XII - Illuminiamo la notte

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Colonna Sonora: Prodigy - Firestarter

«Pendoni!»

L'agente entrò nella camera occupata dall'uomo senza bussare. Aveva passato tutto il pomeriggio e la prima parte della serata di fronte alla stanza del Policlinico Gemelli e non si era mai allontanato: aveva utilizzato il bagno interno alla camera, si era fatto portare un paio di snack per cena e le uniche persone ad aver visto Pendoni erano lui, i suoi colleghi e i medici autorizzati. Ogni mezz'ora entrava nella stanza e verificava di persona. Pendoni, passata la sbronza, aveva realizzato ciò che gli era capitato, ma soprattutto la fortuna che aveva avuto a uscirne vivo, ed era quindi entrato nel panico più totale. Lo stato di agitazione era tale che i medici avevano dovuto somministrargli dei sedativi e tenerlo in ospedale per qualche giorno, sotto osservazione e, naturalmente, sotto sorveglianza stretta. Di lì a poco sarebbe arrivato il suo collega per il turno di notte, Cometto, quello sfaticato: avrebbe scommesso lo stipendio che si sarebbe accomodato su una sedia a dormire. In ragione di ciò, era entrato per vedere che fosse tutto a posto prima di andarsene a casa a riposare. Pendoni dormiva beatamente.

«Buonanotte!» disse. Beato lui, pensò.

Strano però. Un braccio penzolava dal letto. Un modo curioso di dormire. Si avvicinò. Un occhio era semiaperto. Un brivido gli percorse la schiena.

«Pendoni!»

L'assenza di risposta lo preoccupò. Cercò il pulsante per l'emergenza e lo premette. Arrivarono un medico e un infermiere. Il dottore cominciò a tastare il collo del paziente e disse all'infermiere di andare a chiamare non so chi. L'infermiere partì di corsa e tornò con altre due infermiere e un paio di medici che portarono con loro le apparecchiature per la rianimazione. L'agente fu invitato ad uscire, ma la porta rimase aperta.

Così, in piedi, mentre assisteva impotente alle operazioni del personale medico, l'agente non riusciva a non pensare a quante volte in seguito avrebbe dovuto spiegare per filo e per segno cosa era successo quella sera. E, in fondo, non era successo assolutamente nulla.

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Tronzano arrivò al Policlinico verso le otto del mattino successivo. Della faccenda di Pendoni si erano occupati i colleghi della omicidi di Roma Tre senza bisogno di alcun aiuto, ma, visto che era stato presente alle indagini per la strage del Ponte Milvio, aveva pensato che andare a vedere di persona fosse una cosa corretta. Parlò con qualche collega e si fece una certa idea dell'accaduto. Ovvero che era stato un omicidio pulito. Professionisti. Evidentemente qualcuno era riuscito a passare la sorveglianza. Un falso medico, un momento di distrazione... un poliziotto? Forse. Non poteva nascondere a se stesso che la possibilità era più che realistica. Visto che c'era decise di andare a trovare Carla, un paio di piani sopra a quello dove era stato ricoverato Pendoni.

Arrivò da lei che Pietro, suo marito, stava cercando di farla alzare.

«Ciao Beppe.» disse Pietro, evidentemente scocciato.

«Ehi, Pietro, come va? Ciao pulce.»

«Ciao campione.»

«Come vuoi che vada? Non collabora come al solito e io mi sto scocciando.»

«Pietro, porta pazienza, non ce la faccio.»

«Vabbè, come vuoi. Senti, io adesso devo andare a lavoro. Fatti aiutare da tuo fratello, va bene? Ciao a tutti, scusate.»

Detto questo sparì nel corridoio. Carla guardò Beppe sorridendo.

«Non ce la può proprio fare.»

«Il bello è che te lo sei scelto tu.»

«Vero. È che io senza uomini stronzi vicino non ci riesco a stare. Una volta che sei andato via da casa tu, qualcun altro dovevo trovarlo, no?»

LA MOSCA (SEASON ONE) - di Mau TrifibaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora