«Gira voce che stai con una ragazza, Ally».
«Già, la barista che è venuta ad organizzarci il rave qui a scuola, ricordi?».
«Qualcuno ti ha vista ballare con lei in maniera molto sensuale durante la serata liceale...»
«... altri dicono di avervi visto andare via insieme...»
«... e no, non è la prima volta che vi vedono allontanarvi. Non pensavamo che dietro quella faccetta d'angelo potesse nascondersi una lesbica», terminò Sam, dopo che Meg e Linda ebbero allestito quella bella scenetta squallida in mezzo al corridoio del primo piano del liceo.
Appiattita contro il mio armadietto, il cuore mi martellava frenetico nel petto e mi sentivo come un ladro colto in castagna che non sapeva che strada prendere per riuscire nell'intento della fuga e non farsi acciuffare dai poliziotti.
Sentivo la lingua bloccata, e di tutti i pensieri urlati o sussurrati che mi attraversavano la mente nemmeno uno si arrischiava a prender voce.
Avevo temuto quel momento fin dall'inizio, fin da quando avevo cominciato a sentirmi attratta da Mya. Uscire insieme ma prestare attenzione non era servito a granché, perché evidentemente qualche dettaglio c'era sfuggito comunque. Forse c'eravamo preoccupate tanto dei minimi particolari e poco dei dettagli più evidenti, assoggettandoci automaticamente agli occhi indiscreti pur non volendolo.
La domanda che però mi martellava nel cervello era: come avevano fatto ad arrivare a quelle conclusioni pur avendo così poche prove?
Due ragazze non potevano andare da qualche parte insieme abbracciandosi, che automaticamente venivano etichettate come lesbiche? Oppure se due ragazze ballavano insieme erano per forza fidanzate?
Scavai dentro di me alla ricerca di un briciolo di coraggio e questo venne fuori attraverso una risata nervosa.
«Ma che cosa state blaterando?», continuai a ridacchiare, passandomi le mani tra i capelli per il nervosismo. «Quale ragazza, ai giorni d'oggi, non balla in modo sensuale con un'amica in discoteca per non farsi notare dai ragazzi? Voi ballate addirittura tutte e tre insieme, in questo modo! Perché dovrebbe fare differenza per me?», snocciolai di fretta, mordendomi poi il labbro inferiore per frenare le parole.
La paura poteva giocare davvero brutti scherzi, poteva bloccarti il fiato un minuto prima e un minuto dopo concedertene talmente tanto da doverti mordere la lingua a sangue per smettere di parlare.
Meg guardò Sam aggrottando le sopracciglia, perplessa ma anche pensierosa. Sam continuava a guardarmi negli occhi e scuoteva la testa, invece, una chewing-gum alla fragola in bocca, l'alito fruttato, l'eye-liner spesso sulle palpebre, i capelli mossi e sciolti, le gambe strizzate in leggins neri come carne dentro nodi di salsiccia.
Deglutii mentre lei mi sorrideva, furba e consapevole.
Se solo non fossi stata per anni ed anni così timida e diversa dal resto delle altre ragazze, forse quel mio discorso sarebbe pure potuto suonare convincente.
«Non devi fingere con noi, stai tranquilla. Non ci interessa con chi te la fai, volevamo solo farti i complimenti per esserti finalmente svegliata. Ora anche tu hai qualcosa di speciale come il resto della nostra "squadra", puoi finalmente fare parte di quelli che valgono».
Aggrottai le sopracciglia, confusa. Il mio sguardo vagò da Linda a Meg, che però sembravano già a conoscenza delle parole di Sam, e soprattutto d'accordo con esse.
«Come, scusa?».
Risero.
«Oh, piccola, ingenua Ally... Non ci arrivi proprio, eh? Tutti i ragazzi che valgono in questa scuola hanno qualcosa di speciale. Noi tre siamo belle, conosciute, ricche e ribelli. I tre ragazzi che siedono solitamente al nostro tavolo fanno parte della squadra di football, hanno una villa in campagna e due di loro spacciano erba. Le due ragazzine coi capelli corti che di solito assistono agli allenamenti dei ragazzi danno delle feste fantastiche il sabato sera e ci fanno entrare gratis alle serate, e tu, con quel visino innocente, hai nascosto la tua sessualità in modo impeccabile finora, sei lesbica e si sa che le lesbiche eccitano da impazzire, soprattutto i ragazzi. Sei la ciliegina sulla torta, il top della diversità, la mascotte. E poi potresti rivelarti una grandissima bugiarda in caso di bisogno. Sei la novità, tutti ti vogliono...».
«Tutti?!», gracchiai, la gola secca.
Linda annuì e prese la parola.
«Non siamo le uniche ad aver scoperto la verità».
«Ma si può sapere chi vi ha detto una stronzata simile?!», sbottai, stringendo i pugni lungo i fianchi. Meg mi guardò come se non si sarebbe mai aspettata di sentirmi imprecare ad alta voce, Sam fece spallucce, Linda indicò l'aula numero trentadue.
«Scarlett Manson, la trovi in aula di storia. E' da ieri che chiede in giro se qualcuno conosce una ragazza lesbica di nome Ally Telesco, e quando i ragazzi rispondono di conoscerne una con questo nome ma di essere assolutamente certi che non sia lesbica lei chiarisce che si sbagliano, e comincia a parlare di te. Le hai pestato la coda, per caso?».
Mi sentii ardere, un calore improvviso mi si spanse lungo tutto il corpo e per poco una nuvola di fumo non fuoriuscì di getto fuori dalle mie orecchie.
Come si permetteva quella stronza di metter bocca sulle mie faccende private? Con quale scopo stava speculando su di me e sulla mia vita sentimentale?
Non riuscivo più a mettere a fuoco quello che le ragazze avevano detto fino a quel momento, non riuscivo nemmeno a riflettere su una possibile replica. Tutto quello che volevo fare era spaccare la faccia a quella stupida, insensibile, insopportabile e crudele.
D'istinto posi una mano sulla spalla di Sam e la scansai, puntando i miei occhi sulla porta dell'aula di storia; i loro visi, i loro corpi erano completamente invisibili, inoltre avrebbero potuto continuare a blaterare per ore, ma io avevo già smesso di ascoltarle da una manciata di secondi.
Si fecero da parte, pregustando una lotta all'ultimo sangue che erano quasi felici di aver innescato.
«Ti aspettiamo al nostro tavolo, allora!», fecero sarcastiche, allontanandosi verso l'entrata.
Il mio sguardo però non si mosse dall'obiettivo. Dentro di me cresceva l'istinto di prenderla a ceffoni; quella ragazza stava letteralmente tentando di mandare la mia vita all'aria ed io ero stanca di osservarla mentre prendeva in mano le redini della mia esistenza e cambiava le traiettorie da me stabilite.
Afferrai la maniglia di legno nero, aprendo di scatto la porta, ma con mia grande delusione l'aula era completamente vuota.
Sospirai, assestando un calcio ben piazzato alla porta che si mosse ed oscillò sui cardini.
Stavo perdendo le staffe e anche il controllo di me stessa... Un gruppo di ragazze passò per il corridoio, mi osservò, due di loro borbottarono qualcosa e poi risero, continuando a lanciarmi sguardi divertiti.
Dio mio...
Mi sentivo impazzire... Fin dall'inizio la mia preoccupazione più grande era stata quella di non far scoprire a nessuno che io e Mya ci stessimo frequentando e adesso che stavamo insieme ufficialmente per me era di vitale importanza che nessuno venisse a scoprire di me e di lei.
Il motivo non era la vergogna, perché non c'era assolutamente nulla di cui vergognarsi. Non era nemmeno perché mi sentivo ancora in parte confusa, il vero motivo era l'ignoranza! I miei compagni di scuola, i ragazzi degli altri corsi, chiunque avrebbe cominciato ad additarmi, a giudicarmi, guardarmi male, la voce si sarebbe estesa anche al corpo docenti ed io avrei rischiato di essere vittima di soprusi e ancor peggio di essere valutata dagli insegnanti non più per ciò che facevo, ma per ciò che ero o per ciò che si diceva di me, e non potevo assolutamente permettermelo!
Misi la borsa in spalla e richiusi la porta dell'aula di storia, uscendo lentamente come se fino a pochi attimi prima non mi fossi comportata come una pazza.
Sorpassai un'insegnante minuta e sconosciuta, due ragazze del primo anno ed Eric - il quale mi rivolgeva ormai a stento un saluto da quando gli avevo chiaramente fatto capire che tra di noi non poteva nascere altro se non una tenera amicizia -, poi spalancai il portone principale dell'istituto con l'intento di scappare via, imprimendo su quell'enorme maniglia tutta la forza che possedevo, ma prima di poter fare anche solo dieci metri Scarlett mi si parò di fronte con le braccia incrociate al petto, un sorriso sornione in volto, i capelli lunghissimi e scompigliati, il trucco sfatto sotto gli occhi color ghiaccio.
I miei pensieri su Eric e sul mio dispiacere nei suoi confronti furono letteralmente spazzati via e presi a calci dalla sua presenza; la sua posa esprimeva sicurezza, forza, astuzia, un animale pericoloso braccato per troppo tempo, pronto ad attaccare finalmente la sua agognata preda.
Allargai le braccia e roteai gli occhi, guardandola come senza parole.
«Mi spieghi che diavolo ti passa per quel cervello marcio?», sputai velenosa, sorprendendomi di come riuscissi ad essere forte quando mi sentivo minacciata.
Non avevo mai eccelso in coraggio, piuttosto ero sempre stata quella pronta ad infonderlo, ma se volevo preservare me stessa e tirarmi fuori dalla voragine dentro cui Scarlett stava cercando di lasciarmi precipitare dovevo essere capace di tirare fuori gli artigli da sola.
Scarlett rise, mordicchiandosi le dita corte e pestate di rosso.
«Deduco che tu mi stessi cercando».
«Beh, deduci bene! Meg, Sam e Linda sono venute a darmi il benvenuto nella loro "squadra" perché adesso anch'io ho qualcosa di speciale per cui vale la pena ammettermi tra di loro! E indovina cos'è? Il mio orientamento sessuale! E vuoi sapere chi lo sta spifferando in giro senza il mio consenso? Tu!», gesticolai frenetica, le orecchie fischiavano come un allarme acustico venuto ad avvisarmi della mia eccessiva temperatura corporea.
Fece spallucce come se in verità non c'entrasse niente in tutto quel discorso.
«Avrò pure rovinato la mia vita con le mie mani, Ally... Ma anche se avessi voluto tentare di rimediare, di farmi perdonare, di riprendermi ciò che era mio e che con troppa indulgenza avevo lasciato andare, tu hai rovinato tutto mettendoti in mezzo. Avresti fatto bene a startene al tuo posto. Io non mi fermerò finché anche tu non ti sentirai come mi sento io adesso: senza speranze», sentenziò.
La immaginai incastrata in un blocco di ghiaccio; ogni sua parola era un fiocco di neve, un chicco di grandine, una valanga che la seppelliva dalla testa ai piedi e non le lasciava spazio per respirare. Scarlett Manson aveva la morte nel cuore, era fatta di ghiaccio, non aveva più sentimenti e non nutriva più alcun genere di amore per nessuno se non per la vendetta che voleva infliggermi. Qualsiasi sua azione o parola non faceva altro che innalzare quel muro di ghiaccio che si stava costruendo intorno con un ulteriore mattone trasparente.
Esasperata, mi misi le mani tra i capelli e tirai verso il basso alcune ciocche.
«Io non c'entro niente, lo vuoi capire?! Sei tu che non hai apprezzato ciò che avevi quando era ancora tuo, lasciandolo scappare via! Mi fa piacere che tu abbia appreso il valore di ciò che hai perso, Scarlett, questo ti innalza certamente ad un livello superiore e sicuramente ti fornisce una lezione su cui riflettere, ma non puoi punire gli altri per qualcosa di cui tu e solo tu hai la colpa!», cercai di essere diplomatica, ma allo stesso tempo tentai di essere quanto più chiara e schietta possibile, sperando di non ritrovarmi mai più in una situazione come quella.
Si guardò intorno mordendosi il labbro inferiore, poi sollevò gli occhi al cielo e, dopo una lunga pausa di silenzio assordante, piantò un calciò contro la ruota anteriore di un auto rossa, un pugno contro il parabrezza.
Indietreggiai, spaventata dall'idea che da un momento all'altro sarebbe potuto scattare l'allarme e che qualche insegnante sarebbe accorso immediatamente a difendere la sua proprietà, incolpando me dell'accaduto nel momento stesso in cui, voltandoci entrambi, ci saremmo resi conto di essere soli e che di Scarlett Manson non si scorgeva nemmeno l'ombra.
«Smettila!».
«Sai che c'è? Hai ragione, la colpa è mia».
Annuì decisa, ma quella sua convinzione non servì a far convinta me. Rimasi ad osservarla per cogliere qualsiasi suo gesto, ma alla fine un unico sorriso amareggiato comparve sulle sue labbra e da quest'ultime fuoriuscì soltanto: «Ma, esattamente come mi sono tirata fuori dalla vita di Mya in grande stile, adesso riserverò a te lo stesso trattamento. Preparati, Ally, quando meno te l'aspetti la tua vita diventerà un inferno».
La tua vita diventerà un inferno...
La tua vita diventerà un inferno...
La tua vita diventerà un inferno...
Scarlett scomparve dalla mia vista, ma i miei occhi, completamente sbarrati, continuavano a vederla lì davanti a me, la sua frase mi riecheggiò per una manciata buona di secondi nella mente senza che riuscissi a pensare a nient'altro se non a quella minaccia, le gambe non rispondevano ai miei comandi e sentivo le braccia pesanti, sul punto di staccarsi dal busto e rotolare sull'asfalto.
Avevo paura. Ero terrorizzata da quella ragazza e da quello che avrebbe potuto fare. Basandomi sulle mie precedenti esperienze potevo asserire con certezza che Scarlett non era una persona che si fermava di fronte agli ostacoli, anzi s'intestardiva ancora di più finché non riusciva ad ottenere ciò che voleva, con le buone o con le cattive.
Cosa aveva intenzione di fare, ora? Cosa avrebbe fatto per rovinarmi?
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Give me your hands and save me
RomanceAlly era un uccellino chiuso in gabbia che sbatteva le ali frenetico, smanioso di uscir fuori e godersi i raggi del sole e l'aria fresca sulle piume. Avrebbe tanto voluto possedere le chiavi della sua gabbia, ma nessuno, tranne sua madre, le aveva i...