Un passato lontano

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Il cielo si tinse di nero. Nuvole cupe nascondevano il sole alla vista. Un vento gelido ululava violento sopra l'accampamento. Chi possedeva un udito più fine udì uno scalpitare di zoccoli e l'ululato dei lupi fare eco alle folate. Ogni soldato però, indistintamente dalle proprie origini, rabbrividì fin dentro le ossa riconoscendo in ogni fulmine e in ogni soffio di vento l'arrivo della Caccia Selvaggia. I cavalieri neri a cavallo di neri destrieri, accompagnati dai segugi infernali, vagavano instancabili dalla notte dei tempi cercando anime sui campi di battaglia, dopo carestie ed epidemie per accrescere il proprio esercito. Guidati dai principi reietti del popolo delle fate, i cavalieri neri cacciavano indistintamente buoni e malvagi razziando anime di ogni genere per le proprie fila. L'unico metro di giudizio era il valore in battaglia e l'attaccamento dell'anima alla vita. Qualunque anima decisa a proseguire il proprio viaggio anche in assenza di un corpo di carne ed ossa sarebbe stata accolta, poco importavano le colpe di cui poteva essersi macchiata. Rare erano le eccezioni in entrambi i sensi. Poche anime valorose venivano respinte dai cavalieri neri e ancor meno creature venivano accolte ancora in possesso del proprio corpo mortale. I lunghi viaggi privi di soste e le difficoltà degli stessi rendevano quasi impossibile per un corpo mortale sostenere il ritmo della Caccia. Soltanto i quattro principi e pochi soldati scelti potevano tollerare le fatiche mantenendo un corpo mortale, rimanendo così in bilico tra due mondi, quello fisico e quello degli spiriti.

L'arrivo della Caccia sul campo di battaglia incupì gli animi.

Erano sempre stati tutti consapevoli che le perdite sarebbero state considerevoli e che in molti non sarebbero tornati a casa, ma sentire la Caccia avvicinarsi rendeva tutto fin troppo reale.

Se l'arrivo dell'incantatrice aveva dato all'esercito un barlume di speranza, l'ululato mostruoso che scosse la terra al calar del sole gettò tutti nuovamente nell'oscurità.

Il più agitato, con grande sorpresa di tutti, era Erik. Si aggirava per l'accampamento come un leone in gabbia, abbaiando ordini ad ogni ora del giorno. Dal tramonto in poi invece, si rintanava in una tenda lontana da tutti e non ricompariva che allo spuntar del giorno. Chi lo vedeva aggirarsi nervosamente per l'accampamento, lo reputava l'ombra di sé stesso. Grosse occhiaie violacee gli cerchiavano gli occhi, la pelle pallida era tirata sul volto e gli occhi viravano dal nero al verde ogni giorno più spesso, come se non riuscisse a controllarsi. Evitava la compagnia di chiunque e quando era costretto a partecipare alle riunioni o alle adunate passava il tempo a spostare il peso da un piede all'altro, rispondeva a monosillabi con la voce sporcata da un ringhio.

Una mattina, esortata dalle continue suppliche di Adrian, che non ne poteva più dell'atteggiamento del giovane comandante, Alina irruppe nella sua tenda poco prima dell'alba.

La notte era stata priva di stelle, come tutte quelle che erano seguite all'arrivo della Caccia. Gli ululati avevano disturbato il sonno dell'intero accampamento, riducendo anche i più coraggiosi a rintanarsi sulle brandine. Con l'annunciarsi dell'alba, come sempre, il vento gelido era andato scemando così come l'eco degli ululati.

Davanti ad un cielo che cominciava appena a tingersi di rosso, Alina scostò con forza i lembi di tessuto che tenevano chiusa la tenda di Erik.

Dall'interno irruppe un ruggito e due occhi verdi illuminarono l'oscurità.

<Fuori!> sbraitò una voce roca.

Alina sobbalzò, poi seccata dall'atteggiamento che il giovane aveva mantenuto negli ultimi tempi, marciò all'interno.

<Fuori un corno!> sbottò. Le mani sui fianchi come se stesse rimproverando un bambino. <Non intendo tollerare questo atteggiamento un secondo di più!>

Le rispose il silenzio.

<Sei una Furia o un coniglio?> lo provocò.

Dall'oscurità provenne un ringhio basso. <Taci.>

Rebirth - l'albero del silenzioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora