C'era un tempo in cui i pirati regnavano sui mari. La loro più grande aspirazione era depredare navi, appropriarsi di ricchezze, fama, gloria e avere belle donne in ogni parte del mondo a loro conosciuto. Era uomini liberi, seppur ricercati. Liberi di solcare tutti i mari, bearsi gli occhi di paesaggi stupendi e conoscere il mondo.
Ogni pirata apparteneva ad una ciurma, con un capitano che rispettavano, temevano e al quale davano la loro più completa fiducia.
Ogni ciurma aveva un suo Jolly Roger, la famosa bandiera con il teschio, che aveva caratteristiche diverse, a seconda della ciurma a cui apparteneva, e significati diversi.
Ogni ciurma aveva una nave, che proteggevano con la loro stessa vita.
Ogni nave aveva un nome e quella di cui parleremo noi si chiamava Black Rose. Era una delle navi più belle, grandi e temute di tutti i mari nel XVIII secolo.
Sul suo albero maestro si muoveva, con gli impetuosi venti degli oceani, una bandiera con un teschio e sotto di esso una spada e un libro.
Era il Jolly Roger di uno dei più temuti capitani, conosciuto da tutti come Black Law, non solo per i suoi capelli corvini e gli occhi scuri come la notte senza stelle, ma anche per il modo spietato con cui faceva giustizia. Per lui la giustizia era tutto: non tollerava tradimenti, atti poco rispettosi all'interno della sua ciurma, e più di tutto non tollerava chi osava fare del male alla sua famiglia.
La sua famiglia erano ovviamente i marinai che solcavano i mari con lui. Erano tutto ciò che gli era rimasto al mondo ormai, tranne che per un uomo, che non vedeva da parecchi anni, ma che era stato per lui un appoggio nel momento peggiore della sua vita.
Nessuno, a parte quell'uomo, conosceva la vera storia del capitano, nemmeno il suo più fidato e migliore amico, nonché suo vice capitano, Edward Norton.Norton era il contrario di Law. Se Law era impulsivo e faceva giustizia su chiunque gli facesse un torto,Norton era più tranquillo e magnanimo. Era colui che teneva a freno l'impulsività, molte volte eccessiva, del capitano; colui che lo faceva riflettere e con la quale il capitano della Black Rose si sfogava.
Erano praticamente fratelli.
Forse il loro legame era persino più forte di due semplici fratelli di sangue. Avrebbero dato la vita l'uno per l'altro, senza eccezioni.
Quel giorno, il capitano Law era particolarmente agitato. Non sapeva spiegarlo, ma aveva avuto una brutta sensazione da quando si era svegliato di soprassalto quella mattina, forse per un incubo che non ricordava, o forse per il frastuono che i suoi marinai facevano mentre svolgevano i loro compiti.
Non aveva voluto parlarne al suo migliore amico, ma tutti notarono che il capitano era di pessimo umore e nessuno osò commentare o disturbarlo.Stavano facendo rotta verso l'Inghilterra. Aveva degli affari in sospeso con alcuni manigoldi li, e non avrebbe aspettato troppo per reclamare ciò che gli spettava e fare giustizia a modo suo.
Mancavano pochi giorni di viaggio e poi avrebbe toccato il suolo della sua madre patria, ma non ne era felice. Odiava tornare li, e non solo per la taglia che pendeva sulla sua testa, ma anche perché non c'era mai stato nulla per lui in quel nefasto luogo.
Ormai il tramonto era calato e lui era rimasto solo sul ponte della nave. Era sulla prua, a guardare le stelle e a godersi il vento e il rumore delle onde che si infrangevano sulla carena. Era in quei momenti che si sentiva rilassato, sentiva che apparteneva a qualcosa: al mare.
Qualcosa disturbò la sua tranquillità. Uno sbattere di ali e subito dopo un uccello si posò sulla balaustra vicino a lui. Ci mise qualche secondo per metterlo a fuoco e poi lo riconobbe. Era una civetta, e anche se era buio, e gli oggetti erano illuminati solo dal pallido bagliore della luna piena, lui sapeva benissimo che quella civetta era più candida e pura di qualsiasi altro uccello avesse mai visto, tranne che per delle sottili pagliuzze dorate al limitare delle ali. Era così regale e bella che si riconosceva fra mille.
Tante volte gli aveva portato lettere e ne aveva riportate indietro altrettante. Forse negli ultimi tre anni, molte meno di quante avrebbe voluto Alexander.
Come tutte le altre volte, la civetta aveva una lettera nel becco e gliela porse. Lui subito l'accarezzo e questa gradì più delle altre volte quel gesto.
Per un attimo scorse quasi dolore negli occhi del pennuto, ma forse se lo era immaginato.
Insolitamente la civetta, invece che andarsi ad appollaiare sull'albero maestro ad attendere una risposta che avrebbe dovuto scrivere a breve, si posizionò sulla sua spalla, come per stargli più vicino mentre con cautela girava la lettera.
Sorrise nel vedere la ceralacca con impresso un simbolo a lui noto: una perla incastonata in una conchiglia.
Il sorriso gli si spense subito appena iniziò a leggere la lettera.
I suoi presentimenti di quella mattina era giusti: nulla di buono era avvenuto in quei giorni.---
Correvo veloce.
Dovevo scappare e nascondermi, anche se non sapevo bene dove. Con me avevo solo un borsello con dentro tutto l'oro e i gioielli che avevo trovato a portata di mano, qualche pezzo di pane, una fiaschetta d'acqua, e una lettera.
Quella lettera mi aveva spinta a scappare dalla mia vita, che ormai non aveva più un senso.Nulla aveva più senso per me ora.
Mi fermai un attimo, appogiandomi al muro di una vecchia casa. Tastai sotto la camicia alla ricerca della collana che non mi toglievo mai. Estrassi il ciondolo che rappresentava lo stemma della mia famiglia: la conchiglia con una perla al suo interno.
Un senso di vuoto mi attanagliò le viscere. Il dolore quasi mi impedì di respirare, ma sapevo di non potermi fermare proprio in quel momento.
La Charlotte che fino a quella mattina era felice nel giorno del suo diciottesimo compleanno non avrebbe mai corso in giro per la sua città inglese, con indosso i vestiti di una cameriera.
In quel momento mi resi conto che era inutile pensare a quello che avrei fatto solo il giorno prima.
Charlotte Olive Pearl non era più la stessa che conoscevano tutti, forse non esisteva nemmeno più.Bloccai i pensieri cupi, sapendo di non avere tempo, così ripresi a correre verso una meta a me sconosciuta, in quella perfida notte dove la luna rischiarava un poco la mia strada.
Ormai ero sola contro il mondo.
Holà
Per chi non mi conosce, il mio nome è Martina e scrivere è una delle mie più grandi passioni. Questa è una nuova storia che giace nelle bozze da più di un anno e finalmente ho trovato il tempo per sistemarla e iniziare a pubblicarla.Per chi mi segue già dalle altre mie storie, è bello rivedervi e spero che anche questo racconto vi piaccia. Per chi è nuovo, vi do il benvenuto e se volete ho altre storie sul mio profilo.
Sono una tipa di tante parole, che quando inizia a parlare non finisce più, ma direi che per oggi basta!
Spero continuerete a seguirmi e nel mentre, potete trovarmi sui miei social, così ci conosciamo meglio.Aspettatevi da questa storia ogni cosa, un sacco di tristezza, bei momenti, aggressività, stupore, amore per la famiglia. Con due protagonisti degni di nota: il nostro capitano Alexander, che chi vede Once upon a time è quel figone di Hook, mentre Charlotte sarà... lo vedrete nell'immagine del prossimo capitolo ;)
A presto:*Facebook page : the soul in a story Twitter : Milena Orton
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Black Law:la leggenda dei sette mari
FantasyIl pirata Alexander John Law, conosciuto in tutto il mondo con il nome di Black Law ,aveva tutto quello che un pirata poteva desiderare:soldi, fama, una nave bellissima , una ciurma fedele e tutte le donne ai suoi piedi. Ma aveva il peso del suo pas...