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Guardo fuori dal finestrino il paesaggio che scorre velocemente, mentre mille pensieri invadono la mente. Mi chiedo se le voci che circolano su di loro siano vere.

Mamma sembra essere intimorita dal loro potere e così anche tutti quelli che fanno il loro nome. Hanno una grande azienda che fa concorrenza a tutte le altre con diverse sedi sparse per il mondo.

Sospiro cercando di ignorare il fatto che la paura in questo momento mi stia totalmente divorando.

Lancio uno sguardo all'autista: alto e magro, occhi marroni, baffi grigi perfettamente curati e un cappello nero abbinato alla divisa. Ha il volto marcato da qualche ruga, segno della sua età e anche della sua stanchezza.

"Scusi... quanto tempo manca?"

"Siamo quasi arrivati, signorina."

Perché mi chiama signorina?

Rimango un attimo spiazzata dalla sua formalità.

"Non c'è bisogno che mi chiami signorina, puoi pure chiamarmi Caroline e darmi del tu" gentilmente accompagnando queste mie parole da un semplice sorriso.

"È l'abitudine mi scusi, ormai mi viene naturale."

Annuisco.

"Come ti chiami?" cerco di fare un po' di conversazione prima dell'arrivo.

"Paul, signor – si blocca – mi chiamo Paul" sorride

Io e Paul passiamo qualche minuto a chiacchierare. Ho scoperto che la sua famiglia abita in Germania e le sue due figlie attualmente sono in Francia.
È da tanto che non va a trovarle, soprattutto perché, essendo uno dei più vecchi sul lavoro, è quello che coordina quasi tutti gli spostamenti. Di conseguenza la sua presenza è essenziale per la famiglia Piers. Mentre parlava delle sue figlie e di sua moglie, aveva uno sguardo così pieno di emozioni che sono stata in grado di percepire ogni singola parola da lui descritta. Posso vedere la nostalgia trasudare dai suoi occhi. Mi parla della paura di vivere consumato dai tempi frenetici senza poter godere della vera felicità, della sua famiglia.

"Sai, mi ricordi tanto le mie figlie...
Di solito le ragazze della tua età si atteggiano in modo superiore e altezzoso, quasi fosse un peccato rimanere umili. Soprattutto quando sanno di dover entrare in un ambiente come la villa dei Piers, si montano la testa."

Il tono di disappunto e di rimprovero accompagna le sue parole.

Bene, ora sono più tranquilla di prima.

"Quanti sono esattamente in famiglia i Piers?" chiedo in preda al dubbio.

Inizio a farmi mille filmini mentali sulle mie possibili figure di merda.
So solo che sono in tanti, ma non il numero preciso.

"Nove"

Alla faccia della grande famiglia.

"Ci sono i signori Piers: Henry e Elisabeth.
Poi i loro figli: Marcus, Damon, Antony e Edward"

Cerco di tenere a mente questi nomi ma dopo neanche mezzo secondo ne ricordo solo uno.

"E gli altri tre chi sono?"

"Adesso non ci sono perché sono in giro per il mondo per i loro studi, ma ci sarebbero ancora Cristine, Oliver e Felicity " dice elencandoli tutti.

Bene, ora si che me li ricorderò. Non potevano chiamarsi Gina, Tina e Pino?

No, devono per forza avere nomi così diversi per mettermi in difficoltà. Chiaro.

Conoscendo la mia memoria a breve termine, dovrò segnarmeli da qualche parte per evitare brutte figure. Già mi immagino chiamare uno con il nome dell'altro.

Senza neanche rendermene conto, dopo qualche secondo mi addormento con la testa sul finestrino. Nella mia mente ancora vedo il volto di mia madre con le lacrime agli occhi che mi saluta. Immagino di essere lì, in camera mia al sicuro da tutto questo.

Dopo un po' di tempo la voce di Paul mi risveglia dal sonno.

"Siamo arrivati. Spero di rivederla presto, signorina Caroline"

Sorrido al fatto che automaticamente mi abbia dato del lei. Ancora.

"Anch'io Paul e grazie mille per la chiacchierata, mi ha fatto davvero bene!"

Scendo dall'auto prendendo la mia piccola valigia con me. Ero talmente presa dal parlare con Paul, che non mi ero neanche accorta di dove fossi capitata.

"Mamma mia..." mormoro con un fortissimo magone allo stomaco per la grandezza e per l'immensità del posto.

Ma cos'è? La casa del presidente?

Davanti a me c'è un giardino perfettamente curato con tanto di fontane e di rose bianche, blu e rosse che si contrastano tra loro e che decorano il tutto con tanta grazia. Il giardino è studiato nel minimo dettaglio. Non c'è una foglia fuori posto. Dietro ad esso c'è una grande villa bianca piena di archi a sesto acuto.

Rimango sbalordita dall'immensità della villa e ammiro sempre di più questo splendido giardino. Niente in confronto al mio piccolo balcone.

Il tutto mi dà una sensazione di pace e di serenità, penso di aver trovato almeno qualcosa di positivo.

Potrò consolarmi con l'ambiente.

Camminando arrivo davanti al portone che ha delle decorazioni d'oro tutte intorno e degli smeraldi incastonati in qualche spazio qua e là.

Anche il portone costa più di me.

Sono letteralmente a bocca aperta. Casa mia è a malapena metà del giardino, anzi forse è solo l'entrata.

L'idea di mollare tutto e scappare in Messico, mi passa per la testa per qualche secondo, ma mi faccio coraggio e busso alla porta.

Dopo circa due secondi una ragazza, suppongo la cameriera, mi apre.

"Si, cosa desidera?"

È alta, ha delle adorabili lentiggini che le riempiono le guance, i capelli rossi fuoco e gli occhi verde smeraldo. È davvero molto carina.

"Sono Caroline, l'autista mi ha portato qui" spiego.

Avrei voluto tanto dire "sono quella a cui è stato imposto di venire qui a lavorare per il resto della sua vita per uno stupido patto" ma non voglio sembrare scortese già dal mio primo giorno.

Sapete com'è, le buone maniere.

Alle mie parole sembra leggermente stupita, quasi non si aspettasse ciò.

"Non ci credo... Tu sei quella Caroline? Quella che dovrà lavorare qua con noi?"

"È così strano?"

La mia ansia sale incessantemente.

"No, no... scusa, è che... lascia perdere. Entra dentro la Signora Elisabeth ti stava aspettando" dice arrossendo un po' per l'imbarazzo.

La ringrazio mentre entro con la mia valigia in mano. L'interno della villa è ancora più sofisticato dell'esterno. Ci sono dipinti appesi dappertutto assieme a specchi d'orati che mi fanno avere subito un naturale complesso di inferiorità. Il corridoio è pieno di tappeti rossi che coprono maestosamente il pavimento.

Avete presente quei posti dove solo il camminare al loro interno vi dà l'idea di poterli rovinare in qualche modo per quanto sono perfettamente lucenti?

Cammino seguendo la ragazza davanti a me per un tratto che sembra non finire più. Arriviamo in una grande sala: appesa alla parete c'è la TV plasma, al centro un lungo tavolo che potrebbe ospitare anche un esercito intero e sul soffitto un lampadario lussuoso che illumina tutto lo spazio.

Mi siedo mentre aspetto che la ragazza di prima chiami la signora Elisabeth. Appoggio la valigia accanto a me e non posso fare altro che notare la differenza tra il mio mondo e questo.

Due cose totalmente diverse.

Il che mette soltanto più ansia di prima. 





















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