Grava, 1 agosto 2014

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Esco dalla casa di Daniele e ritorno a casa dei miei. Loro sono sul divano, attenti a non perdersi una parola di non so che programma in TV.

-Sono a casa!- dico sporgendomi dalla porta del salotto.

Il viso ornato di occhiali di mio padre mi accoglie tranquillo come al solito, mia mamma invece è tesa come la corda di un violino.

-Dove sei stata, bimba mia? Non sei tornata stanotte, mi hai fatta preoccupare-

Eh no, un'altra ramanzina. Ne ho abbastanza, sono grande e vaccinata, posso permettermi di passare la notte fuori senza avvisare, no?

-Ero con Daniele-

-Ah, ok- risponde soddisfatta -Com'è andata ieri sera, allora?-

-Bene, mamma-

-Se hai fame, c'è ancora del pasticcio nel forno-

-No grazie, non ho fame.. Vado a farmi una corsetta-

-D'accordo Ire, ma dovresti mangiare..- comincia mia madre, ma io schizzo in camera mia.

La mia stanza è sempre uguale dal tempo del liceo. Poster appesi alle pareti, una scrivania piena di libri, un pannello di sughero con appesi tutti i biglietti dei film che io e Daniele siamo andati a vedere al cinema.

Apro uno degli armadi e ne tiro fuori un paio di shorts e una maglia maniche corte abbastanza attillata.

Riesumo dal comodino le mie cuffie, poi scendo e finisco di prepararmi: scarpe, cellulare, una bottiglietta di acqua.

-Mamma, papà, vado a correre-

Un coro di sì accompagna i primi passi fuori di casa. Giusto un po' di stretching, qualche movimento per le caviglie e poi via. Si parte.

La casa dei miei genitori si trova fuori dal paese, in mezzo ai campi di mais. Comincio a correre lentamente, aumentando gradualmente il passo.

Adoro la ritmicità della corsa.

Inspira. Espira.
Dentro. Fuori.
Destra. Sinistra.
Andata. Ritorno.

Mi accomodo in un ritmo che so di poter sostenere a lungo e mi inoltro tra i filari di vite, in mezzo a campi di mais che sta crescendo, il profumo dei fiori estivi che riempie questa calda giornata d'agosto.

La musica dà forza, mi carica di energie e non sento la stanchezza.

Anche a Udine vado a correre ogni giorno, ma lì corro in mezzo alla città, qualche volta in un parco. Non è la stessa cosa.

Qui l'aria è pulita, sotto i piedi corrono i sassi e la terra, girando lo sguardo vedo alberi, piante e un cielo azzurro da mozzare il fiato, lì vedo solo case, qualche giardino, palazzi e macchine.

Spingo il mio passo, corro tra i campi che crescono rigogliosi in questo agosto afoso, un mese di amori non vissuti, di amori perduti, di nuove scoperte e di desiderio di libertà.

Spingo la mia corsa sempre un passo più in là, come faccio da tutta la vita. Mi muovo, posiziono sempre più in là l'asticella e metto anima e corpo per raggiungere il mio nuovo traguardo.

Spingo i miei pensieri nell'angolo più remoto della mia mente e mi perdo nel ritmo.

Inspira. Espira.
Dentro. Fuori.
Destra. Sinistra.
Andata. Ritorno.

Parlo a me stessa, mi sprono, mi motivo. Nessuno lo fa per me.

Cerco di relegare i miei ricordi assieme ai miei pensieri, ma mi aggrediscono forti e nitidi.

Dani che mi abbraccia, Dani che ride, Dani che mi guarda assonnato. Non so perché penso a lui ora. Non so perché penso a lui sempre.

Mi sento sciocca.

Di sicuro lui non passerà così tanto tempo a rimuginare su quello che abbiamo fatto durante i lunghi anni della nostra amicizia.

Ma io sì. Mi ritrovo a correre tra i sassi del Meduna, a schizzare l'acqua ghiacciata con le scarpe e a pensare a quella volta che ci siamo tuffati nel Buco.

Inspira. Espira.
Dentro. Fuori.
Destra. Sinistra.
Andata. Ritorno.

Non devo ricordare. Non devo pensare. Dani sarà sempre lì per me, e cerco di convincere me stessa che mi basterà.

I miei polmoni reclamano aria, mi fermo e mi appoggio a un vecchio pioppo spoglio.

Inspira. Espira.
Dentro. Fuori.
Destra. Sinistra.
Andata. Ritorno.

Ritorno. Da cosa? Da chi? Nulla e nessuno. Queste risposte aggrappano i miei respiri e se li mangiano, non mi fanno respirare. Ho ventotto anni e la mia vita non è nelle rotaie prestabilite. Mi ero disegnata un gran progetto.

Ripenso alla mia ultima vera storia.

Gianluca. Il mio primo, vero, sciocco, inadeguato amore. A vent'anni credi che tutto possa durare per sempre. Lo credi per davvero.

Quel rapporto era sopravvissuto anche alla mia amicizia speciale con Dani.

Ci eravamo conosciuti a una partita di Daniele. A quell'epoca Dani faceva ancora calcio. Gian si era avvicinato e aveva cominciato a parlarmi. Era il fratello di una compagno di squadra di Daniele. Mi aveva notato alle partite. Tra una chiacchera e l'altra, avevamo deciso di uscire assieme.

A quell'uscita ne erano seguite altre. Uscivamo insieme da sei mesi, quando mi ha proposto di diventare la sua ragazza.

A vent'anni, credi che tutto durerà per sempre. Ma poi, come un castello di carta che si scontra con il vento, tutto crolla.

Le tue convinzioni.
Le certezze.
I sentimenti.
Puff, tutto svanito.

Lui se ne va con una scusa banale e tu rimani da sola, a chiederti che cosa hai di sbagliato.

Da otto anni ormai nessuno è riuscito a scavalcare quel muro che ho messo tra me e le relazioni serie. A nessuno ho mai dato la possibilità di scalarlo.

Mi sento sola. Anche se non lo ammetterò mai davanti ad anima viva, ho bisogno di qualcuno. Le mie avventure di una notte mi lasciano un senso di solitudine che faccio fatica a levarmi di dosso.

La mia mente ritorna a questa notte, al mio corpo stretto a quello di Lorenzo.

Risento i suoi baci, il suo profumo e il desiderio di rivederlo si fa tangibile.

Il respiro si è normalizzato e io riprendo la mia corsa.

Inspira. Espira.
Dentro. Fuori.
Destra. Sinistra.
Andata. Ritorno.

Durante il ritorno a casa, invece, ripesco le immagini di prima, quando ero con Daniele.

Quando mi ha baciato la fronte... mi sono sentita mancare. Il mio respiro si è fermato.

Cazzo, perché? Perché sto pensando queste cose? Basta Ire, corri.

Inspira. Espira.
Dentro. Fuori.
Destra. Sinistra.
Andata. Ritorno.

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