Vane speranze

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Alina riprese conoscenza lentamente, e ci impiegò un po' a capire dove fosse. Tutti i muscoli le dolevano come se nel sonno si fosse agitata tanto da avere dei crampi, e persino le giunture erano rigide e dolenti. Con molta cautela aprì gli occhi e si mise piano a sedere, facendo il punto della situazione.
Era in una cella, evidentemente da sola, in una delle postazioni dei bianchi sperduta chissà dove nei boschi. Era stata torturata da uno di loro, e non possedeva informazioni utili in alcun modo. Doveva andarsene in fretta da quel posto orribile, altrimenti, si disse, una volta che avessero scoperto che non era di alcuna utilità, le avrebbero fatto fare una brutta fine. C'erano buone probabilità che l'avrebbero lasciata in vita, ma quella prospettiva la faceva rabbrividire tanto quanto quella contraria.
Il pensiero andò alle sue sorelle. Si chiese dove fossero in quel momento, se fossero al sicuro.
Mentre era immersa nelle sue cupe riflessioni, la porta della cella venne bruscamente aperta, e un corpo venne lanciato dentro con poca grazia, seguito subito dopo da due ciotole e una brocca.
L'illuminazione artificiale della cella mostrò ad Alina quello che mai si sarebbe aspettata di vedere.
Quello che era stato brutalmente lanciato dentro era Erik, privo di sensi e pallido come un fantasma. Alina lo trascinò il più delicatamente possibile verso di sé, posandogli la testa sulle proprie ginocchia. Il ragazzo tremava e sudava freddo, gemendo debolmente di tanto in tanto. Sotto la pelle era ben visibile il reticolo bluastro delle vene e tutti i muscoli erano in tensione.
La sua unica speranza di uscire viva da quel posto era priva di coscienza tra le sue braccia, e lei non aveva la più pallida idea di come aiutarlo.
Si voltò a guardare cos'altro era stato lasciato all'entrata della cella, e scoprì, con piacere, che c'era dell'acqua e qualcosa che somigliava al cibo.
Cautamente si allungò verso la brocca, scoprendosi davvero assetata. Bevve una lunga sorsata e si sentì subito meglio.
<Alina?> chiese Erik, aprendo appena gli occhi.
<Erik!> la ragazza si sentì quasi più sollevata del dovuto. Non gli lasciò dire altro, avvicinandogli immediatamente la brocca alle labbra e sostenendogli il capo con l'altra mano.
Erik bevve avidamente e lentamente il tremito sembrò attenuarsi e la pelle riprendere appena colore.
<dobbiamo andare via da qui. Subito.> le disse a fatica.
<spiegami come.>
<conosco a memoria questi corridoi, so dove sono le uscite sorvegliate e quali invece possiamo usare, ci serve solo un diversivo.> cominciò a pianificare lui.
<dimentichi che non sappiamo come uscire da questo buco, dato che persino la porta è un'unica parete di metallo.>
<quando verranno a prende uno dei due, metterò fuori combattimento la guardia e la chiuderemo qui. Una volta fuori voglio che tu faccia tutto quello che ti chiedo, alla lettera, e lo farai fino a che non saremo da Adrian, senza discutere. Intesi?>
La guardava con una tale determinazione che la ragazza non poté fare a meno di accettare.
Proprio in quel momento però un altro crampo costrinse Erik a piegarsi su sé stesso, gemendo. Alina d'istinto gli afferrò una mano e la strinse, scostandogli i capelli dalla fronte sudata, come aveva visto fare a sua madre più di una volta con qualche suo paziente.
<cosa ti hanno fatto?> chiese con un filo di voce <nemmeno io sono stata così male!>
<nulla a cui non si possa porre rimedio.> le rispose con un mezzo sorriso arrogante, ma i suoi occhi sembravano dire tutto il contrario.
Subito dopo quell'attacco, Erik cadde in un sonno profondo, lasciando Alina a chiedersi come avrebbe fatto a mettere fuori gioco una guardIa, se respirava a stenti. La ragazza prese quindi la decisione di essere parte attiva in quella fuga. Non appena fossero venuti a prenderla avrebbe studiato un modo per essere d'aiuto ad Erik.
Il tempo passava lento in quella costante penombra, scivolando denso come miele.
Erik alternava attimi di coscienza a ore di incoscienza durante le quali il suo sonno era costellato di incubi. Percepiva la costante presenza di Alina al proprio fianco, e questo gli infondeva un po' di forza per pianificare una fuga. Se non fosse stato per lei forse si sarebbe fatto da parte e avrebbe escogitato qualcosa con più calma; ma si era promesso di portare al sicuro Alina quanto prima, anche se questo avrebbe implicato affrontare il lungo viaggio che li attendeva fuori da quelle mura accompagnato dai crampi costanti.
Alina intanto faceva quanto in suo potere per rendersi utile. Quando Erik era sveglio lo aiutava a bere qualcosa e a mangiare, sostenendolo; quando invece rimaneva da sola in quel silenzio opprimente, tentava di elaborare un piano sensato.
Le visite delle guardie erano poco frequenti, e si limitavano agli orari dei pasti. In quei momenti la ragazza aveva l'opportunità di studiare i propri carcerieri e faceva di tutto per memorizzare dei dettagli utili. Osservò che i tritoni aprivano la porta con una sorta di bacchetta luminescente, inserendola in un foro presente dall'altra parte di quel muro di metallo. Uno di loro in particolare, lasciava sempre la chiave inserita quando entrava a portare loro i pasti e si soffermava a controllare le condizioni generali di entrambi, prima di andare via biascicando qualcosa contro quello che sembrava un microfono appeso al bavero della giacca. Lo si distingueva dagli altri perché trascinava i piedi palmati e lo si poteva sentir arrivare con un discreto anticipo.
Quello che riusciva a vedere quando la  porta era socchiusa, era un continuo muro bianco illuminato da una luce forte e asettica. In corrispondenza della loro cella era presente una rastrelliera scura con dentro tutti i loro effetti personali.
Quella vista la stupì non poco, e fece nascere in lei il dubbio che i Bianchi si aspettassero una loro imminente fuga. Perché avrebbero dovuto tenerli prigionieri per poi lasciarli fuggire senza combattere? Che volessero dare loro l'illusione della fuga per poi seguirli e colpire il Popolo Libero al suo cuore?

Rebirth - l'albero del silenzioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora