Capitolo I - maledizione

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Ci fu una luce accecante e quattro stelle si scontrarono. Dalle stelle nacquero quattro esseri. Mi guardai attorno e vidi i miei fratelli, erano tre. Il primo, nonché il più grande, era Niehl. Era maestoso, emanava una forte luce bianca. Il suo corpo era quello di un colosso, enorme e perfetto. Tra le grandi mani reggeva una sfera bianca, al suo interno il vento ululava e girava in tondo, in continuo movimento.
Il secondo, Phylis, era meno grande di Niehl, ma comunque enorme. Era più muscoloso e la sua pelle era più scura. Emanava una luce blu. Anche lui aveva tra le forti mani una sfera. Questa era blu e al suo interno vi erano le acque, calme e agitate, talvolta bianche per la schiuma.
Il terzo, Lhokar, era imponente. Alto e slanciato, dall'aria saggia e potente. Emanava una luce marrone, simile al grigio. Tra le mani teneva una sfera marrone, al cui interno si estendevano deserti e monti, pianure e colline.

Infine c'ero io, Astrea. Ero minuta, ma slanciata. Le mie forme delicate erano il ritratto di forza e fragilità al contempo. I miei lunghi capelli danzavano nell'aria senza peso del nulla. Emanavo una luce potente, rossa e calda. Tra le mie mani non vi era una sfera, bensì uno scettro. Da esso si liberava una grande energia. L'aura era di un rosso vivo, cangiante. Sentivo forte la presenza del fuoco al suo interno. Era una presenza protettiva, rassicurante, ma a tratti pericolosa e spaventosa. La sentivo parte di me, in me ardeva quella stessa fiamma.

Disposti uno davanti all'altro, ognuno strinse il proprio oggetto e intorno a noi nacque il mondo. Dalla sfera di Lhokar uscì la terra e formò un pianeta. Dalla sfera di Phylis scese l'acqua, che avvolse la roccia e la modellò scorrendo. Dalla sfera di Niehl si liberarono i venti, che avvolsero il pianeta in un caldo involucro. Infine, dal mio scettro scaturirono due scintille. La prima cadde sulla terra saettando. La seconda piccola scintilla si fermò davanti a noi, nessuno sapeva il perché. Così creammo il mondo; o almeno questo è ciò che ho visto.

Rimasi lì per secoli, mentre i miei fratelli cercavano inutilmente di creare degli esseri simili a noi. Ci eravamo spostati, rintanandoci sul nostro pianeta, sulla nostra creazione. Restammo uniti, vivevamo in un grande giardino dominato da un'immensa costruzione, degna di noi immortali. Io continuavo a sorvegliare quella scintilla che, dopo secoli, ancora splendeva.
Un giorno, accidentalmente, toccò una delle creature di Niehl ed essa aprì gli occhi. Subito i miei fratelli accorsero.
《Come ci sei riuscita?》mi domandarono nella nostra arcana lingua.
《Ho compreso la mia fiamma. La fiamma portatrice di vita.》

Creammo così i nostri simili. Insegnammo loro la nostra lingua e la nostra storia. Essi ci guardavano con timore e rispetto. Sembravano essere perfetti, ma dopo meno di un secolo essi morivano. Avevo capito cosa li rendeva tanto speciali, cosa li rendeva davvero vivi. Erano in grado di provare i sentimenti, proprio come me. Certo, alcuni erano sempre stati riservati a noi immortali: gli umani, con le loro brevi vite, non li avrebbero compresi. Decisi però di far loro un dono. Forse prima o poi avrebbero compreso di cosa erano capaci. Chiamai al mio cospetto due di loro, un maschio e una femmina, e diedi loro la possibilità di riprodursi e aiutarsi sempre. Donai loro l'amore.

《Sorella, perché fai loro un dono? Sono imperfetti.》
《Creiamo allora degli esseri perfetti, ma sappiate che gli umani sono protetti da me. Nessun essere merita la distruzione.》
Umani. Li avevo chiamati così. Nella nostra lingua, il termine indicava la debolezza, la fragilità, ma anche l'amore e la morte.

Iniziammo allora a separarci. Ognuno di noi scelse una casa e da lì creammo altre specie. Ad ognuno dei miei fratelli avevo donato una fiamma, così che potrssero dare loro la vita. Nacquero così animali e piante, ma anche ninfe, fate, sirene, angeli, incantatori, demoni, esseri di ogni tipo. Tutti però erano semi mortali. Solo una specie aveva l'immortalità: i custodi delle anime. Ero stata io a crearli, stupendo tutti i miei fratelli. Essi erano invisibili ai mortali e prendevano le anime dei morti, portandole nell'Elysium, l'oltretomba. C'era un motivo molto semplice se ci ero riuscita: io conoscevo a fondo la vita e il suo significato. Sapevo che, lavorando a stretto contatto con la morte, i custodi non avrebbero mai dovuto temerla.

Descendants - La Maledizione di AstraeaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora