VI - L'Olgiata

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Colonna sonora: Kent - Petroleum

La sera stava arrivando inesorabile e Ginevra proprio non sapeva più che pesci pigliare

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La sera stava arrivando inesorabile e Ginevra proprio non sapeva più che pesci pigliare. La polizia impediva a chiunque, tranne ai residenti, l'ingresso all'Olgiata. E ovviamente lei faceva parte dei "chiunque" più di ogni altro. Tutta la zona brulicava di giornalisti affamati di particolari come cani alla ricerca di tartufi. I canali televisivi stavano facendo a gara per accaparrarsi un angolo dal quale si potesse vedere l'ingresso di Via Cassia sullo sfondo alle spalle del giornalista. A quanto aveva capito nessun collega, ne' della carta stampata e neanche della televisione, era riuscito a entrare nel Consorzio o "gated community" come i più raffinati definivano l'Olgiata. Nel suo pezzo, Ginevra stava giusto ponendo l'accento sul fatto che paradossalmente l'Onorevole Carlo De Santis era stato rapito proprio in una delle zone più protette ed esclusive d'Italia.

L'Olgiata è, infatti, "esclusiva". Ma quando si dice "esclusiva" si intende "esclusiva" nel vero senso del termine. Tutta l'area è recintata e gli accessi e le uscite sono monitorate ventiquattro barra sette da uno specifico servizio di vigilanza. E' talmente "esclusiva" che la maggior parte dei veri Vip se ne tiene alla larga. Ginevra ricordava solo D'Alessio e Magalli tra i "famosi" residenti all'Olgiata al momento. L'inaccessibilità della zona calzava a pennello addosso a un personaggio come De Santis, con le sue contraddizioni, gli interessi contorti, la sua capacità camaleontica di giocare in politica. Chi più di lui aveva bisogno di nascondersi nei suoi momenti privati? Ecco: l'articolo al momento diceva tutto questo o poco più. Concetti basilari e scontati, annacquati dalla successione cronologica dei fatti e dalle scarsissime notizie che trapelavano dall'interno del comprensorio.

Tessari impugnò nuovamente la sua Nikon D700 con obiettivo Nikkor da cinquecento millimetri e scattò verso il nulla.

«Ma si può sapere cosa cavolo stai fotografando?» chiese Ginevra mentre digitava sul tablet, in preda alla frustrazione e allo stress.

«Cerco di congelare attimi e ambientazioni. Magari nel futuro qualcosa ci tornerà utile, capo» e sorrise con quella sua faccia da schiaffi. Se non avesse avuto altri gusti un pensierino lo avrebbe anche fatto su di lui. Ma la realtà era che Ginevra era troppo lesbica e lui troppo giovane e stupido.

«Non sono il tuo capo, imbecille, per cui posso mandarti a cagare senza problemi e senza paura che mi denunci per mobbing.»

«Vabbé, dai. Ma possibile che devi essere così acida, Cochis? Siamo qui. Siamo gli unici due giornalisti del Planetario a lavorare sul pezzo.»

Ginevra smise di scrivere e sollevò la testa verso Tessari.

«Ma guarda che i giornalisti del Planetario siamo io, te e altri otto. E gli altri otto sono in ufficio a sgobbare per chiudere la merda che gli stiamo mandando. Perché è merda quella che stiamo scrivendo, lo sai, vero? Forse pensi di essere ancora all'università, ma noi, invece, lavoriamo per un quotidiano on line e dobbiamo tirare fuori qualcosa di decente o di diverso dalle altre testate sennò gli altri ci massacrano perché siamo più piccoli.»

Tessari scrollò le spalle mentre dalla zona dell'ingresso all'Olgiata si percepì un po' di animazione. Quattro poliziotti in divisa stavano accompagnando un uomo in borghese, che reggeva in mano una piccola busta trasparente al cui interno si scorgeva qualcosa che poteva sembrare una piccola scatola nera. Erano diretti verso la stazione mobile parcheggiata nei pressi del gabbiotto dei guardiani del Consorzio. Faceva un gran caldo e la porta della stazione era aperta.

«Cochis, che succede secondo te?»

Ginevra osservò per qualche secondo i movimenti della polizia.

«Credo abbiano recuperato qualche prova. Forse una ripresa delle camere della zona» e tornò a scrivere sul tablet per poi fermarsi all'improvviso. Idea, ideona.

«Tessari, quanto tira quello zoom?»

«Questo? Non te ne puoi fare un'idea, cocca. Con questo ho fatto un esame dentale a un ghepardo in...»

«Sì, va bene, ok. Senti, prestamelo un attimo, per cortesia, ti va?»

«No!»

«In che senso no?»

«Nel senso che: No, costa un botto! Dove va lui ci sono io.»

«E vieni anche tu allora, però sbrigati. Seguimi.»

Si diressero verso una zona defilata con meno giornalisti e curiosi nei dintorni. L'oscurità iniziava a far scomparire le ombre e dovevano fare in fretta. Ginevra sparì tra i cespugli.

«Ma che fai? Mi porti in camporella?» esclamò divertito Tessari.

«Zitto, idiota, e vieni qui con me.»

Erano dietro a un cespuglio, invisibili agli altri giornalisti appostati nella zona. Accanto a loro c'era una quercia e Ginevra ci si arrampicò sopra con insospettabile agilità.

«Ok. Sei impazzita! Lo sei, vero? Matta intendo»

«Sta' zitto ti ho detto! Non vedi che siamo in perfetta corrispondenza della porta della stazione mobile? Passami il cannone.»

«Cosa ne vuoi fare?»

«Cerco di sparare agli uccelli. Ma cosa vuoi che faccia? Cerco di fotografare l'interno della stazione, no?»

«E perché?» chiese Tessari mentre passava la Nikon a Ginevra.

«Perché se non mi sbaglio in quel punto ci sono i pc e i monitor della stazione. Ecco, sì... infatti. Se solo si levassero dalle scatole.»

Il funzionario aveva portato il materiale audiovisivo nella stazione mobile e adesso lo stavano visionando. Passò qualche minuto. Poi si udì un attimo di concitazione. Il funzionario scese dalla stazione mobile e chiamò un paio di altri responsabili nerovestiti.

«Hanno visto qualcosa. Cazzo, se solo riuscissi...»

Il fatto è che adesso erano tutti sullo shelter a vedere quelle immagini e tutta la visuale era bloccata. Dovevano fare presto. La luce era sempre meno e qualunque tentativo di fare fotografie con quella luminosità e a quella distanza di lì a poco sarebbe stato totalmente inutile. In preda alla frustrazione Ginevra cercò la posizione ideale per la macchina fotografica. Fece aderire la propria schiena contro il tronco dell'albero e appoggiò l'obiettivo ad un ramo di fronte a lei. Rimase ad aspettare per qualche secondo. Tutto inutile. Ad un certo punto però Ginevra intuì che un paio di persone si sarebbero spostate. Fu un attimo. Trattenne il respiro ed il dito scese lentamente sul pulsante di scatto. Click Click Click Click Click. Alzò il cannone sorpresa.

«Credo di averlo preso, Tessari.»

«Ma non farmi ridere. A quella distanza, con questa luce e con tutta quella gente.»

Scese dall'albero e controllò il display. Una, niente. Due, niente. Tre... Eccolo lì. Il monitor della stazione di polizia mobile. Preso in pieno e perfettamente nitido.

«Eccolo Tessari, eccolo qui. C'è e si vede. E' perfetto. E'... boh. Ma è lui. E' lui! »

Ginevra saltellava per la gioia. In quel momento non esisteva più nulla: l'Olgiata, Cecilia, persino De Santis. Esistevano solo lei, Tessari, la macchina fotografica e quella foto.

«Che cosa? Chi è lui?»

«Il rapitore di De Santis. Eccolo! Si vede benissimo. Preso in pieno. Lo abbiamo noi e solo noi, cazzo, sììììì!»

Tessari prese la macchina e in preda all'eccitazione guardò l'immagine del rapitore sul display.

«Evvai, cazzo, sì. Ma...» Tessari tentennò guardando meglio lo scatto. Zoom sul volto, poi di nuovo indietro e poi di nuovo zoom. «Ma Cochis... Ma chi è? O meglio: che cosa minchia è?»

«E' una notizia, Tessari. E il fatto che mi chiedi "cosa minchia è" significa che tutti i lettori se lo chiederanno. E vedrai cosa succederà domani.»

LA MOSCA (SEASON ONE) - di Mau TrifibaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora