XVI - Il Tempio di Diana

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Girolamo Catania era seduto su uno dei gradini del Tempio di Diana, intento a godersi un po' d'ombra al riparo dalla calura che ancora picchiava forte nonostante fossero ormai le diciassette

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Girolamo Catania era seduto su uno dei gradini del Tempio di Diana, intento a godersi un po' d'ombra al riparo dalla calura che ancora picchiava forte nonostante fossero ormai le diciassette. Ad un primo sguardo sarebbe apparso come un uomo d'affari venuto a passeggiare al parco e che, esausto, si era fermato a riflettere. La giacca era ripiegata e poggiata al suo fianco, la camicia azzurra sbottonata lasciava intravvedere il petto villoso e il viso, alzato a scrutare il cielo, era nascosto da un paio di Ray-Ban. La realtà era che Catania stava aspettando un uomo il quale, manco a dirlo, era in ritardo. I suoi uomini avevano provveduto a seminare gli agenti in borghese che lo sorvegliavano ormai da mesi e ora erano posizionati in ordine sparso intorno al Tempio. Non c'era però molto tempo. Presto gli agenti lo avrebbero raggiunto e lui non poteva permettersi di farsi fotografare accanto all'uomo che stava per incontrare. O meglio: era proprio a lui che non piaceva l'idea di farsi fotografare accanto all'uomo.

Quel pallone gonfiato! L'unica cosa che sapeva fare era presentarsi bene e far girare i soldi che aveva ereditato dai suoi. Ma il suo senso del rispetto era nullo e le sue idee erano troppo progressiste per i suoi gusti.

Un uomo alto dal fisico atletico era passato in mezzo a un gruppo di turisti ed era andato a fare stretching proprio vicino a lui. Catania si girò verso una delle sue guardie del corpo con uno sguardo interrogativo. Questa fece un cenno di scuse verso Catania. Scrollò la testa. Avrebbero finito per farlo ammazzare. Non erano minimamente in grado di difenderlo: non avevano la necessaria concentrazione, il controllo e la prontezza di riflessi. Ma questo era quello che passava il convento e in fondo erano bravi ragazzi. Tre dei suoi erano appena stati arrestati in quel guazzabuglio indegno nel quale era precipitato l'attentato di due giorni prima al pub. Per fortuna era riuscito a far intervenire i suoi avvocati, soprattutto per far tacere immediatamente quei tre imbecilli. D'altronde il motivo per cui era a Villa Borghese era proprio la necessità di un colloquio.

«Buonasera Catania. È fuori forma, sa?»

La voce era quella del runner accanto a lui. Da dietro i Nike Vaporwing Elite, l'uomo lo stava guardando in quel modo saccente e presuntuoso che Catania tanto odiava.

«Continui con i suoi esercizi. Non voglio che qualcuno di accorga che sta parlando con me. »

L'uomo continuò con i suoi esercizi di allungamento.

«È riuscito a farsi catturare tre uomini l'altra sera» esclamò l'uomo mentre raccoglieva con la mano il piede destro dietro le proprie natiche.

«Se è per questo il suo Bontempo è riuscito a farsi ammazzare quattro dei suoi al Ponte Milvio» rispose Catania.

«Sì, ma la differenza è che la polizia sa che i tre uomini che hanno arrestato sono suoi, mentre non sa che i quattro uomini morti sono di Bontempo. Anzi a dire il vero la polizia non sa neanche chi sia Bontempo.»

«Nessuno sa chi è Bontempo. Neanche lei lo sa» fece Catania sempre più irritato dalla presenza dell'uomo.

«Conosco la sua voce e la sua ombra. E come lavora. Come vede, comunque, sono in netto vantaggio» esclamò l'uomo che viveva di competizione.

LA MOSCA (SEASON ONE) - di Mau TrifibaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora