Capitolo 66

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"Ho bisogno di te, ti prego torna"

Poche parole prima che la linea cada e che un insieme di emozioni mi avvolgano, la sua voce era spezzata e bassa, sembrava distrutto e questa frase in pochi secondi è riuscita ad annientare pure me.

Lascio Cece all'arena con i soldi per un Taxi mentre io corro verso Caroline e dopo parecchi tentativi per accenderla ci riesco ingranando la quarta e comincio a guidare verso casa.

Ho paura, ho una fottutissima paura che mi sta avvolgendo insieme all'ansia, potrebbe essere capitato di tutto, potrebbe essere in pericolo e io non sono lì con lui.

Supero pericolosamente macchine e camion troppo lenti, passo con il rosso ad ogni semaforo, non mi interessa se avrò multe io voglio arrivare da Jack.

Provo a richiamarlo più volte ma ogni volta mi risponde la fastidiosa voce della segreteria telefonica, al sesto tentativo in preda ad un momento di ora lancio il telefono nei sedili posteriori e aumento ancora di più la velocità.

Dove diavolo potrebbe essere? A scuola? No oggi è domenica per quale motivo dovrebbe essere a scuola? A casa? Non credo ci sia mai stato più di un'ora in quella casa. È alla baia.

Faccio inversione di marcia e guido fino alla baia, scendo dalla macchina dopo un parcheggio frettoloso, corro verso la spiaggia ma non vedo nessuno, guardo verso l'oceano ma neanche lì c'è nessuno.

Sento la testa girarmi e il respiro troppo corto per permettermi una respirazione appropriata, sto per avere un'attacco di panico.

Il cellulare mi squilla nella tasca e noto un numero a me sconosciuto, rispondo incerta

"Signorina Bennet?" Chiede una voce acuta
"Si?" Rispondo passandomi una mano trai capelli
"Sono la vostra vicina, credo che in casa vostra ci sia un ladro" dice e io chiudo immediatamente la chiamata e senza sprecare altro tempo corro verso casa mia.

Parcheggio nel vialetto e appena scendo dalla vettura sento un tonfo proveniente dall'interno di casa mia, so che non è un ladro.

Entro in casa cautamente e richiudo la porta senza fare troppo rumore, mi guardo attorno e vedo che è tutto in ordine, sento un'altra botta proveniente dal piano superiore, senza paura mi dirigo verso la mia camera da dove i rumori provengono.

Apro la porta e la trovo completamente buia con solo la luce proveniente dai lampioni in strada ad illuminarla, appena i miei occhi si abituano all'oscurità vedo una sagoma seduta sul letto con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani che coprono il volto.

"Jack?" Chiedo in un sussurro, il ragazzo alza il volto verso di me rivelandomi i suoi occhi che non sono luminosi come al solito ma sono lucidi e arrossati.
"Jack, cosa è successo?" Chiedo avvicinandomi a lui, il ragazzo sorride amaramente
"È successo che la vita fa schifo, anzi la mia vita fa schifo" la sua voce è impastata, è chiaramente ubriaco.

"Perché la tua vita fa schifo?" Chiedo sedendomi accanto a lui, Jack mi guarda dritto negli occhi, e vedo tutto il bisogno e tutto il dolore che sta provando.
"Sei l'unica cosa buona che abbia fatto nella mia vita" dice quasi in un sussurro e io sento il mio stomaco contorcersi perche questa frase è estremamente ambigua, da una parte mi ha detto di amarmi, da un'altra ha appena rivelato il fatto che la sua vita sia composta da fallimenti.

"Non è vero" dico stringendogli la mano e lui si ritrae lasciandomi un vuoto dentro di me
"Sai quale è la cosa divertente?" Chiede ridendo ed alzandosi barcollando leggermente
"Jack ti prego siediti" dico ma lui mi blocca
"No,no, ascolta questa barzelletta" dice trattenendo le risate, lo guardo confusa ma lui inizia

"C'era una volta questo bambino che aveva una famiglia unita e felice, tutti si volevano bene, tutti si amavano e stronzate varie, un giorno però la mamma del bambino tornando dal lavoro fece un'incidente e morì sul colpo, capisci? Nessuno se lo aspettava nessuno la aveva salutata, neanche il bambino."

Dice e io sento il mio cuore cominciare a stringersi in una morsa di dolore.

"Però il peggio non era ancora arrivato per il bambino perché suo padre, un figlio di puttana, invece di pensare ai propri figli, decise di abbandonarsi all'alcol, tornava ogni notte a casa ubriaco, svegliava le sorelle del bambino urlando e le picchiava senza alcuna ragione, poi andava dal bambino e lo insultava per poi picchiarlo ancora più forte"

Sento le lacrime scorrermi sulle guance mentre Jack invece non fa altro che ridere amaramente, so che l'alcol sta avendo un effetto orribile su di lui ma non voglio fermarlo, deve sfogarsi.

"Crescendo il bambino divenne un ragazzo e cominció a difendersi, così il padre fece sempre più raramente le sue visite in casa, lui e le sue sorelle faticarono per crescere ma ce la fecero."

Il sorriso sparisce dal suo volto per lasciare
un'espressione piena di ira e rabbia.

"Il ragazzo ogni notte sognava e sperava di riuscire un giorno a fuggire da quella maledetta casa, voleva diventare qualcuno, voleva far capire alle persone che lui non era un escluso, voleva portare in salvo le sue sorelle e concedergli una vita migliore"

Cerco di alzarmi e andare da lui ma lui indietreggia facendomi fermare

"Però poi il padre tornó per l'ultima volta a casa, e sai cosa disse al ragazzo? Gli disse che non avrebbe mai combinato niente, gli disse che nessun college lo avrebbe mai preso, gli disse che nella vita non avrebbe mai avuto un futuro, e questo perché era esattamente come lui, uno stronzo, stupido e bastardo"

Lo vedo mentre sorride debolmente e si passa per l'ennesima volta la mano nei capelli scompigliati

"Rebecca ho paura, io non voglio essere come lui cazzo"

Non aspetto neanche un secondo in più prima di stringerlo a me, circondo la sua vita con le mie braccia e appoggio la guancia sul suo petto che si alza e abbassa velocemente, lui non ricambia e mi spinge via.

"Ho rovinato tante cose nella mia vita, ho portato il nero dove una volta c'era troppo bianco, l'ho fatto con la mia famiglia, l'ho fatto con Rosie, l'ho fatto con tutte le persone che mi volevano bene, io ti amo e non voglio che il mio nero ti avvolga, mi dispiace ma non possiamo stare insieme"

Lo guardo incredula, e no non così.

"No, senti bello mio, io ho faticato ho dovuto indossare vestiti stretti e scomodi, tacchi da vertigini, ho preso tante storte sui quei così, ho pianto, ho sofferto per capire i miei sentimenti per te, tu non puoi andartene così" lui mi guarda confuso mentre io mi riavvicino e gli prendo la mano

"Jack tu non sei il nero, sei forse un colore scuro e un po opprimente ma non sei nero e anche se lo fossi non mi interesserebbe, se mi vuoi lasciare perché non ti piaccio più lo potrei capire ma non puoi usare questa scusa."

Lui stringe la mia mano e porta le sue dita sulla mia guancia accarezzandola

"Io rimarrò, non mi interessa se il tuo futuro sarà grande o finirai cadendo per terra, io ci sarò, come amica o come ragazza, non importa, io sarò lì per te, non hai il diritto di escludermi due he smettila di respingermi, io ci sarò sempre"

I suoi occhi si fissano nei miei e dopo un piccolo e sussurrato "ti amo" mi bacia, le sue labbra sottili si posano sulle mie, sento il sapore di vodka alla pesca ma non mi tiro indietro, voglio portare via da lui ogni sofferenza, voglio fargli capire che se ha bisogno di qualcuno con cui sfogarsi io ci sono.

Comincio a tirarlo verso il letto lentamente senza mai far separare i nostri corpi, pian piano ci distendiamo sul materasso e io mi stringo a lui, lui mi lascia dei piccoli baci sui capelli mentre con la mano accarezza la pelle nuda del mio fianco.

"Non lasciarmi mai Rebecca"

How I Became The Popular GirlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora