C'era un uomo una volta, che aveva creduto in un bambino. Una creatura che nessuno voleva e che tutti avevano abbandonato a se stessa, come un pezzo inutile di una società corrotta. Quell'uomo, che non era un eroe, ma solo uno fra tanti, era come stato colpito dalla visione di quel ragazzo, come se in quegli occhi scuri lui ci avesse visto la grandezza. Quell'uomo aveva salvato quel ragazzo da se stesso e dall'oscutità che lo stava facendo sparire, per dargli una luce, per dargli la possibilità di fare grandi cose del suo futuro;cose che tutti avrebbero ricordato.
Forse salire su quella scialuppa era stato proprio il destino di Alexander Jhon Law, che stava guardando in faccia solo distruzione e forse anche la morte. Per anni aveva sperato di morire quando le tenebre avevano iniziato a soffocarlo sempre un po' di più, ma in quel momento, se la vita fosse scappata da lui, non se lo sarebbe perdonato per il resto della sua agonia agli inferi. Non si aspettava di certo un paradiso glorioso, non con quel marchio.
Era spaventato della sua sorte, ma continuava a remare senza sosta mentre lapilli e massi di lava sfioravano lui e la sua barca, venendo inghiottiti dalle acque scure e crudeli.Non si era girato nemmeno una volta, anche se sapeva bene che uno sguardo fisso era puntato alla sua schiena, anche quando la foschia di fumo aveva reso oscurata la sua presenza anche a se stesso. Gli occhi gli bruciavano e i polmoni respiravano a fatica, così decise che se voleva vivere, non era il momento di lottare da solo e solo un essere gli poteva essere d'aiuto.
Quando lui prendeva il possesso era come vivere in un film della quale eri il protagonista inconscio. Alexander non aveva potere su quello che faceva, ma vedeva e sentiva tutto, anche se poi non avrebbe ricordato nulla. Era come essere ospite all'interno di sé stessi, rinchiusi in un guscio con qualcun'altro che premeva per buttarti fuori.
Il Gheburin era inebriato dall'odore del fumo e della morte, dal calore della lava così vicina dopo un eternità che passava di corpo in corpo. Niente lo aveva mai fatto sentire di nuovo a casa, agli Inferi, come quell'isola.Con le ultime bracciante decise, riuscendo a vedere perfettamente in mezzo al fumo e all'oscurità, visto che lui ne faceva parte, fece arenare la scialuppa su una spiaggia di pietre di lava solidificata. Si caricó in spalla lo zaino con qualche vivero, ricordandosi che la quei corpi mortali avevano bisogno del nutrimento del cibo terrestre per rimanere in vita e lui non voleva di certo allontanarsi da quel corpo, ora che era così vicino dal tornare a casa.
Gli stivali pesanti marciavano sul terreno irregolare, cercando di non scivolare fra le lisce rocce verso i piccoli torrenti di lava che seminavano tutto il percorso. Si ricordava ancora quando lui stesso aveva camminato su quella stessa isola per la prima volta, quando era solo un piccolo vulcano eruttante, molti, troppi decenni prima. Quella volta era stato fianco a fianco di Lucifero, tutto prima che quest'ultimo lo tradisse incatenando per sempre la sua anima con quella di un corpo umano. Quando si fa un patto con il Diavolo bisogna sempre ricordarsi che lui, in ogni modo te lo rivoltà contro. La sua isola era stata usata come nascondiglio del tesoro di Lucifero, la chiave era stata nascosta, la bussola forgiata nei più profondi inferi e la mappa disegnata dal portatore di luce in persona. Entrambi consegnati alle famiglie umane a lui più fedeli per creare scompiglio sulla terra, mentre il Gheburin veniva punito in eterno, solo per aver desiderato possedere qualche anima dannata con cui giocare. Non si aspettava di certo di essere intrappolato anche lui con quella stessa anima della quale si nutriva giorno dopo giorno.Sapeva esattamente la strada fino ai piedi del vulcano madre e sapeva anche del passaggio segreto che lo stava portando molto velocemente al cuore del vulcano, alla fucina di tutta quella lava e alla dimora della chiave stessa. Più si avvicinava al centro più la sua pelle umana iniziava a pizzicare per il troppo calore. Doveva stare particolarmente attento se non voleva uccidersi per sbaglio, non si poteva mai sapere con quelle fragili creature.
Sbucó finalmente nel cuore della terra, dove il rosso vivo e pulsante predominava su tutto. Lasció lo zaino per terra avvicinandosi ad uno dei piccoli crateri interni, sentendo la chiave. Gli oggetti degli Inferi richiamano sempre i demoni, come se ci fosse una particolare attrazione fra loro.
Il Gheburin dovette spostare molte pietre, alcune pure troppo calde per quel corpo, prima di sentire un pezzo di metallo demoniaco battere sulle sue dita. Estrasse la chiave osservando bene come la superficie scura, rifletteva in qualche modo la luce della lava. Era come se onde infuocate vi danzassero dentro. Così bella e piccola che si poteva far fatica a pensare fosse collegata ad un essere così mostruoso.
Il Gheburin mise subito in tasca l'oggetto, tornando indietro sui propri passi. Si sentiva stanco e pesante, così si fermò un attimo, maledicendo quello stupido ragazzino per avere possedere un corpo troppo debole per quello che lui avrebbe voluto farci. Rovistó nello zaino, trovando qualche rimasuglio di cibo e bevve le ultime gocce d'acqua, sapendo di dover far sopravvivere quella carne senza un sostentamento umano per la maggior parte del viaggio di ritorno.
Il demone doveva sbrigarsi, perché per quanto lui fosse confidente in quell'ambiente, sentiva la pelle sempre più inconfortevole da vestire e i polmoni sempre più affaticati nel divorare la poca aria pulita che c'era attorno a loro.Gli arti si facevano sempre più stremati fino a che, lontano, come un oasi in un deserto, vide la scialuppa che lo aveva portato fino a lì. Strinse nel pugno la chiave di lava, come se potesse dare vigore al demone, che non poteva fare a meno di continuare a nutrirsi della debolezza di Alexander, come se fosse una droga per lui. La terra d'improvviso iniziò a tremare sotto di loro, così si voltarono e quegli occhi scuri e privo di emezione rifletterono la lava che iniziava a colare dal vulcano madre, come se si fosse risvegliato dopo che qualcuno aveva osato portare via un suo figlio. Che il vulcano fosse davvero vivo e si fosse accorto della mancanza della chiave? Ne il Gheburin, ne Alexander volevano rimanere lì per scoprirlo, così, cercando di non cadere in qualche buca, il demone portò entrambi sulla costa dell'isola di fuoco.
Iniziò a spingere la scialuppa verso l'acqua più profonda, fino a che le sue gambe non vennero completamente sommerse. Con un piccolo sforzo si issó sull'imbarcazione, iniziando a remare, fino la nube densa che lo circondava iniziò a diradarsi.
Il gheburin tirò un sospiro di sollievo, ma per lui non era certo il momento di gioire, perché come l'aria iniziò a pulire i polmoni del ragazzo, Alexander iniziò a lottare con tutte le sue forze contro di lui, fino a che i suoi occhi finalmente guardarono il cielo senza filtri.
Cadde stremato sulle assi, con il volto rivolto verso l'alto, lasciando che le onde lo trasportassero via.Sapeva che sarebbe dovuto alzarsi e continuare a remare, ma era troppo stanco e in fondo, penso che un sonnellino non avrebbe di certo potuto fargli male. Chiuse così gli occhi, lasciando che il suo destino fosse in mano alla dea Fortuna.
Sono talmente inscusabile per tutti questi mesi di essenza prolungata di capitoli che non dirò più nulla...
Sappiate che mi sento così in colpa he ora sono in viaggio e invece di dormire nelle mie uniche 5 ore che avrò per farlo fino a domani notte, che ho finito questo capitolo...
Perdonate una povera mortale che vive dall'altra parte del mondo e che non contenta di ciò fra 5 mesi si trasferirà in America... Si l'Australia non mi bastava ahahahahPs. Il mio primo video su YouTube è fuori ore :* https://youtu.be/UMxvh8JN0Jw
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Black Law:la leggenda dei sette mari
FantasíaIl pirata Alexander John Law, conosciuto in tutto il mondo con il nome di Black Law ,aveva tutto quello che un pirata poteva desiderare:soldi, fama, una nave bellissima , una ciurma fedele e tutte le donne ai suoi piedi. Ma aveva il peso del suo pas...