IX - Rock 'n Roll, baby

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Colonna sonora: Rock and roll - Led Zeppelin

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Colonna sonora: Rock and roll - Led Zeppelin

Cosimo Pendoni era mezzo ubriaco, ma andava bene anche così. Dopo tutto ciò che era successo nei giorni precedenti anche quella situazione così assurda poteva essere accettata. Tanto non si sarebbe mai aggiustato nulla. Sua moglie lo aveva abbandonato di punto in bianco, portandosi via suo figlio, subito dopo che era saltata fuori la storia della sua fidanzata Paola e della droga e della prostituzione. Lui che non si era mai neanche fumato uno spinello, lui che Paola non se la ricordava neanche, a essere davvero sinceri. L'idea che lui potesse essere in qualche modo avvicinato alla figura di un drogato, addirittura di uno spacciatore o di un pappone, era talmente assurda che poteva essere solo considerata ridicola. E invece tutti l'avevano considerata una roba seria. Tuuuutti. In fondo, pensava mentre la Punto dei suoi "amici" lo stava portando chissà dove, si meritava questa situazione. Era chiaro che tuuuutto questo casino aveva origine dalla sua cazzo di curiosità, dal suo cazzo carattere di merda, dalla sua cazzo di voglia di essere un ambientalista dei miei coglioni. Ecco quale era la sola verità!

«Sei uno stronzo!» si disse ad alta voce.

Guardò i suoi "amici": come si definivano loro per lo meno. Chi li aveva mai visti? Erano in tre. Lo avevano fatto salire in macchina di forza mentre stava rientrando a casa. E poi gli avevano schiaffato una bottiglia di Jack Daniel's in bocca e lo avevano fatto bere, bere, bere, beeeeere. Mentre beveva i tre parlavano di uno che si chiamava Bontempo, ma soprattutto di un certo Denis che doveva esserci e che non c'era. Rischiava di far saltare tutta l'operazione, dicevano. E ora? La macchina stava accostando. Dove cacchio erano? Perché si stavano fermando?

«Scendi Cosimo.» disse uno dei tre.

Cosimo obbedì come un automa. Si guardò intorno. Ah sì. Erano al Ponte Milvio. C'era nessuno. Che ore saranno state? Le tre? Le quattro?

«Ora vai là, sul ponte. Trovi 'n cappio, dove c'è er secondo lampione. Te ce metti 'r collo dentro e tte butti de sotto cor cappio 'n testa. Hai capito Cosimo?» disse il più grosso dei tre. Mastodontico e barbuto. Sembrava un po' Cannavacciuolo, ma più cattivo. Portava una maglietta con scritto "NASTY BOY". Minchia.

Cosimo guardò il tipo e poi guardò il ponte.

«E se non lo faccio?» riuscì a dire. L'alcool rende coraggiosi.

«Te ammazziamo de botte noi, a mmerda, solo che ce mettiamo più tempo» disse lo smilzo alla sua sinistra. Fatto. O pazzo. O tutti e due insieme. Magro come un chiodo. Pieno di tatuaggi. Pelato e occhi di un azzurro che facevano paura. E rideva pure.

«E poi guarda qui» disse il grosso. Il terzo era sceso dalla macchina e fumava. Non diceva nulla. Era il più anziano. Forse cinquant'anni. Passò un cellulare al grosso.

Il grosso gli mostrò lo smartphone. C'era uno davanti alla casa di sua suocera, dove c'erano sua moglie e suo figlio. Era nel giardino di fronte a casa, proprio di fronte alla porta di ingresso. Come cazzo era riuscito ad entrare? Lentamente si avvicinava alla porta della casa di sua suocera. Mentre lo faceva, mostrava prima una pistola, la posava e prendeva in mano un coltello e poi lo posava.   
Il grosso chiuse Skype e ripassò il cellulare al terzo uomo.  A Cosimo venne da piangere. Che casino, che casino. Sì, basta. Basta. Era ora di finirla. Un bel salto e via. Basta. Non poteva mettere a rischio la vita di sua moglie e suo figlio.

Senza dire null'altro iniziò ad andare verso il lampione barcollando. Il whisky e la minaccia ai suoi lo avevano reso inerme. Era un uomo sconfitto e azzerato dagli eventi. Arrivato al lampione cercò il cappio ma non c'era nulla. Anzi sì c'era in effetti una corda legata al lampione, ma...

«Ce n'è già uno qui.»

«Che cazzo stai a dì, Cosimo. Sbrigate.»

«C'è uno che ha avuto la vostra stessa idea, qui.»

Il grosso e lo smilzo si guardarono in faccia e corsero verso il lampione. Il terzo buttò via la sigaretta e cominciò a guardarsi intorno nervoso.

«E levate...» disse lo smilzo a Cosimo, mentre lo spingeva via. Guardarono in basso dal ponte. Un uomo penzolava appeso per il collo, proprio dove invece doveva penzolare il loro "amico" Cosimo. Guardarono meglio.

«Minchia ma è...».

«E' il vostro amico Denis Castellani.»

Si voltarono. La Mosca era a dieci metri da loro. Cosimo divenne immediatamente sobrio e iniziò a registrare tutta la scena come se avesse una videocamera interna.

La tuta che la Mosca indossava era grigio scura e aderentissima. Il corpo era atletico, si vedevano chiaramente scolpiti i muscoli delle gambe e del petto. Sul petto la tuta era gonfia, forse rinforzata. Aveva le gambe leggermente divaricate e flesse. La mano reggeva il suo bastone, come da De Santis. Il capo era leggermente abbassato e si vedevano chiaramente il cappuccio con tre strisce irregolari rosse. La mano destra era leggermente piegata verso il fianco. Era in posizione da battaglia. Si sentì un click e dal bastone in alto e in basso spuntarono delle lame frastagliate leggermente ricurve.

Lo smilzo fece per prendere qualcosa dalla tasca posteriore dei pantaloni. La Mosca fece tre passi di corsa e facendo girare il bastone gli tagliò di netto la carotide. Lo smilzo si portò le mani alla gola e iniziò a gorgogliare qualcosa, probabilmente delle bestemmie, si inginocchiò e poi vomitò sangue. Il grosso scattò contro la Mosca. Questa si scansò e diede un colpo alla gamba del grosso con la lama del suo bastone. Il grosso cadde a poca distanza dallo smilzo che ancora buttava fuori sangue e improperi mentre si accasciava a terra per morire. Il grosso prese le pistola dalla tasca posteriore dello smilzo e dimostrò una notevole e insospettabile agilità nel girarsi puntando la pistola contro la Mosca. Sparò.

Ora: Cosimo era sicuro che la Mosca fosse stata colpita, ma questa si era leggermente piegata come avesse preso un cazzotto, mentre uno zing passava proprio vicino a lui. Questa fase dello scontro non l'aveva capita e non avrebbe mai saputo spiegarla agli inquirenti.

La Mosca non perse la calma mentre invece il grosso l'aveva persa del tutto. Cercò di sparare di nuovo, ma qualcosa nella pistola non funzionava. La Mosca non perse tempo: la mano destra sfiorò il proprio fianco e qualcosa apparve nella mano. Quel qualcosa fece fuoco contro il grosso al quale esplose metà testa.

Il terzo uomo era risalito in auto e aveva rimesso in moto. Retromarcia. La Mosca era già su di lui. Un nuovo sparo. La ruota posteriore saltò per aria. Il terzo uomo fece per scendere dalla macchina ma La Mosca aprì la portiera di scatto e la richiuse sulla testa dell'uomo, quindi lo tirò fuori dalla vettura. La chiazza sui pantaloni dell'uomo indicava che si era inequivocabilmente pisciato addosso. Lo scaraventò a terra.

«Chiama Bontempi!» ordinò la Mosca.

«Io. Io non...»

«Chiamalo!» e la lama del bastone andò a infilarsi nel piede dell'uomo.

«Aaaaaahhhhh!»

Tirò fuori il cellulare e compose il numero. Qualche secondo.

«Io. Sono Rondino. Io. No. E' un casino.»

La Mosca prese il cellulare.

«I tuoi uomini sono morti. Il terzo sta per morire. Ferma tutti i tuoi e se succede ancora qualcosa sei finito. Pendoni è sotto la mia protezione» Riappese. Alzò nuovamente il suo bastone, la sua lancia o quel che cazzo era e la fece scendere sull'uomo all'altezza del cuore. Un gemito soffocato e poi dei rivoli di sangue dalla bocca indicavano la sua fine.

Cosimo Pendoni era rimasto a guardare tutto lo spettacolo come se fosse al cinema. Era in piedi e guardava attonito la Mosca. C'era qualcosa di strano nella sua voce, pensò. Oltre che in tutto il resto ovviamente.

La Mosca guardò lui. Quelle due cose enormi che coprivano gli occhi e la testa e la bocca scoperta, scura nella notte. Si guardarono per qualche secondo e poi la Mosca corse via da dove era venuta mentre suoni di sirene si stavano avvicinando e alcune voci emergevano da lontano.

Cosimo Pendoni riuscì solo a dire: «Oh, cazzo!»

LA MOSCA (SEASON ONE) - di Mau TrifibaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora