare fuori.
Rise.
«Sul serio, sei bella così come sei. Non hai bisogno di cappellini, sciarpe firmate o magliette che serrano la circolazione sanguigna».
Si fermò sotto casa mia e spense il motore, slacciandosi la cintura e sistemandosi con le mani dietro la testa lungo il sedile.
Sperando che non mi vedesse mi ritenni libera di poter sorridere soddisfatta. Nessuno aveva idea di quanto mi facesse piacere sentirla parlare così, era come un toccasana all'autostima, che di solito viveva perennemente ai piani bassi.
Ma molto, molto bassi.
«Allora...», cominciò, schiarendosi la voce. Chissà perché il mio ego stava cominciando a stiracchiarsi. «Pronta a divertirti?».
Annuii e lei sorrise.
«Fai attenzione».
«Promesso».
«Attenta a Scarlett», incalzò subito dopo, lanciandomi uno sguardo serio e penetrante attraverso gli occhiali scuri. Deglutii ed annuii, preoccupata.
Una delle mie preoccupazioni maggiori era appunto quella folle di Scarlett Manson; non ero sicura di quello che avrebbe fatto una volta in gita, ma qualsiasi cosa stesse escogitando per viversi quei giorni al massimo, speravo vivamente di restarne fuori così come il resto della classe che voleva godersi il viaggio e l'itinerario senza ulteriori gatte da pelare.
Mya allungò una mano e mi accarezzò una guancia, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi si sporse verso di me e si fermò a pochi millimetri dalle mie labbra, facendomi arrossire dalla testa ai piedi.
Sentii il suo respiro caldo condensarsi sulla mia bocca e rimasi immobile, desiderando con tutta me stessa di sentirla di nuovo. Non ci mise molto a colmare la distanza che intercorreva tra noi e a baciarmi con vigore e trasporto, un bacio così lungo e passionale da lasciarmi senza fiato. Le sfiorai i capelli, ricambiando il gesto, chiudendo gli occhi a causa dell'intensità quasi insopportabile con cui mi stava trascinando.
Mi allontanai di poco, tenendole però delicatamente il viso tra le mani.
«Mi chiami più tardi?», domandai col respiro corto, mordendomi il labbro inferiore.
Dio, sembrava di avere il cuore che minacciava di uscire fuori dal petto...
«Solo se adesso fai la brava e vai a sistemare per bene la valigia», chiarì, passandomi i pollici sulle gote. Non c'era molta confusione in zona, anzi a dir la verità i marciapiedi erano del tutto sgombri, ma fortunatamente i finestrini dell'auto erano del tutto oscurati e quindi, anche se qualcuno si fosse avventurato per quelle vie, di certo non ci avrebbe visto né avrebbe compreso cosa stavamo facendo.
«Okay, promesso», roteai gli occhi sorridendo, mentre lei annuiva piano piano e si allontanava tornando nella sua posizione d'origine.
«Ti chiamo nel pomeriggio, okay?».
«D'accordo», mormorai, poi mi allungai verso i sedili posteriori ed afferrai le mie buste.
Prima che potessi uscire dall'auto Mya mi afferrò per il braccio e mi guardò seria negli occhi.
«Non dimenticare di mettere il caricabatterie nella valigia», scossi la testa cercando di trattenere una risata che però trapelò leggermente.
Il suo sguardo e la sua serietà dicevano soltanto una cosa: è questione di vita o di morte.
Mi sentivo così lusingata e così felice...
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Give me your hands and save me
RomansaAlly era un uccellino chiuso in gabbia che sbatteva le ali frenetico, smanioso di uscir fuori e godersi i raggi del sole e l'aria fresca sulle piume. Avrebbe tanto voluto possedere le chiavi della sua gabbia, ma nessuno, tranne sua madre, le aveva i...