Capitolo 7 - Tra i fulmini e i tuoni. Loro ridevano.

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Era rimasto scioccato dalle parole della dottoressa e quando si era girato verso lo schermo riconobbe istantaneamente quella che era la camera gestazionale e il microscopico puntino che vi era al suo interno era suo figlio. Loro figlio. Gli ricordò immediatamente il suo cervello. Non capiva come fosse stato possibile, anche se effettivamente, non era per nulla certo che avessero o meno usato il preservativo durante i loro rapporti sessuali. Dalle dimensioni dello sfarfallio di quel microscopico puntino, la data del concepimento risaliva esattamente alla prima volta che lo avevano fatto. Era incinta di quasi tre settimane. Ce l'aveva fatta.

Ma non doveva andare così.

Aveva guidato inconsciamente fino al quartiere dove viveva Derek. Voleva vederlo, non dirgli per forza che aveva appena scoperto di essere incinta di 'qualcosa' che sarebbe stata loro per sempre. Anzi. Non glielo voleva proprio dire, voleva sapere soltanto se stava bene. Se era andato avanti. Perché i suoi ex non ci mettevano mai molto a dimenticarlo, a rifarsi una vita senza i suoi sproloqui e la sua goffaggine.

Tuttavia, la paura che lo avesse già dimenticato gli fece fare dietro front a meno di venti metri di distanza dal citofono, anche perché non era detto che Derek sarebbe stato a casa di mercoledì pomeriggio. Probabilmente era ancora a lavoro.

L'abbaiare di un cane però lo mise in guardia e fece appena in tempo a girarsi e appiattirsi contro il muro per non essere sbattuto a terra che Ari gli saltò addosso, riempiendogli metà faccia di saliva mentre scodinzolava in preda all'eccitazione.

«Ancora con i ragazzi, Ari?» sentì dire a qualcuno che non era Derek «Oh. Ma sei sempre tu, culetto d'oro» aggiunse l'uomo, riuscendo a recuperare il guinzaglio del cane e a costringerlo a lasciarlo andare, ma il danese non sembrava voler mettere troppa distanza e preferì sedere sopra i piedi di Stiles, ringhiando all'uomo se cercava di spostarlo o avvicinarsi al figlio dello sceriffo «Scusalo, ma anche lui come il padrone ha una colossale fissa per te».

«Peter» sentì dire con fare spazientito dal padrone di Ari. Il cuore gli fece una capriola, così come lo stomaco. Derek era come sempre una visione bellissima. Aveva in mano una busta della spesa ed era vestito con dei semplici jeans e il classico giaccone di pelle scuro «Imparerai mai a non impicciarti nelle vite dei tuoi nipoti?» lo sgridò, prima di girare la testa verso di lui. Stiles non riuscì a vedere che sguardo gli stesse rivolgendo, perché indossava gli occhiali da sole «Stai bene, Stiles?».

I due uomini lo osservarono boccheggiare e lui voleva riuscire a parlare, a dire qualcosa, a intavolare una conversazione normale tra conoscenti e magari anche a fingere un sorriso o due e un'espressione tranquilla, ma riuscì solo ad abbassare lo sguardo e andare via dopo aver annuito. Come si aspettava, Derek non gli corse dietro e anzi, lo sentì sgridare il cane che aveva abbaiato e guaito nel vederlo andar via.

Cinque giorni più tardi non aveva detto a nessuno di essere incinta. Aveva anche evitato Lydia e rinviato alla settimana prossima la serata con Scott. Dopo due giorni che aveva scoperto di essere in attesa aveva iniziato a stare un po' male. La nausea era diventata la sua migliore amica la mattina, dalle cinque e mezza fino alle nove e tre quarti circa, per poi tornare la sera, verso le sette e dieci fino a quando non si addormentava. Non aveva ancora contattato un medico per farsi seguire. Non si era neppure più fermato a pensarci. Perché non era così che doveva andare. Aveva lavorato alcune ore extra tutti i giorni e coperto dei turni a un paio di colleghi che avevano avuto dei problemi personali.

Non era così che se lo era immaginato.

Quel giorno Isaac era entrato in travaglio, Elvis stava per venire al mondo. Si era sentito con Scott ed erano rimasti d'accordo che lo avrebbe chiamato quando avessero portato Isaac in sala parto. Dalla telefonata erano passate circa due ore e mezza. Quelli erano processi soggettivi, variavano da paziente a paziente, non si poteva fare una stima precisa di quando la placenta si sarebbe assottigliata abbastanza da permettere di intervenire chirurgicamente. Si poteva solo ipotizzare, e Scott gli aveva detto che la Johnson aveva detto che ci sarebbero volute altre cinque ore, prima che potessero portarlo in sala parto per il cesareo, visto che era tutto nella norma.

Our FOREVER [COMPLETA da revisionare]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora