II - Malintesi

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«Perché non può proprio funzionare, Ginevra

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«Perché non può proprio funzionare, Ginevra.»

Niente. Non capiva. Non voleva proprio capire. Possibile che non fosse stata chiara? Eppure l'aveva invitata al bar, l'aveva trattata con la dovuta indifferenza, il rispettoso distacco. Tutti indizi chiarissimi di un qualcosa che non funziona.

«Ginevra, io sono sposata, ho un marito e una figlia. Questa vita non fa per me, non è ciò che io voglio. Lo capisci, vero?»

La guardò negli occhi ma poi voltò lo sguardo verso il bancone del bar. Il tavolino era abbastanza isolato da non permettere a nessuno di intercettare il loro dialogo così... sconveniente? Sì, sconveniente era il termine corretto. Non sarebbe mai dovuta cadere in tentazione. Sebbene lei fosse così dolce, così vulnerabile, così tremendamente sexy. E poi... ma sì... una bella variazione rispetto al solito tran tran quotidiano ci voleva. Mai si sarebbe aspettata che il loro rapporto potesse essere così soddisfacente. Per entrambe, a giudicare da come si era divertita anche Ginevra. Divertite. Sì, ecco. Altro termine corretto. Divertite. Però un gioco è bello quando dura poco, suvvia.

«Insomma, Ginevra. Ci siamo divertite, ma adesso...»

«Divertite?»

La guardò nuovamente negli occhi. Le si erano riempiti di lacrime. Ecco. Oh Santa Maria! Ci mancava solo la crisi di pianto.

«Sì, insomma, frequentate. Ci siamo frequentate, no?»

«Frequentate? Ma che cazzo dici? Ma Cecilia, per chi mi hai preso? Io te l'ho detto subito che per me non era un'avventura.»

«Senti Gini, adesso stai dimostrando di essere solo una grandissima egoista. Io volevo...»

«Egoista? EGOISTA IO?»

Il barista si voltò verso di loro mentre stava asciugando un bicchiere. Cecilia gli sorrise in quel suo modo così perfetto, pendant con il tailleur firmato e i capelli freschi di acconciatura. Cecilia in effetti era perfetta. Così a modo, così simpatica, così brillante. Risplendeva sempre di luce propria in ogni occasione. Mai in imbarazzo, mai a disagio. Eppure, nonostante la differente estrazione sociale, lei l'aveva cercata. L'aveva corteggiata e Ginevra si era lasciata avvolgere e abbagliare da quella luce. Innamorarsi è bello ed è più facile quando tutto è così luminoso.

«Gini cara, stai dando spettacolo.»

Ginevra tentò di scuotersi e di reagire.

«Ceci cara, mi stai mollando senza un perché. Mi hai appena detto che sono un'egoista, che ti sei messa con me solo per divertirti. Che, insomma, io per te non conto nulla e che sono stata solo un passatempo.»

Cecilia si guardò intorno sorridendo per controllare che nessuno stesse ascoltando la loro discussione. Poi si rivolse a Ginevra con uno sguardo serio e il tono perentorio.

«Senti, Gini. Sei bella, giovane e molto, molto sensuale. Ma per me è finita. Io, te lo ripeto ancora una volta, ho marito e figlia. Siamo una famiglia. Una famiglia vera. Lo so che ti ho detto che stavo scoprendo me stessa e che ti amavo. Beh... mi sono sbagliata. Non era vero. Chiaro? Volevo provare e mi sono divertita un sacco. Però ora basta perché io non posso permettermi di vivere una storia con te. Non nella mia posizione. E' finita, finita, finita. E nulla di quello che potrai dire mi farà cambiare idea.»

Ginevra rimase a bocca aperta a fissare la sconosciuta che aveva appena proferito quelle parole. Cecilia, dal canto suo, si alzò e si diresse verso l'uscita senza voltarsi. Passando davanti al barista gli sorrise e gli augurò una buona giornata.

Ginevra rimase seduta al tavolino, imbambolata. Non sapeva se essere più triste o arrabbiata: con Cecilia, con se stessa e con i suoi stessi occhi che versavano lacrime inutili. Ma quando mai avrebbe imparato qualcosa della vita? Il barista arrivò a ritirare le tazzine.

«Tutto bene, signorina?»

La domanda la scosse.

«Sì, tutto benissimo. Quanto fa?»

«Offre la casa.»

Ginevra guardò il barista che le mostrò un sorriso triste.

«Grazie.»

Dalla borsa partì Starlight dei Muse. Ginevra finalmente fece cenno di riprendersi e iniziò a frugare nel caos organizzato tirando fuori block notes, iPad e... eccolo.

«Sì? Pronto?»

«Gini. Ciao! Sono io. Tutto bene?»

«Sì, Maurizio, perché?»

«'zzo ne so. Hai una voce... Senti, devi venire qui in redazione. E' successo un casino. Uno grosso.»

Ginevra si alzò, sorrise al barista e uscì dal bar. Quando fu fuori fece due respiri profondi.

«Arrivo. Mi puoi anticipare qualcosa?»

«Sì. Hai presente Carlo De Santis? L'onorevole di Forza Pulita?»

«E chi non ce l'ha presente, Maurizio? Ma che domande mi fai? E'morto? 'zzarola, però non ho neanche un coccodrillo pronto. Non mi sembra fosse così vecchio e non mi ricordo di aver sentito qualcosa a proposito di una sua malattia.»

«No, Gini. Sei fuoristrada. E' molto peggio. Tieniti forte. Rapito!»

Ginevra si fermò. Altro che casino, quella era una bomba.

«Sarò lì in un... Boh... Cinque minuti. Anzi, dimmi dove devo andare. Dove ha la casa questo qui? Vado io.»

«Vuoi sapere dove ha la casa? Te lo dico io dove ha la casa questo qui. Tieniti forte di nuovo. All'Olgiata!»

A Ginevra mancò il respiro. Non era una bomba. Era il Big Bang. Uno dei politici più discussi d'Italia rapito in uno dei luoghi più sicuri d'Italia. L'Olgiata. Il Fort Knox della Roma Bene.

«Ci sta già andando Tessari» aggiunse Maurizio.

Merda.

«Ma dai, Maurizio, così mi offendi. Tessari, quello nuovo. Quello non sa neanche in quale paese vive. No, vado anch'io. Dai, Maurizio. Ti prometto che faccio la brava.»

«Guarda che Tessari è giovane ma secondo me è bravo. E poi avrei bisogno di te qui che coordini un po' tutto. Hanno scoperto il rapimento dieci minuti fa e lo abbiamo saputo per primi probabilmente. I miei agganci in polizia, sai. Ho mandato il primo che avevo a portata di mano. E merita la tua fiducia.»

Ginevra stava pensando agli agganci in polizia di Maurizio. Si riferiva a suo cugino Rocco, centralinista. 

«Può darsi. Ma lo hai detto tu, Maurizio. E' giovane. Giovane e inesperto. Una notizia bomba e mandi in avanscoperta un ragazzino? Non mi pare una scelta molto oculata.»

Silenzio dall'altra parte.

«Maurizio! Allora?»

«Va bene. Ma solo perché ho tutti gli altri che sono al Quirinale e non riesco a mandarli lì. Vai anche tu e stai all'occhio. E cerca di dare una sveglia a quell'imbecille di Tessari. Pensa che ieri...»

«Va bene. Grazie Maurizio. Ti voglio bene, tantotantotanto. Smack, smack, smack.»

Bene. Ginevra ripose lo smartphone nella borsa. Bene, ripeté fra sé e sé. Niente di meglio di un disastro italiano per dimenticare le pene d'amore. O almeno per provare a farlo.

LA MOSCA (SEASON ONE) - di Mau TrifibaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora