Capitolo 22

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-'Capo c'è sua madre sulla linea due.' Mi rivela Gaston, facendo capolino sulla soglia del mio ufficio. Mi guarda per un attimo, prima di ritornare alla sua scrivania. Mi passo una mano tra i capelli. Mi distrae. Mia madre non mi chiama quasi mai.
-'Mamma' dico al telefono. Sento il suo respiro all'altro capo della cornetta.
-'Sorpresa' sussurra una voce melodiosa.  Una voce che potrei riconoscere anche muta, anche in mezzo al silenzio più assordante, anche nel caos di un'altra vita, più diversa della mia.
-'Perché non hai detto che eri tu?' Chiedo, e avverto il cuore battere all'impazzata come se fossi un ragazzino alle prime armi. Mi concentro.
-'Non avresti mai risposto se avessi detto che ero io.' Dice e mi affonda. Ha ragione. All'epoca dell'amore, le proibivo quasi di chiamarmi in ufficio, a meno che non fosse estremamente urgente. Non sopportavo l'idea di essere sotto controllo. Mentre adesso non sopporto l'idea che lei, non sia sotto il mio controllo. Lei sospira non sentendo la mia risposta.
Non so che dirle.
-'Devo andare, ti lascio al tuo lavoro.' Conclude la chiamata senza aspettare una risposta.
Che coglione che sono.

Bussano alla porta. Sono le due del mattino, ed io sono ancora nudo nella vasca da bagno. Ho finito la bottiglia di brandy e sono più sbronzo del solito. Bussano di nuovo. Fatico a reggermi in piedi. Arrivo alla porta con solo l'accappatoio addosso e la barba umida. È Bree, ha l'aria stanca. Provo a metterla a fuoco ma non ci riesco. Sembra che pianga. Le metto le mani addosso. La tocco dovunque, la bacio ovunque. La spingo sul letto. Lei non mi ferma, eppure resta immobile con le guance rigate e quando mi guarda, nudo, pronto a farla mia, mi fa sentire sporco. La spingo via, maledicendo chi sono e chi stavo in un attimo, per diventare.

-'Stai bene?' Bree bussa alla porta del bagno, dopo quasi un ora che sono chiuso lì dentro. Mi sono fatto una doccia per scacciare i pensieri e quando rievoco le mie mani addosso a lei, mi viene il vomito. Perché cazzo non mi aveva fermato? Improvvisamente, muoio dalla voglia di saperlo. Spalanco la porta e quando la vedo, le parole che volevo dirle, evaporano. È nel mio letto, con addosso la mia camicia e gli occhi socchiusi. Mi siedo a guardarla dalla poltrona e mi sembra di tornare indietro nel tempo, a quando lei non era altro che la mia bambina. Mi sfioro la barba con le dita e dopo un bicchiere di vino, mi assopisco in un sonno torbido e per la prima volta, senza sogni.

-'Svegliati.' Mi sussurra Bree. Apro lentamente gli occhi e noto che è seduta sul letto, mentre la mia camicia chissà dov'è. Non indossa niente, a parte la sua innocenza e la sua purpurea voglia di me. Mi fa venire l'acquolina in bocca, ma non posso dirglielo, così mi diverto a stuzzicarla.
-'Dovresti dormire.' Le sussurro a mezza voce, restando immobile sulla poltrona e mordendomi apposta un labbro. Sussulta.
-'Dovresti essere vicino a me.' Dice, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, per distrarmi. Ci riesce quasi. Quasi.
-'Per fare cosa?' Chiedo sinuoso, mentre mi sbottono la camicia. I suoi occhi non lasciano mai i miei. Mi sfida e mi attrae allo stesso modo. Affascinante.
-'Lo sai, cosa.' Sussurra, per poi alzarsi e venire nella mia direzione. Si siede a cavalcioni sulle mie gambe e sento il suo profumo di fiori appena sbocciati. Le sue curve, una volta acerbe, adesso sono piene e sode. Mi inebria.
Finisce di sbottonarmi la camicia, per poi baciarmi il collo. Sono baci lenti, esperti, come se nella sua vita non avesse fatto altro. La voglio. La alzo senza sforzo e la situazione si capovolge, schiacciandola sotto di me, intrappolandola con il mio corpo. I suoi occhi brillano di qualcosa di oscuro. Lei non prova a fuggire. Ripete il mio nome, così tante volte, che ad un certo punto, detto da altre, potrebbe perdere di significato, ma che detto da lei, assume ogni volta, nuove tonalità di emozione.
Ah, Bree. Ma cosa non mi fai?

-'Ah, buongiorno.' Le dico porgendole una tazza di caffè. Bree indossa di nuovo la mia camicia, misteriosamente ricomparsa, e siede con i capelli arruffati e l'espressione beata, su uno dei mie sgabelli accanto al bancone.
-'Perché sei scappato ieri notte? Ti sei chiuso in bagno.' Dice improvvisamente afflitta, l'aria beata di colpo scomparsa. Sospiro.
-'Ero ubriaco perso e tu non ti muovevi. Piangevi. Sono scappato da me stesso Bree, non da te.' Dico d'un fiato. Lei sembra pensarci su.
-'Mi dispiace.' Dice, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. Si copre il viso con le mani ed io sono confuso. Mi avvicino stringendola a me.
-'Cos'hai piccola? Dimmi cos'hai.' Le chiedo baciandole i capelli. Lei si ritrae per guardarmi in viso. Ha gli occhi arrossati.
-'Non ho te.' Rivela ed io mi sento morire nel suo sguardo.

Le donne sono misteriose. Sono esseri così complessi, universi a parte. Sono innamorate di me, lo sono tutte. Ed io a mio modo, amo ognuna di loro. Eppure questo non basta. Vogliono l'esclusività, la possessione, il piacere di essere uniche. Forse non sono così bravo come dico o forse, lo sono troppo. Non lo so, non la conosco la risposta. Eppure negli occhi di Blondie a volte, mi sembra di vederla. Ma perché ogni discorso del cazzo, finisce sempre con me che penso a lei?

Rehab.Farò rifare il cielo per quando tornerai.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora